Pillole di Storia Caccurese
 

   L'Isola Amena inaugura oggi una nuova rubrica dedicata a pillole di storia e curiosità caccuresi. sperando di far cosa gradita agli amici visitatori. Grazie per l'attenzione.     

    DOVEROSO OMAGGIO A UN GRANDE CACCURESE: IL TENENTE COLONNELLO IACONIS, UN CARABNIERE CHE ONORO' L'ARMA E IL PAESE. 

  In questa casa nei pressi dell'antica Porta  Piccola, in una stradina ch immette nel rione Iudeca nacque, verso la ine del XIX secolo, uno dei più illustri figli della nostra Caccuri, il concittadino Umberto Iaconis, uomo onesto,coraggioso,  fedele servitore dello stato che si coprì di onore e gloria e diede lustro e decoro all'Italia e al suo paese natale. il tenente colonnello dei carabinieri Umberto Iacons, figlio di Giuseppe e di Costanza Secreto.  il "carabinire caccurese", dopo essersi coperto di gloria nella Grande Guerra e prestato onorevole servizio in Libia e in Albania, nel settembre del 1943, col grado di capitano, è in servizio alla compagnia di Salerno. L'9settembre l'Italia, in guerra assieme alla Germania contro gi Alleati  Anglo - Americani, firma l'Armistizio ponendo praticamente fine alle ostilità. I tedeschi, sentendosi traditi, occupano in armi parecchie caserme e costringono i nostri militari a consegnare e armi e ad arrendersi e prendono il comando delle caserme e delle città italiane dando vita a una feroce occupazione dl paese che da alleato diventa nemico. Molti soldati e ufficiali italiani vengono fatti prigionieri e  deportati in Germania nei campi di lavoro,  le città saccheggiate e depredate, gi oppositori al regime fascista e i nazisti passati per le armi sena distinzione tra a militari e civili. Gli occupanti tedeschi e i fascisti locali si abbandonano a stragi feroci di civili inermi che insanguinano il paese da Nord a Sud. La mattina del 10, due giorni dopo la firma dell'Armistizio, una gruppo di tedeschi armati e a bordo di autoblindo si presentano al comando dei carabinieri di Salerno con l'intensione di disarmare i militi e impossessarsi delle armi e della caserma e far prigionieri i militi, ma il capitano caccurese non si la scia intimidire e, a differenza di altri militari italiani, non solo si rifiuta di consegnare le armi, ma , alla testa dei suoi carabinieri, mette in fuga i nazisti. Poi si unisce a una banda partigiana che operava nella zona della quale assume il comando e con questi combattenti e con i suoi carabinieri e coadiuvato dal valoroso maresciallo Telesca,  sventa un assalto dei tedeschi alla filiale del Banco di Napoli nei pressi del teatro Verdi di Salerno impedendone il saccheggio da parte dei nazisti.
  
Il successo galvanizza militari e partigiani che continuano le loro scaramucce contro gli invasori  fino al 29 settembre quando l’intera provincia viene abbandonata dai nazisti. Intanto il 27 settembre, anche a Napoli, molti ufficiali, così come aveva fatto il capitano caccurese, si unirono ai cittadini napoletani e ai partigiani dando vita all’insurrezione conosciuta come “Le quattro giornate di Napoli” che portarono alla liberazione della città partenopea ben prima dell’arrivo degli Alleati e quella di molte altre città italiane.
      Per questi meriti il capitano caccurese venne “equiparato, ai sensi del DL 93 del 6 settembre 1946, ai combattenti volontari della libertà quale comandante di una formazione partigiana dal 9/9/1943 al 26/9/1943 in Salerno.” Successivamente il capitano Iaconis fu promosso prima maggiore e poi tenente colonnello dei CC. 
   L'eroico carabiniere caccurese si spense a Roma il
19 settembre del 1956 all'età di 60 anni.   
   E' molto strano come fino a un paio di anni fa io non abbia mai sentito parlare di questo eroico carabiniere, combattente per la libertà, fra l'altro zio materno della nostra amica e compaesana Anno Gallo  e del collega Peppino col quale abbiamo insegnato per anni nella stessa scuola,  famoso a Salerno e in altre città italiane, ma non nel suo paese. Ho scoperto questo caccurese illustre, uno dei più illustri, solo per caso facendo alcune ricerche su altri due grandi carabinieri caccuresi, il tenente colonnello Enrico Pio Del bene e il fratello, il Capitano Giuseppe, ma si s, i caccuresi non si vantano volentieri della loro storia, siamo gente modesta. 
A me, comunque, piacerebbe che un giorno fosse collocata, sulla facciata della casa natale del colonnello Iaconis una targa ricordo e che magari gli venisse intitolato il viottolo che collega Portapiccola alla Iudeca nel quale la stesse è ubicata e che, mi risulta, senza nome, in attesa cerco di farlo virtualmente su l'Isola Amena. è tutto ciò che poso fare, ma lo faccio con gioia e orgoglio. 

                                                                                          

 

                     

            LA CACCURI DI INIZIO SEICENTO NELLE RELAZIONI ad limina dei vescovi di cariati

La terra di Caccuri si bene havea molte chiese curate tutte, non di meno si sono redotte ad una sola chiesa matrice la quale è servita dall’Arciprete et altri curati i quali col detto Arciprete hanno la cura dell’anime per familias; e l’entrate loro sono le decime de’ Parrocchiani le quali sono così tenue che non sono sufficienti appena a mantenere uno sol curato, per lo che sarebbe forse espediente unir l’entrate e la cura in un solo arciprete, perché se farebbe il servitio d’Iddio N. Signore con più frutto dell’anima et il curato viverebbe con più decenza. Vi sono ancora in detta terra altri sacerdoti et chierici li quali serveno alla detta chiesa, cappelle, oratorij e compagnie. Vi è la sola compagnia del Santissimo Sacramento.

 

 

 

Molto interessante questa relazione di  un dottissimo religioso originario di Castrovillari  (ebbe tra i suoi allievi anche Francesco di Sales) vescovo di Cariati e Cerenzia dal 15 aprile 1602 al 12 dicembre 1618, giorno della sua morte.

Non conosciamo l’anno preciso della relazione che comunque ci fornisce, sia direttamente, sia indirettamente preziose notizie sulla Caccuri dell’inizio del XVII secolo, un secolo che comincia male per un paese quasi completamente spopolato e in declino. La popolazione caccurese, infatti, anche in virtù del diploma di Carlo V del 1530 che esentava dal pagamento di tributi e concedeva gli usi civici a chi costruiva case  e andava ad abitare nel territorio dell’abazia florense retta all’epoca dall’abate Salvatore Rota, si era trasferita in massa, assieme a quella della vicina Cerenzia, in quella che poi diventerà San Giovanni in Fiore. Le tracce di quest’esodo le ritroviamo nelle decine di cognomi sangiovannesi di origine caccurese come i De Luca, gli Oliverio, i Pignanelli, i Rao, i Militerno, i Secreto che per errori anagrafici diventano Secreti ed altri ancora.
 In quegli anni i caccuresi abitanti nel vecchio centro storico circondato ancora dalle antiche mura e quelli sparsi nelle campagne o che dimoravano nelle grotte di Filezzi erano appena 800. Molte invece le chiese, come ci fa sapere il vescovo: la chiesa matrice, la chiesa della Madonna del Soccorso alla quale l’abate Rota, che oltre a essere il commendatario dell’abazia florense era anche parroco della parrocchia caccurese di San Nicola dal 1539, aveva regalato la statua della Vergine che difende un fanciullo dal diavolo, la chiesa di San Marco, ai piedi della Serra Grande, la chiesa di San Bernardo, a sud est della cittadina, e molte chiese rurali a San Biagio, Serra del Bosco, a Giachetta con  uno stuolo di religiosi il cui mantenimento gravava sulle spalle di quei poveri caccuresi che non avevano approfittato delle concessioni di Carlo V ed erano rimasti a Caccuri, fra l'altro già vessati dai feudatari. 
   Mons. Maurizio Ricci, il vescovo che succede a Filippo Gesuaidi ritorna su questo grave problema e in una nuova relazione alle autorità ecclesiastiche scrive:
“fu parimenti terra insigne, ma hora destrutta per il mal governo farà 800 anime governata d’un Arciprete et un altro curato, l’entrade de’ quali sono tenue. L’arciprete anderà a ducati 25 et la cura a 12, vi sono da circa 18 sacerdoti tutti servono la Matrice, ma poveri perché non vi sono beneficij né hanno patrimonio”, quindi propone  di spostare le rendite e le messe, delle quali godevano i frati dell’abbazia dei Tre Fanciulli, in favore della matrice anche perché molte volte le messe in suffragio non venivano celebrate   “e dall’altra si levava “quel nido de ladri,” 
   Tornando alla relazione del vescovo Gesualdi apprendiamo che vi era una compagnia religiosa intitolata al Santissimo Sacramento che, evidentemente, assisteva i bisognosi, ma non fa cenno alla congregazione dell’Annunziata che , probabilmente si era già sciolta.  Una settantina di anni dopo un gruppo di devoti caccuresi darà vita alla Congregazione del Santissimo Rosario ed edificherà la più bella chiesa del paese. L’edificazione di questa cappella che fece dopo il 1690  seguito alla costruzione del palazzo ducale dei Cavalcante che era iniziata nella seconda metà dello stesso secolo contribuirono a rilanciare un paese morente, anche se ci vorranno ancora un paio di decenni prima chela popolazione torni a crescere seppur lentamente.

 

  FRAMMENTI DI STORIA IN UNA POESIA DI GIGLIOTTI



       La storia, come insegnano gli storici di professione, gli addetti ai lavori, non si costruisce solo con le fonti scritte, i documenti, meglio se provenienti dagli archivi di Stato, con quelle iconografiche, con quelle orali, ma anche grazie all'ausilio di fonti letterarie come racconti o poesie. Ve ne propongo un esempio con una poesia di mastro Peppino Gigliotti, valente fabbro e presidente della Sezione  di Caccuri dei reduci combattenti della Grande Guerra. 

Abbozzo su qualche cosa di Caccuri
          
di Giuseppe Gigliotti

 I Santi abbandonati nel Convento
Solo dei delinquenti siete amanti
E maltrattate i buoni ciecamente

Caccuri dell’Ottocento
Col suo Sindaco incostante
andava alla rovina totalmente
Vendendo per un nulla Destro e Manco

Del Convento appropriato del Comune
Con tutto l’ortalizio circostante
Don Guglielmo, innamorato pazzo,
invita il Sindaco a mangiare nel Palazzo

Questo gli fa domanda accarezzando
Questo convento mi piace tanto
Se me lo date. Facciamo la caserma alle finanze.
Fece l’offerta al Sindaco
Del prezzo con tutto l’ortalizio confinante,
prezzo irrisorio , del tutto innominate:
800 lire fabbricato e campo.

Il Sindaco prontissimo, ridente
Cede a Barracco l’ortalizio ed il Convento;
notaro pronto, vendita effettuata,
il Sindaco ha firmato,
al palazzo Barracco una bella scampagnata.  

 

                                                QUELLA FERROVIA CHE ASPETTIAMO DA 113 ANNI 




In Calabria la viabilità è ancora allo stato adamitico, senza che ancora avessero potuto usufruire della più grande scoperta del secolo, la vaporiera, tutti i nostri paesi che abitano molti chilometri dalla ferrovia e, per arrivarci, occorre una giornata intera, nella massima parte attraverso viottoli, burroni e guadando fiumi perché sforniti di ponti. I prodotti della nostra terra ubertosissima, per mancanza di viabilità, non possono facilmente trasportarsi alle più vivine piazze commerciali, quindi la fertilità della terra non è remunerativa per i nostri contadini i quali, incalzati dalla miseria ed allettati dal miraggio di una ricchezza per lo più effimera, sono stati e sono costretti ad emigrare nelle lontane americhe ove, in mezzo a privazioni e sacrifici inauditi, esplicano la loro attività ricordando, con le lacrime agli occhi, la patria e il campicello avito.   

  Francesco Maida, sindaco di Caccuri, 1902


    Capita spesso di sentire qualche amico inveire contro i politici meridionali responsabili a suo dire della spaventosa carenza di servizi e infrastrutture in Calabria e in altre regioni meridionali. Certo i politici meridionali nel corso di 160 anni di storia unitaria hanno grandissime colpe, a cominciare dal gattopardismo che consenti loro, quasi tutti baroni o esponenti della nuova borghesia agraria, di mantenere odiosi privilegi in cambio dell'acquiescenza alla politica di spoliazione e colonizzazione del Mezzogiorno perpetrata dai "patrioti liberatori", ma detto questo, bisogna a mio avviso denunciare con forza la gravissima responsabilità di decine e decine di governi nord centrici che hanno dirottato gli investimenti per la realizzazioni delle grandi infrastrutture sempre e solo al nord. Una pratica che è durata almeno un secolo, ma che dura tutt'ora. Cercare di scaricare la colpa di questa carenza al malgoverno  regionale (che ha altre  e non meno gravi colpe, ma non questa) o, addirittura ai comuni, magari anche a quelli piccoli, è una mascalzonata e un gettare nel tritacarne amministratori disonesti e inefficienti e amministratori capaci, onesti, ma chiamati ad amministrare enti ridotti alla canna del gas. Ci sono migliaia di provvedimenti o di mancati provvedimenti a testimoniare le canagliate dei governi, atti ufficiali, non lamentele e piagnonerie . 
  Spulciando alcuni antichi documenti mi è capitata tra le mani una Gazzetta Ufficiale del 23 marzo 1911 nella quale fu pubblicato un Regio Decreto del 26 gennaio dello stesso anno sulla "Concessione della costruzione e dell'esercizio delle ferrovie a scartamento ridotto di Basilicata e Calabria "stipulata tra i ministri dei  lavori pubblici e del tesoro in rappresentanza dell'Amministrazione dello Stato e i legali rappresentanti della Società italiana per le strade ferrate del Mediterraneo" che prevedeva, all'articolo 2, paragrafo g, la costruzione di una linea ferroviaria  Pedace - Cutro - Crotone che avrebbe toccato tutti i comuni presilani fino a San Giovanni in Fiore e poi ancora Casino (attuale Castelsilano), Cerenzia, Caccuri, Cotronei, Petilia, Roccabernarda, San Mauro, Marchesato, Cutro - Scandale, Papanici, Apriglianello, Crotone e Crotone Porto.  
   A distanza di 113 anni aspettiamo ancora quest'opera di civiltà, mentre i paesi interni stanno morendo anche per mancanza di collegamenti ferroviari con le grandi città della regione e con il resto del Paese. Intanto, non solo non si è mai realizzata questa grande opera per motivi che non conosciamo e che cercheremo di scoprire, anche se non è difficile intuirli in un paese dove ancora oggi, nonostante l'abbattimento delle barriere doganali, la globalizzazione, la libera concorrenza si elargisce il "Bonus tricolore" per l'acquisto di auto, ma si è abolita anche la tratta Cosenza - San Giovanni in Fiore attiva fino alla fine degli anni 60. 
  

                                              comm' è amaRu stu ppane

   “Ti procurerai il pane con il sudore del tuo volto, finché tornerai alla terra dalla quale sei stato tratto: perché tu sei polvere e in polvere tornerai" esclamòo un Dio furioso con Adamo per il furto di una mela quando una mela costava appunto un'ira di dio e prima di prendersela con Eva alla quale rivolse queste  affettuose parole: "Io moltiplicherò grandemente le tue pene e i dolori della tua gravidanza; con dolore partorirai figli; i tuoi desideri si volgeranno verso tuo marito, ed egli dominerà su di te”.
   Ma se fino al secolo scorso a procurare il pane col sudore del suo volto era l'uomo, chi sgobbava per portarlo in tavola era la donna. Fino a 60 - 70 anni fa, almeno nei nostri paesi il pane non si comprava come oggi dal fornaio o al negozio di alimentari o nei supermercati, ma lo si faceva in casa in quantità tale da durare minimo un paio di settimane, quando non, soprattutto nelle zone di montagna spesso innevate, anche un paio di mesi.
   Preparare e cuocere il pane era per le massaie una fatica immane.  Le nostre nonne si alzavano di solito nel cuore della notte, verso le 3 - le 4 del mattino,"sciasciavano" (toglievano le fasce) al pupo, il pannolino, lo lavavano, lo fasciavano nuovamente e lo rimettevano a letto, quindi setacciavano la farina col "crivu" (setaccio), l'impastavano con l'acqua aggiungendovi 'u criscente"(lievito naturale) che si scambiavano tra loro. Quindi lavoravano a lungo l'impasto con i pugni chiusi e con le mani e, quando i polsi erano a pezzi, lo coprivano con una tovaglia di lino e lo lasciavano lievitare per qualche ora dedicandosi ad altre faccende a  volte ancor più faticose.
   Quando la pasta era lievitata era il momento di "scanare", cioè di formare i panetti dopo avere ripreso e lavorato un po' la pasta. Intanto avevano già acceso il forno a frasche alimentandolo continuamente  fino a quando la volta e le parenti interne diventavano completamente bianche. Quello era il momento di pulire rapidamente il fondo con lo "scupazzu", uno straccio bagnato legato a una lunga pertica e di infornare le pagnotte. Dopo qualche minuto la fragranza del pane cotto si spandeva per tutta la casa. Allora la massaia con la "pala 'e ru fornu" sfornava i pani ancora caldissimi e con un tovagliolo li ripuliva dalla cenere e li metteva in una cesta di vimini per poi sistemarli sulla "cannizza" (la rastrelliera appesa al soffitto). Solo allora, se intanto non si svegliava il pupo, poteva concedersi giusto qualche attimo di riposo. Più che sudore della fronte dell'uomo a essere imperlata era quella della povera donna, soprattutto quando ardeva il forno, "mpornava e sciornava" 

 

      ANTICHE TASSE CACCURESI  



  
Una prime tassa caccuresi delle quali abbiamo notizie, a parte la decima, tassa del 10% sul prodotto a favore del signore feudale, allo Stato e poi anche alla Chiesa, fu quella di un tornese (200^ parte di un carlino) per ogni rotolo (kg. 0,89)  di carne o di pesce consumati dagli abitanti della nostra cittadina istituita nei primi decenni del Cinquecento per finanziare la costruzione del convento dei domenicani nel luogo detto Lo Casale, poi nel corso dei secoli la tassazione cambiò più volte fino all’introduzione del dazio di consumo.
   Questo particolare dazio fu istituito nel luglio del 1864. A riscuotere questo balzello erano inflessibili ufficiali daziari che giravano per il paese per controllare qualsiasi attività economica. Il dazio si pagava praticamente su tutto. Fino agli anni 50 del secolo scorso si pagava perfino quando si imbiancavano i tuguri nei quali viveva la povera gente. Qualche tempo fa mi è capitato tra le mani un documento dal quale si ricavavano le tariffe daziarie del Comune di Caccuri nel 1927 che pubblico a beneficio degli amici visitatori de L’Isola Amena.

PRODOTTO             QUANTITA’                 TARIFFA

Vino                            1 ettolitro                       15 lire
Aceto                          1 ettolitro                         9 lire
Birra                            1 ettolitro                       10 lire
Gassosa                     1 ettolitro                          5 lire
Vitello oltre un anno                                          30 lire
Cavalli, maiali, asini                                          19 lire
Maiali oltre 30 Kg                                               20 lire
Vitello macellato        1 quintale                        35 lire
Sego                          1 quintale                          5 ire

   Curiosa questa tassa sul sego che di quei tempi contribuiva a svuotare le tasche caccuresi; l’alternativa era rinunciare a fabbricarsi le candele o a ingrassare le scarpe da lavoro come facevano


                                                          UNA CITAZIONE LUSINGHIERA

    Giuseppe Marino, assai lucidamente, in un suo intervento pubblico, ribatte che le donne del brigantaggio sono semplicemente “scriccioli!” Scriccioli di donne che il coraggio non lo avevano, ma se lo andarono a cercare ed ebbero la forza di trovarlo”.
E sta tutta qui, nella raffinata analisi  del docente calabrese la forza e l’unicità  delle donne del brigantaggio, proprio nel percorso di ricerca del coraggio, nella loro capacità di trasformare l’odio, sentimento che esamineremo più avanti, in azione concreta di ribellione.
                      Valentino Romano

   Essere citati in un articolo di giornale, in una tesi di laurea, in un libro fa sempre piacere; se poi a citare un tuo scritto è un ricercatore, uno storico, uno scrittore del calibro di Valentino Romano alla mia sinistra in questa foto con Enzo Di Brango, altro grande storico e scrittore di gran vaglia, la soddisfazione è davvero grande. 
   Valentino Romano, ricercatore rigoroso e storico di gran vaglia, è autore di decine di pregevoli libri tra i quali Dalle Calabrie agli Abruzzi. Il generale José Borges tra i briganti di re Francesco II che ricostruisce la storia del tentativo del generale spagnolo di riconquistare il Regno delle due Sicilie, Nacquero contadini, morirono briganti. Storie del Sud dopo l'Unità dimenticate negli archivi, Brigantesse. Donne guerrigliere contro la conquista del sud (1860-1870) e Brigantaggio e rivolta di classe. Le radici sociali di una guerra contadina scritto a quattro mani con Enzo Di Brango solo per citarne alcuni, testi assai preziosi per chi volesse approfondire lo studio dell'Unità d'Italia nel Mezzogiorno, la nascita della questione meridionale e la storia del brigantaggio post unitario contrabbandato spesso per un fenomeno criminale e assimilato al banditismo, ma generato e alimentato da cause economiche, sociali e politiche preesistenti la conquista violenta del regno meridionale e aggravate ulteriormente da una politica scellerata dei colonizzatori piemontesi. Il rigore scientifico, la serietà nella ricerca, la puntualità delle sue analisi,  l'assenza di enfasi e di retorica fanno di Valentino Romano uno storico estremamente obiettivo e dunque attendibile.

 

                                                       NOTIZIOLE STORICHE
                                                           di Peppino Marino

       Scartabellando vecchie carte si trovano sempre notiziole sulla storia minuta di Caccuri che intrecciate tra loro, approfondite, vagliate alla luce di quello che si sa consentono di fare un po’ di luce sul nostro passato come quando si entra in una stanza buia chiusa da decenni alla fioca luce che penetra da qualche infisso sgangherato. Poi, pian piano, a fatica, si riesce ad aprire un po’ le imposte e la luce ci mostra un pochino meglio all’interno della stanza, vecchie suppellettili, cianfrusaglie, oggetti che non avremmo mai immaginato di trovare. Ecco, per me questa è ricerca storica. Così mi è capitato di constatare da un vecchio documento che nella toponomastica caccurese del 1882 via Buonasera era indicata come Via Principe di Napoli nella quale era ubicato il palazzo De Franco. Se non si è trattato di un errore di qualche impiegato sbadato il nome di Buonasera avrebbe origini molto meno antiche di quanto abbiamo sempre pensato e che a cambiare il nome alla strada potrebbero essere stata l’Amministrazione comunale e il sindaco Guglielmo Barracco per compiacere i nuovi governanti.
   Parliamo ovviamente per ipostesi fin quando non ci capiterà fra le mani qualcosa di più concreto, L’intitolazione della strada al Principe di Napoli potrebbe risalire al XV secolo quando già esisteva un nucleo consistente del centro storico e venne eretta la prima chiesa di Santa Maria delle Grazie. Quel che è certo è che nelle immediate vicinanze del paese o all’interno di quello che è oggi l’abitato  esistevano molti toponimi alcuni dei quali scomparsi come Canalagi (scritto con la g), Cangemi, Sautante, Simigadi, Biamonti, Lenzana, lo Caccazzaro, lo Casale, Santo Ligorio, lo Funaro, nomi curiosi ma legati a particolari vicende e caratteristiche del nostro vecchio paesello.  Un particolare interessante: Santu Ligorio, ovvero San Liborio, era un fazzoletto di terra occupato oggi dalle case del professore Baldasarre De Marco, da quella di Antonio Loria da parte del cortile attorno a casa mia, da quello di Bruno e Luigi De Rose e dalla casa di Antonio Marasco e Rocco Rugiero.  Fino agli anni 30 del Novecento vi era una sorgente e una fontana rudimentale alla quale i primi abitanti del rione Croci attingevano l’acqua potabile, un’acqua che anticamente era probabilmente ritenuta efficace per l’espulsione dei calcoli renali. Da qui l’intitolazione della sorgente e del luogo al santo francese del IV secolo dopo Cristo invocato ancora oggi nelle coliche renali.  Negli anni 30 però un ufficiale postale originario di Squillace prese in fitto la casa oggi di proprietà dei signori Mancuso adiacente a quella di Vincenzo Fazio (Ciciarone) e costruì un pozzo nero in largo Montegrappa e da allora la gente smise di bere l’acqua di Santo Ligorio.

                                  UN PO' DI STORIA DEL BRIGANTAGGIO ANI UNITARIO A CACCURI
                                                           di Peppino Marino

 

 

    

   Nonostante i tentativi di far passare per briganti e fuorilegge gli oppositori  all'unità d'Italia  nonostante i risultati del Plebiscito per l'annessione evidentemente truccati che in un paese come Caccuri diedero un risultato unanime (296 si su 296 votanti) nei nostri paesi ci fu una notevole resistenza con scontri anche violenti, arresti, condanne, fatti di sangue come dimostra un episodio del 28 gennaio del 1861 e altri di qualche  mese o di qualche anno successivi. 
  Il  28 gennaio 1861 sul monte Gimmella a pochi chilometri da Caccuri la Guardia Nazionale di San Giovanni in Fiore al comando di Salvatore Barberio insieme al luogotenente dei carabinieri Leopoldo Bianchi e al tenente Antonio Ripoli intercettano e arrestano un certo Domenico Scarcella mentre si reca ad Acquafredda, la frazione divisa a metà tra i comuni di Caccuri e di San Giovanni in Fiore distante un paio di chilometri per partecipare a una riunione cospirativa per preparare una rivolta anti piemontese alla quale era presente il frate padre Clemente da Sersale noto agitatore filo borbonico. Evidentemente lo Scarcella, non resse al sommario interrogatorio e confessò lo scopo della sua presenza sul monte presilano in una giornata freddissima. Carabinieri e Guardia Nazionale accorsero ad Acquafredda, ma non trovarono nessuno per cui dopo un pò si avviarono per rientrare a San Giovanni. Ancora una volta a Gimmella, mentre infuriava una tormenta si imbatterono in tre individui intabarrati che si aggiravano per il bosco. Due vennero catturati mentre il terzo riuscì a dileguarsi nei boschi innevati mentre il vento soffiava gelido e impetuoso. Qualche tempo dopo si seppe che l'uomo che sfuggi alla cattura era proprio il capo della resistenza duosiciliana della zona. 
   Due giorni dopo, il 30 gennaio, un gruppo di "briganti" probabilmente com' era stato stabilito nella riunione di Acquafredda penetrarono nel territorio di Caccuri. La loro presenza vene segnalata nelle campagne di Arghili, Vattinderi e Lauro. Ancora una volta accorrono carabinieri e Guardia nazionale, ma dei partigiani non fu trovata alcuna traccia.  L'attività di cospirazione, facendo leva sul malcontento della popolazione e sugli abusi e sulle violenze delle forse della repressione, diede i suoi frutti.
   Il sette luglio dello stesso anno, nel cuore della notte, la popolazione di Caccuri insorse e issò una bandiera borbonica sul campanile della chiesa di S. Maria delle Grazie. La guardia nazionale, a comando di Antonio Abruzzini, riuscì a sedare la rivolta e chiese l’aiuto dell’esercito. La mattina dopo, una colonna mobile dell’armata nazionale, al comando del tenente Magni, entrò in paese per scoraggiare eventuali nuovi tentativi insurrezionali, ma il clima era davvero caldo e l’ufficiale chiese ancora la collaborazione della guardia nazionale di San Giovanni in Fiore. Qualche giorno dopo, il 16 luglio, nel cuore della notte, i rivoltosi caccuresi sorpresero e massacrarono le guardie doganali Celestino Cefalone, Antonio Papa, Angiolo Angiolillo  De Maria e Michele Domenico Addari.
    Le guardie doganali, allocate il un casolare di località Troncone dal quale vigilavano sulle cave di salgemma che i caccuresi e gli abitati della vicina Cerenzia e di Verzino utilizzavano per condire i loro poveri piatti e per le conserve alimentari erano per questo particolarmente odiate perché per ordine dei nuovi padroni piemontesi si vedevano privati anche di questo diritto. Tre anni dopo, scoppiò una grande rivolta di polo alla quale parteciparono centinaia di persone di Caccuri e di Cerenzia che armati di fucili, coltelli, accette accorsero in località Vasalicò, occuparono la cava di salgemma e cominciarono a estrarre il salgemma. All'arrivo delle guardie aggredirono il sottobrigadiere Ferrini e il comandante ordinò di aprire il fuoco. Dopo la prima scarica caddero a terra il mugnaio caccurese Gennaro Pisano  di Vincenzo di 30 anni e Salvatore Secreto, anch’egli caccurese. Il Pisano, colpito da diverse fucilate, apparve subito il più grave fra i due.  La reazione delle guardie convinse gli insorti a desistere e ad abbandonare il sale che avevano già raccolto. I due,  feriti molto gravemente, furono trasportati a Caccuri. Il Secreto sopravvisse, ma il Pisano, giunto in contrada Acquacalda, spirò.
   Fra i caccuresi denunciati e poi processati figuravano anche Rocco Scigliano fu Pietro, Nicola, Giovanni e Michele Pasculli fu Savino, Francesco Antonio Falbo di Agostino, Salvatore Silletta,  Francesco Falbo di Gregorio, Giuseppe Gigliotti fu Luigi, Raffaele Secreto fu Rocco,  Maria Lucente fu Giacomo, Scolastica Rao, Stefano Pirito fu Vincenzo, Salvatore Secreto fu Giuseppe, Angela Maria Falbo, Rocco Perri fu Carmine, Saverio e Domenico Guzzo fu Lorenzo, Raffaele Falbo di Agostino, Giuseppe Oliverio fu Benedetto e Gaetano Caputo.

                                                          MAESTRANZE CACCURESI

   Ho avuto modo di sottolineare più volte la pluralità delle fonti nella ricostruzione della storia. La fotografia è una delle più importanti tra quelle primarie e quella di oggi ne è un esempio lampante. Questa eccezionale foto fu scattata nel 1956 in contrada Pitera dell'agro di Catanzaro, nella proprietà del dottore Stanislao Pitaro dove erano in corso, a giudicare dalla numerosa maestranza, imponenti lavori di ristrutturazione di qualche masseria.  Il dottore Pitaro, caccurese, fratello dell'arciprede don Peppino, si affidò a capimastri di fiducia del suo paese i quali a loro volta si portarono dietro manovali che conoscevano e che avevano avuto già alle loro dipendenze. Alcuni erano figli d'arte nel senso che seguivano le orme dei padri e dei nonni. Andiamo a conoscerli uno per uno.
  Il numero 1, a sinistra, è Angelo Ventura conosciuto in paese come Micuzzu 'u biunnu ovvero il figlio del Biondo, alias Luigi Ventura al quale era stato dato questo soprannome per il colore dei capelli.
  Il numero 2 era mastro Enrico Aggazio, muratore, figlio d'arte. Domenico Aggazio, il padre, era anch'egli muratore e aveva lavorato, nei primi anni del secolo, alla costruzione del palazzo del dottore Pitaro a Sant'Andrea sotto la guida di mastro Vincenzo Tangani, famoso capomastro cerentinese che aveva lavorato a lungo a Buenos Aires acquisendo fama e professionalità. Enrico aveva sposato la figlia di Gregorio Battigaglia, un altro bravo scalpellino originario del Catanzarese. 
  Il numero 3 era il muratore Ercole Mangone. Rimasto orfano di padre, la madre sposò in seconde nozze Angelo Ciorra, un finanziere di Minturno in provincia di Latina che prestava servizio come guardia di finanza nella caserma di Caccuri. Quando andò in pensione Ciorra si mise a fare il banditore (jettabannu) in concorrenza con il carabiniere in congedo Giovanni Marullo dando luogo a scontri verbali che erano dei veri e propri siparietti da avanspettacolo per la  la gioia dei giovani caccuresi che se la spassavano senza nemmeno dover pagare il biglietto. Ercole aveva sposato Emilia Caputo sorella del vigile urbano Gigino Caputo . Nei primissimi anni 50 si costruì una casa in via Vittorio Veneto attualmente di proprietà di Pierino Falese, ma dopo qualche anno emigrò a Roma con tutta la famiglia e non fece più ritorno a Caccuri. 
   Il numero 4 era Antonio Pitaro, anch'egli muratore e parente del dottor Stanislao. 
   Il numero 5 era un personaggio importante essendo stato, fra l'altro, per molti anni il priore della Congregazione del Rosario di Caccuri. Si tratta del capomastro Francesco Sgro, figlio di Vincenzo, muratore  classe 1860 che emigrò a Rosario in Argentina dove lavorò nell'edilizia e nel 1929 fece ritorno a Caccuri. Mastro Francesco era
il padre del generale  di brigata Vincenzo Sgro, fratello di Peppino, falegname ed ebanista che realizzò la bara del Cristo morto che si conserva nella Chiesa Madre e dell'ostetrica Checchina. 
  Il numero 6 era il giovanissimo Limo Mangone, figlio di mastro Ercole, mentre il numero 7 è il nostro amico Salvatore Lacaria che non ha certo bisogno di presentazione. 
  Il numero 8 era un altro nostro paesano poi emigrato in America
con la famiglia. Si tratta di  Francesco Lacaria detto Ciccillu 'u capurale perché figlio del caporale Salvatore, quindi fratello di Carolina e Stella Lacaria. Ciccillo per qualche anno gestì la pompa di benzina in piazza che aveva rilevato da Salvatore Blaconà ceduta poi al cognato Francesco Loria che da Blaconà aveva acquistato il forno e da questi a Antonio Noce meglio conosciuto come Vincenzo. 
  Il numero 9 era Francesco Drago, rampollo di una famiglia di maestri scalpellini originaria di Serra San Bruno trapiantatasi poi a Caccuri. I Drago erano dei veri artisti della pietra chiamati a Caccuri dal barone Barracco per scolpire i graniti  e la pietra tufacea adoperata per la ristrutturazione del vecchio palazzo ducale dei Cavalcante trasformato dall'architetto napoletano Adolfo Mastrigli in una graziosa imitazione di un castello con l'aggiunta di una torre cilindrica e un bastione merlato. Il padre Vincenzo e lo zio mastro Giannino si stabilirono a Caccuri, Vincenzo per sempre, mentre Giannino dopo qualche anno sposò una ragazza di Badolato e si trasferì nel paese del Catanzarese  dove lasciò la sua impronta di grande maestro. 
  Il numero 9 era il compianto Pasquale Noce che, ancora giovane, emigrò nel comasco assieme al fratello Peppino dove fondarono una rinomata imprese edile che costruì centinaia di case e palazzi. 
  Il numero 11, infine, era il fabbro Giuseppe Pisano che negli ultimi anni, prima di trasferirsi con la famiglia ad Acri, aveva la forgia sotto la piazza .
  Grandi artigiani quelli nella foto: muratori, fabbri, carpentieri, scalpellini altamente specializzati come tanti altri caccuresi, maestranze di un paese che nei secoli ha prodotto sempre grandi artisti e manodopera specializzata. Basterebbe pensare ai maestri campanari, ai Trocino, eccellenti ebanisti che scolpirono pergami e scanni corali in diverse chiese del Crotonese, al famoso mastro Peppino Gigliotti, il fabbro ferraio richiestissimo dai nobili e borghesi della provincia ed altri ancora. Una grande fortuna per Caccuri, ma, paradossalmente, anche una delle cause del suo declino demografico. Quando nei primi anni 60 riprese la grande ondata migratoria moltissimi meridionali presero la via del Nord.  Per quei paesi nei quali non c'era una manodopera altamente specializzata si trattò di una emigrazione stagionale per cui molti lavoratori tornarono a casa, ma quelli caccuresi, grazie alla loro specializzazione, riuscirono a trovare lavori qualificati, posti di lavoro stabili,  fecero fortuna e rimasero per sempre al nord o nei paesi europei  

 

ACCADDE OGGI:IL 15 GENNAIO 1935 MONS. CARNUTO è IL NUOVO VESCOVO DI CERENZIA E CARIATI

      Il 15 gennaio 1535 il caccurese mons. Giovanni Carnuto viene trasferito dalla diocesi di Carinola in provincia di Caserta a quella di Cerenzia e Cariati.
   L’antica Diocesi di Carinola (Calinensis o Carinolensis) comprendeva i comuni di Carinola, Mandragone e Falciano e le numerose frazioni del paese sede della diocesi. Fu affidata al vescovo caccurese dal 21ottobre del 1530 fino, appunto, al 15 gennaio del 1535 quando gli subentrò il vescovo Taddeo Pepoli.
   Approfondendo le ricerche su questo presule del XVI secolo ho scoperto alcune curiosità . Gabriele Barrio, lo storico calabrese contemporaneo del vescovo,  nel XXII capitolo del Libro IV della sua opera più nota, il De Antiquitate et sutu Calabriae del 1571 pubblicata una trentina di anni dalla morte del religioso, scrive che “Fuerunt ex Cacurio alii viri celebres” tra i quali “Ioannes  Carnutus, ex Episcopo Carinolensi Episcopus Geruntinus et Chariatensis anno 1535”, ma secondo Wikipedia mons. Carnuto era in realtà di origine spagnola e sarebbe nato a Gerona, una città della Catalogna nella quale pare abbia esercitato per qualche tempo il ministero sacerdotale.  Il Barrio dice che era di Caccuri, ma non precisa se nacque a Caccuri . Se fosse davvero di origini spagnole potrebbe essere capitato nel nostro paese nei primi anni del XVI al seguito delle truppe e dei funzionari spagnoli inviati nella nostra regione che faceva parte del Viceregno di Napoli come sacerdote prima che papa Clemente VII lo nominasse vescovo della cittadina campana, anche se la cosa mi pare improbabile. A questo punto, non disponendo di altri riscontri non mi sento di escludere le origini spagnole, ma tra Wikipedia e Gabriele Barrio che, fra l’altro, forse conobbe anche di persona il vescovo in questione, mi fido più dello storico di Francica  anche perché l’enciclopedia on line, stranamente, mentre liquida come inattendibile  la presunta origine caccurese del prelato perché non supportata da opportuno riscontro bibliografico, pur citando il testo del Barrio, evita di però di citare fonti e riscontri bibliografici che ne dimostrerebbero le origini catalane.
   Quel che è certo è che il 15 gennaio del 1535 papa Paolo III lo trasferì alla Cattedra cariatese alla quale era stata aggregata anche l’antichissima diocesi di Cerenzia. Nove anni dopo il suo trasferimento a Cariati, nel luglio del 1544 i pirati saraceni, sotto la guida del corsaro Khayr  Al Din più noto come Barbarossa, assaltarono la cittadina e catturarono decine di persone tra le quali mons. Carnuto e le deportarono ad Algeri dove il presule caccurese morì l’anno dopo in cattività.

 

ACCADDE OGGI: L'8 GENNAIO DEL 1690 CONCESSA L'AUTORIZZAZIONE A COSTRUIRE "LA CONGREGA" 

      L'8 gennaio del 1690 è la data ufficiale della fondazione  della Chiesa del Santissimo Rosario meglio conosciuta a Caccuri come la "Congrega".  E' in questa data, infatti che il Padre Provinciale dei Predicatori concede l'autorizzazione a un gruppo di confratelli caccuresi della Congregazione del SS. Rosario, Francesco Saverio Bonaccio, Orazio Antonio Novello, Filippo e Francesco Mele e Santino Falbo di erigere una cappella consacrata alla Vergine del Rosario in una stanza del Convento dei Domenicani proprio all'entrata del chiostro aderendo alla richiesta di qualche mese prima in cambio del pagamento da parte dei confratelli di 15 carlini annui da destinare alle elemosine. 
    Ottenuta l’autorizzazione i confratelli si misero subito all’opera e, grazie anche alla munificenza dei Cavalcanti, la cappella si arricchì sempre più di capolavori dell’arte barocca, sculture e quadri. Particolarmente sensibile e generoso si mostrò don Antonio Cavalcanti, figlio primogenito del duca Don Marzio che rinunciò alla successione per farsi cavaliere di Malta e che convinse il padre a donare alla Congregazione, con un atto del 4 gennaio 1750 stilato nel castello di Caccuri e controfirmato dal suo segretario Diego Guarascio, che era anche il sindaco dell’epoca, il ricco terreno denominato Vignali a sud est della cittadina. Ciò gli valse una epigrafe in latino che è possibile ancora leggere sugli scanni corali della chiesetta e che ci informa che “tutto ciò che si vede nel tempietto fu condotto a termine dal frate dominicano Antonio Cavalcanti, nell’Anno del Signore 1753, in voto alla Vergine del Rosario perché la si possa lodare.” (1)
   Nel 1824 la Congregazione implorò il Papa affinché concedesse l’indulgenza plenaria per coloro i quali visitavano la chiesa nei giorni delle feste principali e in tutte le domeniche dell’anno. I confratelli chiedevano inoltre che questo privilegio fosse perpetuo ed applicabile “pur in suffragio delle anime del Purgatorio”.
   Il Papa Leone XII, il 24 luglio dello stesso anno, su sollecitazione del cardinale Nava, concesse il privilegio. Infine, qualche anno dopo confratelli chiesero al Santo Padre di “voler loro accordare la partecipazione ai privilegi che si godono dall’ordine dei Predicatori, quantunque vengano diretti nello spirituale dai Religiosi riformati, venendo raccomandati dal proprio ordinario coll’attestato che si umilia qui annesso.”
   Anche quest’ultimo privilegio venne concesso dal papa Gregorio XVI° il 27 marzo del 1835. Il nome dei confratelli trapassati dal 1835 al 1860 venivano annotati in un registro conservato nella stessa chiesa. Il lunedì di Carnevale, poi, sempre nella stessa chiesetta, veniva celebrata una messa in loro suffragio con la presenza sull’altare dei teschi di alcuni defunti tra i quali quello dello stesso fondatore Antonio Cavalcanti. Questa singolare tradizione rimase in vigore fino alla metà degli anni ’50 quando la Congregazione fu sciolta.
    La piccola , splendida chiesa è adornata da un altare barocco con tela raffigurante la Vergine del Rosario e S. Domenico inginocchiato ai suoi piedi nell’atto di ricevere dal Bambinello, che è in braccio a Maria, il rosario. Si tratta di una rappresentazione unica nel suo genere in quanto non vi è raffigurata, a differenza di molte altre tele simili, S. Caterina che invece compare in una riproduzione del quadro sulla volta della stessa scappella. Ai lati dell’altare, in due nicchie, sono custodite le statue dell’Addolorata e della Madonna dei Fratelli. Sulla volta sono rappresentate scene del vecchio testamento. All’interno degli scanni corali, come è già stato detto, vengono custoditi i teschi dei confratelli defunti recuperati, agli inizi del XIX secolo dalle fossae mortuorum.

                                          A PROPOSITO DI TURDILLI E PIZZULIONI

     Ieri si parlava di turdilli e di pizzulioni, due dolci completamente differenti, ma spesso confusi tra loro. Da quando iniziano i miei ricordi li avrò visti preparare migliaia di volte, fra l'altro per quanto riguarda i pizzulioni ho sempre avuto nelle orecchie una sorta di tormentone di nonno Saverio Chindamo usato a mo' di affettuoso sfottò, mentre nonna Maria Scigliano ne preparava a quintali per nonno Peppino che li accompagnava col suo generoso vino. Quando ho sentito chiamare i turdilli col nome di pizzulioni per qualche attimo ero andato in pallone arrivando a dubitare della mia lucidità, poi, oltre ad avere consultato alcuni vecchi amici caccuresi, ho fatto una breve ricerca su google scovando decine di siti con video, ricette e curiosità sui turdilli chiamati in alcuni posti anche crustuli. Per gli amanti di questi squisiti dolci tipici calabresi (e caccuresi) riporto alcuni  link dedicati appunto ai turdilli.

https://nonnacalabrese.it/blogs/ricette-della-nonna-calabrese

https://www.youtube.com/watch?v=KINMOnvS12A

https://www.youtube.com/watch?v=MTFCccuRmdA

https://www.youtube.com/watch?v=arlKpkRpWCc

https://blog.giallozafferano.it/semplicecucinare/turdilli-calabresi/

https://ricette-utenti.cookaround.com/turdilli-calabresi.html

 

                                         SUA MAES 'A PITTA 'MPIGLIATA

  Ed eccola anche per quest'anno Sua Maestà la pitta 'mpigliata, la regina dei dolci natalizi le cui origini si perdono nei millenni. Secondo alcuni storici era  conosciuta già ai tempi della Magna Grecia e costituiva il "pane dei marinai" nelle lunghe e perigliose navigazioni per il Mediterraneo. Poi nel corso dei secoli ha iniziato la sua penetrazione verso l'interno quando gli scambi commerciali tra le popolazioni magno greche e gli abitanti delle zone montuose della Calabria si intensificarono finendo per diventare il dolce caratteristico della Presila, da Petronà fino ad  Acri e Longobucco, anche se alcune leggende metropolitane ne fanno risalire l'origine a qualche secolo fa. Quel che è certo, al di là delle favole e dei tentativi di "appropriazione del brevetto" è che da almeno un millennio questo dolce calabrese troneggia sulle nostre tavole natalizie per addolcire le nostra esistenza assieme ai turdilli, ai pizzulioni, alle crucette e alle altre leccornìe che le nostre antenate si inventarono utilizzando  ingredienti tipici della società contadina. 


                                           
CRISTO è ANCORA FERMO A EBOLI  E A VOLTE RISALE LA PENISOLA

 

"Cristo non è mai arrivato qui, né vi è arrivato il tempo, né l’anima individuale, né la speranza, né il legame tra le cause e gli effetti, la ragione e la Storia"  

   Queste considerazioni di Carlo Levi riferite all'Aliano degli anni 30 del secolo scorso, il paese ne quale il medico e pittore torinese fu confinato dall'infame regime fascista sono ancora valide per molti paesi e città del Mezzogiorno, fatti salvi alcuni inevitabili piccoli progressi indotti più dalla tecnologia che dall'avvedutezza e dalla saggezza dei nostri governanti. Basti pensare, per fare un esempio che Matera, uno dei 107 capoluoghi di provincia italiani, a distanza di 194 anni dall'invenzione della locomotiva di Stephenson, non conosce ancora il treno.  Ancora oggi i nostri sgovernanti continuano a penalizzare pesantemente il Sud rubandogli tutto ciò che si può rubare per dirottarlo al Nord. 
   Le foto furono scattate in occasione di una visita ad Aliano negli anni 70 con mio cugino Saverio e Pino Pasculli nei luoghi tanto amati da Levi che riposa nel cimitero del paesino lucano. 

 

                                                     EROI CACCURESI

   In questo giorno nel quale in molti paesi e città d'Italia si commemorano i caduti in guerra, il pensiero commosso va ai tanti giovani caccuresi periti nel corso dei due spaventosi conflitti mondiali o caduti compiendo il loro dovere in operazioni di polizia anche in tempo di pace. Un saluto deferente anche agli eroi caccuresi decorati per il loro valore alcuni dei quali sacrificarono la giovane vita nell'adempimento del dovere. 

DECORATI CACCURESI

            MEDAGLIA D'ORO AL VALOR MILITARE

Vincenzo Ambrosio, tenente, caduto a Nivice (Albania) il 10 marzo 1941

M
EDAGLIA D'ARGENTO

Giovanni Dardani, carabiniere deceduto il 10 maggio 1946 presso l’Ospedale militare di Palermo a seguito di un conflitto a fuoco con la banda Giuliano, medaglia d’argento alla memoria

Umberto Iaconis, tenente cpl, Guerra 1915-18 per meriti di guerra

Maurizio Sgro, bersagliere, per l’azione al Passo di Sesis 11-14 giugno 1915

Antonio Rizzo, maggiore dell’esercito, 151 Reggimento fanteria – 2 medaglie d’argento

MEDAGLIA DI BRONZO

Luigi Pizzuti, caporal maggiore 24° Reggimento artiglieria da campagna Guerra 1915-18, medaglia di bronzo al valor militare

Antonio Rizzo, generale di divisione, 2 medaglie di bronzo per operazioni di polizia coloniale

Peppino Del bene, tenente dei carabinieri, Adrano (CT) 30-12-1947 per brillante azione investigativa

Vi sono poi una serie di croci di guerra guadagnate da tenti altri soldati caccuresi per il valore dimostrato nelle due guerre mondiali, legioni d’onore concesse al generale Rizzo, medaglie ricordo in oro ai seguenti soldati della Grande Guerra
1) Francesco De Marco, via Chiesa
2) Enrico Del Bene, tenente colonnello cc
3) Giovanni Falbo, via Destra
4) Giovanni Guzzo, contrada Annunziata
5) Salvatore Lacaria, viale del Re
6) Francesco Olivito, via Portapiccola
7) Rocco Rao, fraz. Santa Rania

 






 

 

 

 

 

 

 

 

ACCADDE DOMANI: 2 NOVEMBRE 1918 NASCE Antonio Fazio

 

    Francesco Antonio Fazio, maestro elementare, artigiano poliedrico, pittore e scultore versatile, nacque a Caccuri il 2 novembre del 1918. Dal padre Vincenzo, falegname, idraulico, fotografo, testimone prezioso di fatti e personaggi della Caccuri degli inizi del XX° secolo, ereditò l’ingegno multiforme  e la curiosità tipica di chi vuole scoprire l’essenza delle cose, di chi vuole capire e conoscere la realtà per piegarla a sé, riprodurla e riproporla alla luce della propria esperienza e della propria sensibilità. E Antonio (Totò come lo chiamavano affettuosamente) a questo studio, a questa ricerca, portata avanti con tenacia, ma anche con  umiltà, dedicò molti pomeriggi della sua breve esistenza quando,  tornato da scuola, si tuffava nel suo laboratorio al piano terra di un palazzo di Crotone per creare i suoi capolavori.

Trascorsa la fanciullezza a Caccuri, Fazio si iscrisse all’istituto magistrale di Cosenza e, nel 1939, conseguì l’abilitazione presso il Regio Istituto Magistrale di Vibo Valentia. Frequentò poi l’Istituto Orientale dell’Università di Napoli sostenendo anche alcuni esami, ma nel febbraio del 1941, dovette interrompere gli studi a seguito dello scoppio della guerra.  Fu quindi mandato in Africa, a Tunisi ove giunse in aereo il 20 febbraio del 1943 per essere aggregato, col grado di sergente, al 1° Battaglione semovente del 33° Reggimento carristi, ma, dopo tre mesi, fu catturato dagli Inglesi e trasferito nel campo di prigionia di Casablanca dove trascorse tre anni. Tornato in patria nel 1946, insegnò nella scuola elementare di Caccuri per alcuni anni prima di trasferirsi a Crotone.

Antonio  Fazio aveva davvero un ingegno finissimo; sapeva dipingere, scolpire, lavorare di intarsio, costruire splendidi mobili, fondere i metalli e si intendeva di meccanica di precisione. Non v’era apparecchio che non sapesse smontare, riparare, riadattare, dagli orologi agli accendini, dagli strumenti di misurazione agli elettrodomestici, ai motori. Questa sua versatilità gli tornò utilissima durante la prigionia, grazie ai molteplici lavoretti che faceva per gli Inglesi che gli accordarono, in cambio, numerosi privilegi.

Già nel periodo in cui insegnò a Caccuri, ma, soprattutto nel periodo crotonese, il maestro Fazio ebbe modo di dar libero sfogo all’estro e alla creatività nei pomeriggi liberi che la professione di insegnante gli lasciava creando una grandissima quantità di opere d’arte, quadri, sculture, cassapanche, specchiere intarsiate, tavoli, colonne per vecchie pendole che  arredano le sontuose case di decine di professionisti crotonesi . E questi capolavori Totò Fazio, il generoso Totò, li realizzava gratuitamente, senza nulla pretendere in cambio per il solo gusto di dare libero sfogo a quella grande creatività che lo divorava come una febbre e che chiedeva prepotentemente di estrinsecarsi.
   Nel 1960 l’artista caccurese donò alla Chiesa di Santa Maria delle Grazie del suo paese di nascita la statua lignea di San Luigi, forse una delle sue opere più rappresentative, destinata a ricordare nei secoli questo grande, umile artista caccurese.
   Si spense prematuramente a Crotone il 17 agosto del 1976.

                                                             

                                             'U PI Pò 

   Quand'eravamo fanciulli, ormai un secolo fa, non esistevano gli smartphone, i trenini elettrici, le macchinine telecomandate e le altre diavolerie tecnologiche di oggi, figuriamoci ai tempi dei nostri nonni o dei nostri bisnonni, Allora i giocattoli te li dovevi inventare, a volte addirittura immaginare con la fantasia. Così una canna si trasformava magicamente in un cavalluccio sul quale galoppavamo nelle campagne intorno al primo nucleo del rione Croci, con la stessa canna e con un po' di spago ci costruivamo un fucile che produceva un botto simile a una fucilata e altro ancora. Non essendoci ancora i parchi giochi ci costruivamo da soli anche l'altalena, con un pezzo di tronco  o un vecchio bidone per fulcro e una tavola facilmente reperibile in uno dei tantI "cantieri" aperti per la costruzione di qualche nuova casa. 
   L'altalena aveva un nome curioso inventato dai nostri nonni o forse dai bisnonni, chissà: pi pò, una sorta di suono onomatopeico che si rifaceva al movimento altalenante dell'apparecchio di fortuna: pi a scendere e po' a salire. Ne avevano di fantasia i nostri antenati!


                                                   
GRAMSCI COME NINCO NANCO 

?
"E Ninco Nanco deve morire perché si campa putesse parlare
e si parlasse putesse dire qualcosa di meridionale", canta Eugenio Bennato in una ballata dedicata al brigante lucano. Ve
rsi quelli del musicista e meridionalista napoletano che richiamano alla mente la requisitoria del pubblico ministero Miche Isgrò al processo contro Gramsci: "Dobbiamo impedire a questo cervello di funzionare." Anche Gramsci, infatti, come Ninco Nanco avrebbe "potuto dire ancora qualcosa di meridionale come queste considerazioni tratte da I Quaderni Meridionali:
"La miseria del Mezzogiorno era inspiegabile storicamente per le masse popolari del Nord; esse non capivano che l'unità non era avvenuta su una base di uguaglianza, ma come egemonia del nord sul Mezzogiorno nel rapporto territoriale città campagna, cioè che il Nord concretamente era una "piovra" che si arricchiva alle spese del sud e che il suo incremento economico-industriale era in rapporto diretto con l'impoverimento dell'economia e dell'agricoltura meridionale." 
    Figuriamoci se si poteva lasciare libero di pensare e di agire un pericoloso
sovversivo come questo, fra l'altro di origini terroni!

                PAGINE DI STORIA CACCURESE: IL MASSACRO DELLE GUARDIE DOGANALI  

 

    Il 16 luglio del  1861 il popolo caccurese era in guerra contro le forze dell'ordine del neonato Regno d'Italia. La rivolta era scoppiata nove giorni prima, il 7 luglio quando i partigiani caccuresi issarono una bandiera del Regno delle due Sicilie sul campanile della chiesa madre. Era i segnale che tutti aspettavano per attaccare i nuovi gendarmi, spesso aguzzini passati prontamente al servizio dei vincitori come succede ogni volta che si verificano sconvolgimenti e che per questo cercavano da veri ascari di mostrarsi con la loro ferocia zelanti e fedeli ai vecchi  e ai nuovi padroni tra i quali nobili e borghesi, gattopardi che rifacevano esattamente quello che avevano fatto i loro padri e i loro nonni al tempo di Murat per impadronirsi di quelle poche terre demaniali o di comunità religiose che i rapaci francesi non avevano fatto in tempo a vendere loro per pochi spiccioli. Numerosi documenti dimostrano come in questa specifica vicenda le forze della repressione ricevano ordini e consigli proprio da questi signori. Nonostante l'ingente spiegamento di soldati agli ordini del tenente Magni e di uomini della guardia nazionale di Caccuri e di San Giovanni in Fiore, a distanza di nove giorni non si era ancora riusciti a domare la rivolta anche perché quasi contemporaneamente erano insorte la vicina Cotronei, Altila e Belvedere di Spinello.  
   Tra le forze impegnate nella repressione della resistenza duosiciliana più odiate, oltre agli "squadriglieri degli agrari e agli agenti della Guardia nazionale ritenuti traditori della loro patria figuravano i bersaglieri e i doganieri. Quest'ultimi erano impiegati per impedire alla povera gente di raccogliere un po' di salgemma, un sale minerale privo di iodio fra l'altro pericoloso per la salute, nelle cave di Vasalicò tra il comune  di Caccuri e quello di Cerenzia per salare le pietanze o per conservare gli alimenti. Il governo del "re galantuomo" e del padre della patria ragioniere Cavour che doveva saccheggiare le ricchezze del Sud per ripianare la montagna di debito pubblico del Regnetto di Sardegna aveva bisogno anche di quelle poche lire che poteva ricavare rubando ai meridionali, alla povera gente perfino il sale per condire un pomodoro fresato o un'insalata di portulaca. Logico che l'odio della popolazione verso gli incolpevoli doganieri che impedivano loro perfino di condire i fagioli era feroce, perciò nella notte gli insorti caccuresi attaccarono le guardie doganali e ne massacrarono 4. Morirono così
nello scontro le guardie doganali a piedi Celestino Cefalone, Antonio Papa di 50 anni, Angelo Angiolillo  De Maria di anni 48 e Michele Domenico Addari di 46 anni. Fortunatamente la reazione degli invasori e dei loro manutengoli locali non si mostrò spietata come in altre occasioni; per molto meno, infatti, furono distrutti altri paesi come Pontelandolfo, Casalduni, la stessa Belvedere Spinello e la loro popolazione massacrata.

 

                        ACCADDE OGGI:  MURAT SOPPRIME IL CONVENTO DEI DOMENICANI 

      Il 7 luglio del 1809, con un decreto del nuovo re di Napoli Gioacchino Murat, veniva soppresso il convento dei domenicani di Caccuri e le poche tomolate di terra dalle quali i poverissimi frati che lo abitavano, a dispetto della famosa massima "durici monaci tririci porci", non riuscivano a ricavare nemmeno il loro sostentamento, furono espropriate e rivendute ai borghesi locali. Il convento caccurese, che non ospitò mai più di otto monaci era così povero che i religiosi non riuscirono mai nemmeno a trovare i soldi per completare il campanile e le generose offerte dei Cavalcante vennero tutte utilizzate per arredare la chiesa di Santa Maria del Soccorso con statue e altari. Caduto Murat e tornati sul trono i Borbone nel 1833 l'antico convento fu riaperto, questa volta ai francescani riformati, ma i religiosi non riebbero mai più le terre e i poveri beni espropriati fin quando non arrivarono i Savoia che lo chiusero definitivamente. Il monastero, comprese le rimesse, fu venduto ai Barracco, mentre la chiesa del Soccorso rimase di proprietà della curia arcivescovile che non se ne curò mai rimanendo di fatto nelle disponibilità dei Barracco. Quando questi negli anni 40 rivendettero l'antico monastero a privati cittadini, il campanile della chiesa fu occupato dai coniugi Domenico Dardani ('u mutu) e Maria Rosa Urso, i genitori della medaglia d'oro Giovanni Dardani che l'usarono per qualche anno come povera dimora. Za Maria Rosa, donna devotissima, sebbene segnata dal dolore della tragica perdita di tre figli (tutti "caduti per la patria" lo malgrado), per ringraziare il Signore del'ospitalità, puliva la chiesa e accendeva qualche candela ai vari santi le cui statue erano collocate sui rispettivi altari, a partire da quella più imponente di San Domenico, a quella della Madonna del Soccorso donata ai frati domenicani dall'abate Salvatore Rota commendatario dell'Abazia Florense. 
   A proposito dei rapporti con l'antico monastero dei basiliani di contrada Patia, qualche caccurese in vena di facezie si inventò addirittura un passaggio segreto che avrebbe collegato, non si sa per quale recondito motivo, il convento domenicano, sorto dopo il 1515, al monastero basiliano dei Tre Fanciulli che a quei tempi aveva perso qualsiasi importanze (se pure ne avesse mai avuta dopo l'avvento di Gioacchino e la donazione di Enrico VI) ed era abitato da due o tre frati che puzzavano di fame. Una galleria che se fosse  davvero esistita
avrebbe misurato più di due chilometri, una sorta di tunnel della Gelmini del Cinquecento. Un'altra leggenda metropolitana nata in anni recentissimi (anni 90) ha promosso il povero convento caccurese al rango di abazia come si legge spesso in articoli di giornali o sulle bacheche che ne illustrano la storia.  Pur senza conoscere il diritto canonico, basterebbe leggere Il nome della rosa senza bersi le facezie come l'acqua fresca. 

 

ACCADDE OGGI:  MUORE DON FRANCESCO PASCULLI

  Il 16 maggio del 1941 si spegne a Caccuri, all'età di 63 anni, Francesco Pasculli, ex sacerdote, maestro elementare, tenente propagandista nella Grande Guerra e legionario fiumano tra i protagonisti del colpo di mano di D'Annunzio sulla città istriana. 
  Uomo di azione e di vasta cultura, don Francesco, che trascorse gran parte della sua vita a Napoli in una casa di via Alessandro Scarlatti al Vomero, città nella quale insegnò per molti anni, durante la guerra teneva ai soldati quotidiani sermoni che poi raccolse in un volumetto intitolato "Il Vate della Patria  o il Senso Cristiano della guerra contro gli in inumani  Austro - Ungarici" che dedicò al generale Pecori - Giraldi.  Scrisse anche un breve saggio per confutare con motivazioni forse un po' ingenue, ma sincere e meditate, le teorie di Tomas Robert Malthus, espresse nel  "Saggio sul principio della popolazione", sul rischio che l'incremento demografico comportava per l'Umanità, sostenendo che "le viscere stesse dell'uomo, l'energia di madre - Terra e la Provvidenza ci dicono che tutto dev'essere fatto per meglio produrre e per meglio moltiplicarsi e che nel mare l'uomo può trovare il suo alimento di prim'ordine in grado di sfamare le moltitudini". 
  Il pensiero l'opera del professor Pasculli è in gran parte racchiuso nel poemetto morale inedito Vita, Cuore, Mente. Don Francesco era nato a Caccuri il 10 marzo del 1878. 


                 

   
ACCADDE DOMANI:  MUORE A MILANO ANGELO SIMONETTA

   Il 20 aprile del 1472 muore a Milano Angelo Simonetta, caccurese, zio di Cicco, il primo ministro, segretario e cancelliere del duca Francesco Sforza. Angelo, nato a Caccuri agli inizi del XV secolo da Gentile Simonetta, amministrava i possedimenti del conte Carlo Ruffo tra i quali il feudo di Caccuri quando lo Sforza, dopo averlo conosciuto e apprezzato, lo volle con sé a Milano assieme alla sua famiglia della quale faceva parte anche il giovanissimo Cicco e quando il figlio di Muzio Attendolo conquistò il Ducato e Cicco ne divenne il primo ministro e capo della Diplomazia, Angelo fu nominato ambasciatore del ducato nella Repubblica di Venezia. Dopo la morte venne tumulato nella chiesa di Santa Maria del Carmine nel quartiere di Brera costruita anche con il suo fattivo contributo.  Un'epigrafe in latino sulla tomba recita: "Angelus hic situs est clarissimus Mones Simonetta viros meritis et laudibus unus qui orbit  die XX aprilis anno D. MCCCCLXXII." 

 

ACCADDE DOMANI:  IL CROLLO DI CASA RUGIERO
                 

  LA PIU' GRANDE SCIAGURA CACCURESE 
                                             di Peppino Marino

      Caccuri, 12 marzo 1943   

Venerdì 12 marzo del 1943 Caccuri fu teatro di una delle più spaventose tragedie della sua storia. Da quasi cinque giorni una pioggia tambureggiante cadeva sul paese e sui dintorni e la popolazione se ne stava rintanata nelle povere case del centro storico. I ruscelli a nord e a sud del paese si erano trasformati in impetuosi torrenti che trascinavano a valle ogni cosa. La cittadina, arroccata sulla rupe, sembrava essere al sicuro dalla furia degli elementi, anche se quel tempaccio metteva oggettivamente paura.  Il boato dei tuoni si confondeva con lo scoppio di qualche lontana bomba che Inglesi e Americani, nonostante le avverse condizioni atmosferiche, sganciavano nella zona nel  tentativo di colpire gli impianti idroelettrici di Calusia e Timpagrande o i presidi militari, in preparazione dello sbarco in Sicilia che sarebbe avvenuto da lì a qualche mese e con i tiri della contraerea che da Casa Pasquale e dalla Sila cercava, inutilmente, di respingere gli attacchi.

Le famiglia Rugiero era riunita nella casa di via Murorotto, proprio a ridosso dell’Arco, una casina col piano terra ed un piano sopraelevato,  con un’unica stanza per piano. Fuori diluviava, e l’abitazione era rischiarata dalla tenue fiammella di una lampada a olio. Erano da poco passate le otto di sera. Consumata una cena che, per le ristrettezze dei tempi,  non poteva che essere frugale, le famiglie di Michele Rugiero, pensionato di 72 anni e del figlio Giovanni, si apprestavano ad andare a letto ed alcuni membri si erano già sistemati nei loro poveri giacigli. Assieme a loro c’era anche  la figlia, Maria Rosa, sposata con un crotonese e rifugiatasi a Caccuri per sfuggire ai bombardamenti che martellavano Crotone.

Giovanni Rugiero, la moglie Maria Bruno, i figli Michele (il futuro avvocato e pretore di Savelli), Rosina, Filippo e Emilia Immacolata, si sistemarono al primo piano, mentre il padre Michele, la madre Maria Greca Zinga, originaria di Isola Capo Rizzato, la figlia Maria Rosa e la nipote Antonia Salerno, si apprestavano a sistemarsi nei loro giacigli posti al piano terra.

  All’improvviso, alle 20,40, si udì un sordo boato,  più forte dei tuoni, più agghiacciante delle bombe, mentre una parete della casa, in comune con un’abitazione adiacente, cedette di schianto ed il pavimento del primo piano di casa crollò  seppellendo gli occupanti  del piano terra sotto una montagna di detriti e provocando la morte istantanea di quattro persone.

 I vicini, accorsi sul luogo nonostante le proibitive condizioni del tempo, si resero immediatamente conto della gravità dell’accaduto e diedero l’allarme. Qualcuno tentò disperatamente di mettersi a scavare a mani nude in quell’ammasso di travi, di tegole, di fango, nel buio fitto, mentre qualcun altro corse a dare l’allarme.  Sul posto, accorsero prontamente molti dei 120 soldati del presidio militare alloggiato nel castello di Barracco, che, al comando del tenente Gaetano Pulzone, si misero immediatamente al lavoro scavando fra le macerie.  I militari lavorarono alacremente sotto la pioggia battente e, dopo qualche ora, cominciò la triste conta dei morti che risultarono poi essere cinque.

La prima ad essere estratta fu Emilia Immacolata Rugiero di due anni, figlia di Giovanni Antonio e di Maria Giuseppa Bruno. Pare che la bimba, sfuggita in un primo momento alla morte, perse la vita cadendo dalle braccia della madre svenuta a seguito delle ferite provocate dai detriti che l’avevano colpita.

 Fu poi la volta di Maria Rugiero di anni 45, zia della bambina, del padre di quest’ultima, Michele, della moglie, Maria Greca Zinga, di 66 anni  e di Antonia Grazia Salerno, una  ragazza di 16 anni, nipote di Michele Rugiero, figlia della figlia Maria Saveria e di Vito Cesare Salerno. Alcune salme, appena  recuperate furono, in un primo momento deposte nella casa di quest’ultimo, mentre il corpicino della piccola Emilia Immacolata venne trasportato nella casa della zia materna, Filomena, in via Misericordia.  Subito dopo ebbe inizio il mesto pellegrinaggio di una popolazione affranta e nel contempo terrorizzata dall’accaduto in visita alle salme. Nessuno in paese ricordava una sciagura così spaventosa  paragonabile solo a quelle provocate dai terremoti del 1638 e del 1783.

Qualche giorno dopo il paese partecipò commosso ai funerali delle cinque vittime, nella Chiesa di Santa Maria delle Grazie. Il mesto corteo era aperto dalla bara della piccola Emilia Immacolata e chiuso da quella del patriarca, Michele. A dare l’addio alle povere vittime c’erano anche i soccorritori, quei soldati e il loro comandante che avevano scavato alacremente in quell’ammasso di detriti nel vano tentativo di strappare alla morte quelle sventurate creature.  
   Ringrazio l'Avv. Prof. Michele Rugiero per avermi fornito alcune preziose notizie.

 

                          di Peppino Marino

 

      Caccuri, 12 marzo 1943   

Venerdì 12 marzo del 1943 Caccuri fu teatro di una delle più spaventose tragedie della sua storia. Da quasi cinque giorni una pioggia tambureggiante cadeva sul paese e sui dintorni e la popolazione se ne stava rintanata nelle povere case del centro storico. I ruscelli a nord e a sud del paese si erano trasformati in impetuosi torrenti che trascinavano a valle ogni cosa. La cittadina, arroccata sulla rupe, sembrava essere al sicuro dalla furia degli elementi, anche se quel tempaccio metteva oggettivamente paura.  Il boato dei tuoni si confondeva con lo scoppio di qualche lontana bomba che Inglesi e Americani, nonostante le avverse condizioni atmosferiche, sganciavano nella zona nel  tentativo di colpire gli impianti idroelettrici di Calusia e Timpagrande o i presidi militari, in preparazione dello sbarco in Sicilia che sarebbe avvenuto da lì a qualche mese e con i tiri della contraerea che da Casa Pasquale e dalla Sila cercava, inutilmente, di respingere gli attacchi.

Le famiglia Rugiero era riunita nella casa di via Murorotto, proprio a ridosso dell’Arco, una casina col piano terra ed un piano sopraelevato,  con un’unica stanza per piano. Fuori diluviava, e l’abitazione era rischiarata dalla tenue fiammella di una lampada a olio. Erano da poco passate le otto di sera. Consumata una cena che, per le ristrettezze dei tempi,  non poteva che essere frugale, le famiglie di Michele Rugiero, pensionato di 72 anni e del figlio Giovanni, si apprestavano ad andare a letto ed alcuni membri si erano già sistemati nei loro poveri giacigli. Assieme a loro c’era anche  la figlia, Maria Rosa, sposata con un crotonese e rifugiatasi a Caccuri per sfuggire ai bombardamenti che martellavano Crotone.

Giovanni Rugiero, la moglie Maria Bruno, i figli Michele (il futuro avvocato e pretore di Savelli), Rosina, Filippo e Emilia Immacolata, si sistemarono al primo piano, mentre il padre Michele, la madre Maria Greca Zinga, originaria di Isola Capo Rizzato, la figlia Maria Rosa e la nipote Antonia Salerno, si apprestavano a sistemarsi nei loro giacigli posti al piano terra.

  All’improvviso, alle 20,40, si udì un sordo boato,  più forte dei tuoni, più agghiacciante delle bombe, mentre una parete della casa, in comune con un’abitazione adiacente, cedette di schianto ed il pavimento del primo piano di casa crollò  seppellendo gli occupanti  del piano terra sotto una montagna di detriti e provocando la morte istantanea di quattro persone.

 I vicini, accorsi sul luogo nonostante le proibitive condizioni del tempo, si resero immediatamente conto della gravità dell’accaduto e diedero l’allarme. Qualcuno tentò disperatamente di mettersi a scavare a mani nude in quell’ammasso di travi, di tegole, di fango, nel buio fitto, mentre qualcun altro corse a dare l’allarme.  Sul posto, accorsero prontamente molti dei 120 soldati del presidio militare alloggiato nel castello di Barracco, che, al comando del tenente Gaetano Pulzone, si misero immediatamente al lavoro scavando fra le macerie.  I militari lavorarono alacremente sotto la pioggia battente e, dopo qualche ora, cominciò la triste conta dei morti che risultarono poi essere cinque.

La prima ad essere estratta fu Emilia Immacolata Rugiero di due anni, figlia di Giovanni Antonio e di Maria Giuseppa Bruno. Pare che la bimba, sfuggita in un primo momento alla morte, perse la vita cadendo dalle braccia della madre svenuta a seguito delle ferite provocate dai detriti che l’avevano colpita.

 Fu poi la volta di Maria Rugiero di anni 45, zia della bambina, del padre di quest’ultima, Michele, della moglie, Maria Greca Zinga, di 66 anni  e di Antonia Grazia Salerno, una  ragazza di 16 anni, nipote di Michele Rugiero, figlia della figlia Maria Saveria e di Vito Cesare Salerno. Alcune salme, appena  recuperate furono, in un primo momento deposte nella casa di quest’ultimo, mentre il corpicino della piccola Emilia Immacolata venne trasportato nella casa della zia materna, Filomena, in via Misericordia.  Subito dopo ebbe inizio il mesto pellegrinaggio di una popolazione affranta e nel contempo terrorizzata dall’accaduto in visita alle salme. Nessuno in paese ricordava una sciagura così spaventosa  paragonabile solo a quelle provocate dai terremoti del 1638 e del 1783.

Qualche giorno dopo il paese partecipò commosso ai funerali delle cinque vittime, nella Chiesa di Santa Maria delle Grazie. Il mesto corteo era aperto dalla bara della piccola Emilia Immacolata e chiuso da quella del patriarca, Michele. A dare l’addio alle povere vittime c’erano anche i soccorritori, quei soldati e il loro comandante che avevano scavato alacremente in quell’ammasso di detriti nel vano tentativo di strappare alla morte quelle sventurate creature.  
   Ringrazio l'Avv. Prof. Michele Rugiero per avermi fornito alcune preziose notizie.

 

 

         Caccuri, 12 marzo 1943   

Venerdì 12 marzo del 1943 Caccuri fu teatro di una delle più spaventose tragedie della sua storia. Da quasi cinque giorni una pioggia tambureggiante cadeva sul paese e sui dintorni e la popolazione se ne stava rintanata nelle povere case del centro storico. I ruscelli a nord e a sud del paese si erano trasformati in impetuosi torrenti che trascinavano a valle ogni cosa. La cittadina, arroccata sulla rupe, sembrava essere al sicuro dalla furia degli elementi, anche se quel tempaccio metteva oggettivamente paura.  Il boato dei tuoni si confondeva con lo scoppio di qualche lontana bomba che Inglesi e Americani, nonostante le avverse condizioni atmosferiche, sganciavano nella zona nel  tentativo di colpire gli impianti idroelettrici di Calusia e Timpagrande o i presidi militari, in preparazione dello sbarco in Sicilia che sarebbe avvenuto da lì a qualche mese e con i tiri della contraerea che da Casa Pasquale e dalla Sila cercava, inutilmente, di respingere gli attacchi.

Le famiglia Rugiero era riunita nella casa di via Murorotto, proprio a ridosso dell’Arco, una casina col piano terra ed un piano sopraelevato,  con un’unica stanza per piano. Fuori diluviava, e l’abitazione era rischiarata dalla tenue fiammella di una lampada a olio. Erano da poco passate le otto di sera. Consumata una cena che, per le ristrettezze dei tempi,  non poteva che essere frugale, la famiglie di Michele Rugiero, pensionato di 72 anni e del figlio Giovanni, si apprestavano ad andare a letto ed alcuni membri si erano già sistemati nei loro poveri giacigli. Assieme a loro c’era anche  la figlia, Maria Rosa, sposata con un crotonese e rifugiatasi a Caccuri per sfuggire ai bombardamenti che martellavano Crotone.

Giovanni Rugiero, la moglie Maria Bruno, i figli Michele (il futuro avvocato e pretore di Savelli), Rosina, Filippo e Emilia Immacolata, si sistemarono al primo piano, mentre il padre Michele, la madre Maria Greca Zinga, originaria di Isola Capo Rizzato, la figlia Maria Rosa e la nipote Antonia Salerno, si apprestavano a sistemarsi nei loro giacigli posti al piano terra.

  All’improvviso, alle 20,40, si udì un sordo boato,  più forte dei tuoni, più agghiacciante delle bombe, mentre una parete della casa, in comune con un’abitazione adiacente, cedette di schianto ed il pavimento del primo piano di casa crollò  seppellendo gli occupanti  del piano terra sotto una montagna di detriti e provocando la morte istantanea di quattro persone.

 I vicini, accorsi sul luogo nonostante le proibitive condizioni del tempo, si resero immediatamente conto della gravità dell’accaduto e diedero l’allarme. Qualcuno tentò disperatamente di mettersi a scavare a mani nude in quell’ammasso di travi, di tegole, di fango, nel buio fitto, mentre qualcun altro corse a dare l’allarme.  Sul posto, accorsero prontamente molti dei   120 soldati del presidio militare alloggiato nel castello di Barracco, che, al comando del tenente Gaetano Pulzone, si misero immediatamente al lavoro scavando fra le macerie.  I militari lavorarono alacremente sotto la pioggia battente e, dopo qualche tempo, cominciò la triste conta dei morti che risultarono poi essere cinque.

La prima ad essere estratta, Emilia Immacolata Rugiero, di due anni, figlia di Giovanni Antonio e di Maria Giuseppa Bruno. Pare che la bimba, sfuggita in un primo momento alla morte, perse la vita cadendo dalle braccia della madre svenuta a seguito delle ferite provocate dai detriti che l’avevano colpita.

 Fu poi la volta di Maria Rugiero di anni 45, zia della bambina, del padre di quest’ultima, Michele, della moglie, Maria Greca Zinga, di 66 anni  e di Antonia Grazia Salerno, una  ragazza di 16 anni, nipote di Michele Rugiero, figlia della figlia Maria Saveria e di Vito Cesare Salerno. Alcune salme, appena  recuperate furono, in un primo momento deposte nella casa di quest’ultimo, mentre il corpicino della piccola Emilia Immacolata veniva trasportato nella casa della zia materna, Filomena, in via Misericordia.  Subito dopo iniziava il mesto pellegrinaggio di una popolazione affranta e, nel contempo,  terrorizzata dall’accaduto. Nessuno in paese ricordava una sciagura così spaventosa  paragonabile solo a quelle provocate dai terremoti del 1638 e del 1783.

Qualche giorno dopo il paese partecipò commosso ai funerali delle cinque vittime, nella Chiesa di Santa Maria delle Grazie. Il mesto corteo era aperto dalla bara della piccola Emilia Immacolata e chiuso da quella del patriarca, Michele. A dare l’addio alle povere vittime c’erano anche i soccorritori, quei soldati e il loro comandante che avevano scavato alacremente in quell’ammasso di detriti nel vano tentativo di strappare alla morte quelle sventurate creature.


ACCADDE OGGI -  DUE UOMINI: STESSA FEDE, STESSO DESTINO
                 di Peppino Marino

 

 

    Il 10 marzo è una data particolare nella storia di Caccuri che accomuna due personaggi molto simili: il sacerdote parroco di accuri, poi tenente propagandista e legionario fiumano Francesco Pasculli e l'avvocato tenente degli arditi Vincenzo Ambrosio. Il primo nacque a Caccuri il 10 marzo del 1878, il secondo, nativo di Roma, figlio dell'avvocato caccurese Giuseppe Ambrosio, trovò la morte il 10 marzo del 1941 a Nivice, in Albania, in combattimento mentre era all'assalto per la terza volta, al comando degli Arditi del 231° Reggimento della Brigata Avellino di una postazione nemica. Entrambi volontari, entrambi accomunati dalla stessa passione e dalla stessa "fiducia incrollabile nei destini della patria" che, invece, crollarono miseramente qualche anno dopo. Un destino,  pietoso, non quello della Patria, ovviamente, volle che nessuno dei due vedesse il crollo rovinoso di quel regime e di quell'Italietta fascista superba e violenta, quanto fragile che si verificò nel giro di un paio di anni trascinando nel baratro l'intero paese. Anche don Francesco, infatti, si spense il 16 maggio dello stesso anno a poco più di due mesi dall'avvocato medaglia d'oro al valor militare. 

ACCADDE DOMANI: GIUSEPPE MELUSO SI SCONTRA CON GLI URBANI DI COTRONEI
                 di Peppino Marino




  
Il 6 marzo del 1834 Giuseppe Peluso detto in Nivaro che ritroveremo col falso nome di Battistino Belcastro come guida dei fratelli Bandiera nel corso del loro tentativo eversivo del 1844, assieme ad altri due fuorilegge sangiovannesi, Rosario Spatafora e Giovanni Candalise, ebbero un conflitto a fuoco in località Manche di Barone, agro di Cotronei, con la Guardia urbana della stessa cittadina. I tre, che alcuni giorni prima avevano sequestrato due fratelli di Papanice, Salvatore e Pantaleone Clausi e che stavano attraversando il territorio cotronellaro probabilmente per trasferire gli ostaggi in Sila, furono costretti a liberare i due fratelli e, attraversato l’Ampollino, si diedero alla fuga verso Campo di Manna. Qui si scontrarono ancora una volta con un gruppo di cacciatori scambiati per urbani. A seguito dei numerosi reati commessi nei territori di San Giovanni in Fiore, Caccuri, Cotronei e Casino (Castelsilano) il brigante sangiovannese, ricercato attivamente dalla guardia urbana dei vari paese e dalla gendarmeria, con l’aiuto del principe Giannuzzi Savelli riuscì a espatriare a Corfù dove conobbe i Bandiera che lo assunsero come guida per la loro spedizione che si concluse alla Stragola ed ebbe il suo epilogo nel vallone di Rovito con la fucilazione dei fratelli veneziani e di alcuni loro compagni.

                 

                                 Pagine di storia caccurese
                                      Uno spaccato del comune nel 1911


  
   Nel 1911 va in pensione il segretario comunale Giovanni Martucci in servizio al Comune di Caccuri da oltre 40 anni con una liquidazione di 460 lire. Il segretario era il padre dell’ingegnere Stanislao una cui figlia sposerà poi il medico cerentinese Giuseppe Dima. Al segretario Martucci subentrò per qualche tempo Vincenzo Ammirati al quale fu assegnato uno stipendio di 960 lire annue. Il segretario Ammirati fu poi sostituito prima dal dottor Vincenzo che nel 1911 era medico condotto del Comune con una paga annua di circa 240 lire e poi, dal 1919 dal dottor Vincenzo  De Franco, medico chirurgo e farmacista, nipote dell’arcivescovo di Catanzaro mons. Raffaele De Franco.
   All’epoca l’ufficio telegrafico, aperto nel 1879, a quarantadue anni dall’invenzione del geniale pittore americano, era ubicato in un locale della signora Luisa De Matteis che percepiva un canone di 60 lire annuo. Lo stesso canone percepiva il signor Domenico Ambrosio per il fitto dei locali di un ambulatorio anti malarico col quale si cercava disperatamente di tenere sotto controllo una malattia che all’epoca era un vero e proprio flagello per le nostre popolazioni.
   Interessante anche la pianta organica del tempo. Oltre al segretario erano previste diverse figure tra le quali il veterinario Savino Pasculli che gestiva anche l’armadio veterinario comunale, la guardia campestre Domenico Caccuri, titolare anche di un negozio di alimentari e un rivendita di tabacchi in via Chiesa, il medico condotto Vincenzo Ambrosio che percepiva uno stipendio annuo di 300 lire, l’uscere inserviente Francesco Belcastro (Ciccillu) il cantoniere Giovanni Quintieri. Una curiosità che vale la pena di riportare: il parroco del tempo don Francesco Antonio Lucente, percepiva una congrua annua di £ 700,50, abbondantemente più del doppio dello stipendio del medico condotto. Evidentemente curare le anime è stato sempre molto più faticoso che curare i corpi.
   Fra gli amministratori del tempo, oltre al sindaco Domenico Ambrosio, troviamo l’agrimensore Antonio Loria in qualità di sindaco facente funzione.

                             

  ACCADDE DOMANI: IL COMUNE approVA IL CONSOLIDAMENTO DELLA CHIESA

 

11/02/1910          

      

   
Il comune approva il progetto di consolidamento della chiesa di Santa Maria delle Grazie redatto dall’ingegnere caccurese Stanislao Martucci. L’intervento prevede la realizzazione del muro di sostegno del piazzale antistante il monumento quattrocentesco. L’importo dei lavori, per  £. 16.850,55 sarà finanziato con un mutuo della Cassa Depositi e Prestiti. Il consolidamento si è reso necessario a seguito dei danni provocati alla chiesa dal terremoto del 1908. Quest'opera, assieme alla rete idrica realizzata all'inizio del Novecento sono le uniche opere che rimangono di un grande tecnico caccurese che costruì diversi capolavori in molti paesi della Calabria.

 

 

  UN BIGLIETTO MISTERIOSO

 



  Più di vent'anni fa un amico di Crotone del quale non ricordo il nome mi fece omaggio di questo biglietto augurale spedito da un anonimo religioso caccurese a un suo amico dottor Giovanni Basta che non sono riuscito a identificare in occasione del suo onomastico. Purtroppo il biglietto è privo di firma e data il che non consente nemmeno di collocarlo in un periodo storico ben definito.  Ve lo propongo con la trascrizione sperando che qualche amico ricercatore possa fornirmi qualche elemento per una eventuale identificazione del mittente e del destinatario.

CACCURI

Lieto di veder succedere nell’ordine dei tempi questo giorno onomastico si onora augurarlo felicissimo al suo affettuoso e leale amico Dottor Giovanni Basta perché entrambi godessero della comune festività e partecipare delle migliori grazie che il S Protettore dispensa ai più fidi servi del cielo.
   E’ questo il suo ardente voto l’ossequia lusingandosi che egli gradisca le dolci espressioni del suo amico e congiungendosi in esse non dubiti di trovare il delicato nettare dell’affetto come quel miele di cui cibassi il Santo.  

Così la Sacra Bibbia
Narrato del gran Battista
Riflettiam nel mistico
Santo la sua rivista:
Ricco del suo profetico
Spirto non era Elia
O come allora intesero
Prenderlo pel Messia.
Felice l’uom partecipa
Di lui al beato merto
Mentre dal primo nascere
Sol vive in un deserto.
Digiuna, in peli ruvidi
Ne cinge di cammello
I lombi e quindi al seguito
Mostrar di Dio l’Agnello.

 

ACCADDE DOMANI: RESISTENZA DUO SICILIANA

 

 

28/01/1861        

 

      La Guardia Nazionale di San Giovanni in Fiore, al comando di Salvatore Barberio, insieme al luogotenente dei carabinieri  Leopoldo Bianchi e al tenente Antonio Ripoli, arresta a Gimmella  Domenico Scarcella che si sta recando ad una riunione  cospirativa a Acquafredda tenuta da un noto agitatore anti piemontese, il frate padre Clemente da Sersale.  I carabinieri e la Guardia nazionale accorrono ad Acquafredda, ma non trovano nessuno. Al ritorno, a Gimmella, intercettano  tre individui. Due vengono catturati, mentre il terzo riesce a dileguarsi nella boscaglia mentre infuria una tormenta di neve.  L’ uomo che sfugge alla cattura è proprio padre Clemente da Sersale.
    La zona tra Gimmella e Compodimanno in agro di San Giovanni n Fiore fu teatro di molte sfortunate imprese dei partigiani calabresi, etichettati come briganti, che combattevano l'aggressore piemontese.

 

CENNI SU Santa Maria dei Tre Fanciulli o della paganella

       


 

 

 

A vederla così piccina e nei pressi dei ruderi di una brutta costruzione posticcia sorta probabilmente ai tempi del famigerato "Piano verde"  la crederesti una delle tante chiese di campagna sparse qua e là per l’Italia e che, tanti e tanti anni fa, accoglievano, la domenica, qualche villico per la messa. Invece questo minuscolo tempietto a due passi da Caccuri, in località Patia, sulla strada per Fantino e San Giovanni in Fiore,  è tutto ciò che resta dell’antichissimo monastero basiliano "di Santa Maria Trium Puerorum seu S. Maria la Nova o della Paganella", come fu denominata, nel corso dei secoli,  la chiesa annessa al cenobio.
    “Della sua fondatione et erettione non si have memoria certa per essersi disperse le scritture” è scritto in una relazione del priore Gregorio Ricciuti e del sacerdote Michelangelo Prospero commissionata da papa Innocenzo X° e datata 20 marzo 1650, ma l’origine del monastero risale, quasi certamente, al periodo compreso tra il V° e il IX° secolo e fu opera  di anacoreti bizantini. Il quel periodo, infatti,  si registra nelle nostre contrade un notevole afflusso monastico basiliano che dà origine, oltre che ad alcuni luoghi di culto rupestri, come quello di Timpa dei Santi, anche ad altri due monasteri: quello di S. Maria di Càbria e quello dell’Abate Marco.
    Il declino del convento basiliano, che pure si distinse per il notevole spirito battagliero contro l’invadenza monacale latina, ebbe inizio con la donazione dell’imperatore Enrico VI° del 1195 (praticamente l'attuale territorio del comune di San Giovanni in Fiore)  con la quale il sovrano concedeva all’abate Gioacchino da Fiore un vasto territorio su parte del quale, fino a quel momento i monaci greci e la popolazione di Caccuri viveno in pace,  pascevano gli armenti ed esercitavano gli usi civici. Da allora il monastero dei “Tre fanciulli” perse ogni importanza fino a diventare una proprietà dell’ordine florense.
    Nella citata relazione del XVII° secolo si fa cenno al pessimo stato  dell’eremo attribuendone la causa al fatto che, per molto tempo, era rimasto disabitato. Ma, forse la vera causa del declino e dell’abbandono va ricercata nella decisione di papa Alessandro VI° Borgia del 13 settembre del 1500 di dare l’abbazia in commenda. Da allora i commendatari si preoccuparono soltanto di riscuoterne le rendite lasciando nell’incuria e nell’abbandono ogni cosa. Poi, per volere di Pio IV°, Pio V° e, soprattutto di Sisto V°, il monastero riacquistò importanza e vi fu reintrodotto il culto. Nel 1560, comunque, come apprendiamo dalla stessa relazione, oltre alla chiesa che misurava “di lunghezza 58 palmi ed uguale larghezza col suo altare maggiore”, vi era un cortile grande circondato da mura. “Nel piano di detto cortile” vi erano cinque stanze abitabili ed una scoperta “le quali servono per cocina, forno, cellaro (cantina) , magazeno e stalla.”  Pochi anni prima che i due religiosi stilassero la relazione era stato danneggiato dallo spaventoso terremoto del 1638 che provocò notevoli danni anche nella vicina Caccuri.  Nei secoli successivi fu completamente abbandonato tanto che crollò rimanendo in piedi solo la chiesetta rimessa in sesto poco dopo la metà del secolo scorso. Attualmente vi si celebra la festa della “Madonna di Apatia” la prima domenica di settembre alla quale partecipano moltissimi fedeli di Caccuri, San Giovanni in Fiore ed altri paesi del circondario.

 

 

CENNI SUL VESCOVO CACCURESE GIOVANNI CARNUTO

   Il 15 gennaio del 1535 il vescovo caccurese mons. Giovanni Carnuto, già presule della diocesi di Carinola in provincia di Caserta,  viene nominato da papa Paolo III vescovo di Cerenzia e Cariati.  Ecco cosa scrive Domenico Taccone - Gallucci, vescovo di Nicotera e Tropea, nel 1902  a pagina 428 dei Regesti dei romani Pontefici per le Chiese della Calabria  nella Cronotassi dei Metropolitani e vescovi della Calabria  "Giovanni Carnuto traslato da Carinola. Assaltata Cariati dai Turchi nel 1543, questo Prelato fu preso e portato in ischiavitù ad Algeri."
    Monsignor Carnuto nacque a Caccuri sul finire del XV° secolo.  Si trovava proprio in quest’ultima cittadina nel mese di luglio del 1543, come scrive lo storico di Francica, Gabriele Barrio, contemporaneo del vescovo caccurese,  quando una feroce scorreria dell’ammiraglio corsaro Khair Ad Din,  meglio conosciuto come Barbarossa che, dopo la sconfitta patita ad opera di Andrea Doria a Prevesa si era dato alla pirateria,  devastò la cittadina  e provocò la morte di centinaia di persone. Mons. Carnuto fu catturato e condotto prigioniero a Algeri dove morì nel 1545. 
  
Di mons. Carnuto abbiamo pochissime notizie. Nacque quando ancora non era stato edificato il convento domenicano e la prima chiesa di Santa Maria delle Grazie, quella poi distrutta dal terremoto del 1659, era stata costruita qualche decennio prima ed emerse tra i numerosi membri del clero caccurese tanto da ricevere, nel 1530, la mitra e la nomina nella diocesi di Carinola in provincia di Caserta. Un altro dei tanti illustri caccuresi che i giovani non conoscono e che probabilmente non conosceranno mai perché nessuno si cura di tramandarne la memoria, nel mentre ci affanniamo a inventarci storie suggestive di abbazie e di castelli medioevali.

 

OMAGGIO A DUE GRANDI "MARIO"

 


Mettendo ordine nei miei archivi digitali oggi mi sono imbattuto in questa bellissima foto del 1985 scattata in occasione dell'intitolazione della Sezione PCI di Caccuri al professore Mario Filippo Sperlì, intellettuale, dirigente prima del PSI, poi del PSIUP e  del PCI, direttore didattico, consigliere provinciale e dirigente autorevole del partito che ci aveva lasciato qualche mese prima.  A commemorare il compagno Sperlì, oltre all'autore di queste note, all'epoca presidente della Comunità Montana Alto Crotonese e dirigente provinciale del PCI, c'erano anche il sindaco di Caccuri Antonio Lacaria, il segretario della sezione, Peppino Miliè e il carissimo compagno e amico Mario Sestito, prestigioso dirigente politico, senatore e poi presidente del Comitato di gestione dell'USL di Crotone. 
   Per Mario, originario di Petilia Policastro, Caccuri era una specie di seconda patria nella quale veniva sempre volentieri per seguire assemblee, congressi di sezioni, manifestazioni elettorali, feste della donna, insomma ogni occasione, ogni iniziativa era buona per ritrovarsi con i compagni di Caccuri, fare Politica con la "P" maiuscola e poi trascorrere bellissimi momenti conviviali vissuti fraternamente così come si usava un tempo tra compagni (cum panis), gente che condivideva ideali grandi, saldi, radicati. Un saluto deferente ai due compagni "Mario" che, oltre agli ideali, condividevano anche il nome. 

 

L’Asilo infantile “Giovanni Cena” di Caccuri


 

La storia dell’ asilo infantile “Giovanni Cena”, piccola istituzione scolastica caccurese nata nel 1919 per iniziativa della locale sezione dell’Opera Nazionale Combattenti alla quale erano iscritti molti esponenti del Partito Popolare di don Luigi Sturzo, qualche socialista e comunista e che aveva per dirigenti il valente fabbro Giuseppe Gigliotti ed il reverendo don Giuseppe Pitaro,  testimonia dell’intelligenza e della solerzia dei Caccuresi che, sin dall’inizio del secolo, si batterono, in sintonia con le più belle menti dell’epoca, per promuovere, anche nel nostro sperduto paesello, l’educazione e l’istruzione delle giovani generazioni fin dalla più tenera età.

A quattro anni dalla fondazione, nel 1923, con Regio decreto del 31 ottobre, l’asilo venne eretto in ente morale a seguito di un’ampia ed approfondita istruttoria da parte del Consiglio di Stato. La relazione ne individuava la grande valenza pubblica in quanto l’istituzione era chiamata ad operare in uno sperduto paese di montagna nel quale degrado e miseria erano piuttosto diffusi.

Nel lungo periodo nel quale funzionò la scuola fu frequentata da un centinaio di bambini e, nei primi anni, ospitò anche una scuola di sartoria e di ricamo gestita da alcune suore e frequentata da decine di ragazze caccuresi. Accusate dai fascisti locali di propaganda sediziosa a favore dei popolari, le suore furono costrette, nonostante un autorevole intervento di don Sturzo presso il ministro della Pubblica Istruzione dell’epoca,  a chiudere la scuola e, da allora, l’asilo fu frequentato esclusivamente da bambini.

Nel secondo dopoguerra l’istituto doveva essere trasferito in un fabbricato rurale di proprietà della famiglia Ambrosio e legarsi al nome di Raffaele e Vincenzo Ambrosio, due giovani eroi di guerra caccuresi (il secondo, caduto in Albania, ottenne la medaglia d’oro al valor militare), ma, per problemi burocratici e finanziari non se ne fece mai nulla e la scuola fu poi ospitata nel vecchio palazzo De Franco di via Buonasera.  A dirigerla fu chiamato il maestro elementare Umberto Ambrosio,  zio dei due eroi.

Nei primi anni ’70, a seguito della istituzione della scuola materna statale, l’asilo “Giovanni Cena” decadde e fu soppresso, ma, chi oggi ha più di trent’anni, ricorda ancora le giornate trascorse da bambino, insieme agli altri coetanei, nelle buie, ma accoglienti stanze del palazzo De Franco.

 

 

                                                           IL PARTIGIANO FRA DIAVOLO 



    Mi capita a volte, discutendo con alcuni amici, di accostare i briganti anti francesi e quelli che combatterono gli invasori piemontesi ai partigiani anti fascisti che fecero la Resistenza contro l'invasore nazista sollevando quasi sempre polemiche e reazioni sdegnate anche in persone che non sono tenere col "risorgimento". Credo che se li paragonassi agli ucraini che combattono contro gli invasori russi otterrei lo stesso risultato. La qualifica di partigiano è come il sigaro e la laurea, si regala a tutti, tranne che ai briganti marchiati a fuoco dai francesi, poi dai Cialdini, dai Lamarmora, dai Pallavicino e oggi da molti intellettuali meridionali. 
   Allora forse conviene dare la parola a uno scrittore autorevole figlio di un generale che i briganti antifrancesi li combatté ferocemente. 

"Fra Diavolo ‎personificava quel personaggio tipico, che si incontra in tutti i paesi invasi dallo straniero, il ‎brigante-patriota, l’insorto legittimo in lotta contro l’invasore. Egli era in Italia, ciò che sono stati, ‎in seguito, Juan Martín Díez ‘El Empecinado’ in Spagna, Canaris in Grecia e Abd-el-Kader in ‎Africa…”
               
                                Victor Hugo, figlio del generale francese Joseph Léopold Sigisbert Hugo
             

 

                           IL GENERALE RIZZO CREA IL 10° GRANATIERI DI SAVOIA 

  Tra i tanti importati, prestigiosi incarichi che furono affidati al generale di divisione caccurese Antonio Rizzo, eroe del Piave, vincitore di tante battaglie, decorato ben 27 volte  tra medaglie d'argento, di bronzo, croci di guerra, Citation a l'Ordre de l'Armeè, l'ufficiale che catturò Ras Dastà, il genero di Hailé Selassié, l'imperatore dell' Etiopia vigliaccamente aggredito dall'Italia fascista, figura anche quello della fondazione del 10° Reggimento Granatieri di Savoia che l'allora colonnello Rizzo ricevette dal generale Luigi Perego. La nascita nascita e la crescita quotidiana di questa nuova unità organica dell'Esercito italiano sono documentate giorno per giorno in un diario storico che l'illustre caccurese tenne dal 7 ottobre del 1936 al 30 aprile del 1938. Da questo importante documento traspare la sua grande capacità organizzativa e dirigenziale, la profonda conoscenza delle esigenze dell'esercito e la grande capacità di farsi amare e rispettare dai suoi uomini e dai suoi stretti collaboratori. Insomma un degno concittadino del grande Cicco Simonetta. 

 

                                DALL'ANGELO DEL SIGNORE A SANTA MARIA DEI TRE FANCIULLI 

   Tra cose più interessanti del patrimonio storico - culturale della nostra zona figura questo quadro collocato nella chiesetta di Patia ricostruita sui ruderi dell'antichissimo monastero basiliano del Tre fanciulli edificato negli ultimi secoli del primo millennio dagli anacoreti seguaci del culto di San Basilio rifugiatisi nell'Italia meridionale per sfuggire alle persecuzioni dell'imperatore iconoclasta Leone III Isaurico. Prima di erigere il cenobio a due passi da Caccuri, i basiliani si insediarono a Timpa dei Santi, ai piedi di Serra del Bosco di Casalinuovo sulla riva sinistra del Neto in territorio caccurese. Oltre al Trium puerorum, sempre in territorio caccurese vi erano altri due insediamenti monastici, quello di Santa Maria di Cabria oggi in territorio di Savelli, e quello dell'Abate Marco.  I tre monasteri poi, con la vastissima donazione di Enrico VI all'abate Gioacchino da Fiore e la latinizzazione forzata del rito greco finirono nell'orbita florese e furono lasciati andare in malora.
   Il quadro di Patia è una riproposizione in chiave cristiana della vicenda di tre giovani che si rifiutarono di adorare gli idoli e che il re Nabucodonosor fece gettare in una fornace salvati da un angelo mentre se ne stavano tranquilli tra le fiamme pregando e lodando il Signore. Qualche secolo dopo l'angelo viene sostituito dalla madonna che diventa appunto Santa Maria Trium puerorum. 
  

                              UNA PIOGGIA DI INDULGENZE PLENARIE                                            



   E' impressionante la quantità di indulgenze che si possono lucrare a Caccuri grazie all'attivismo, nei secoli scorsi, della Congregazione del SS. Rosario e alla intraprendenza dei confratelli che riuscirono a conquistarsi la benevolenza di due papi, Leone XII e Gregorio XVI. 
   Papa Leone nel luglio del 1824, su sollecitazione del cardinale Nava, concesse un primo privilegio in base al quale chi visita la chiesetta nei giorni delle feste principali e in una qualsiasi domenica dell'anno acquista l'indulgenza plenaria. Qualche tempo dopo lo stesso papa ne aggiunse degli altri, cosa che fece anche Gregorio XVI  il 27 marzo del 1835. L'elenco completo dei benefici è compreso in questo antico manifesto ancora oggi affisso sugli scanni della stupenda cappella all'interno del vecchio convento domenicano. In particolare l'indulgenza plenaria si può lucrare visitando la cappella "dai primi vespri al tramonto del sole", durante la festa dell'Annunziata, nelle prime domeniche del mese, nelle Feste dei Misteri del Rosario, assistendo alla Salve dopo compieta (ultima preghiera della sera), visitando gli infermi e in tante altre occasioni. Visitando, inoltre, la cappella ogni giorno, si acquistano ben 300 giorni di indulgenze. Insomma una pioggia di benefici che si acquistano, tutto sommato, con facilità, ma che qualche secolo prima del provvedimento di Leone XII pare si vendessero a caro prezzo tanto da spingere un monaco  tedesco, un certo Lutero, a scatenare un pandemonio e a provocare l'ennesima spaccatura tra i cristiani con la conseguente nascita delle religioni protestanti

             
                            
UMBERTO IACONIS, IL CARABINIERE CACCURESE CHE LIBERò SALERNO   


     Una delle prime pagine della Resistenza italiana fu scritta a Salerno nelle ore immediatamente successive allo sbarco alleato dell’8 settembre 1943 in Sicilia. Protagonisti di una serie di episodi che diedero inizio al riscatto dell’onore e della dignità degli italiani calpestati dal fascismo e dai suoi alleati germanici furono un gruppo di carabinieri e di partigiani che tennero scacco alla soldataglia nazista e la cacciarono dalla città.  Tra i militari figura un caccurese, Umberto Iaconis, all’epoca capitano comandante di una caserma della provincia campana che in seguito raggiungerà il grado di tenente colonnello.
   La mattina del 10 settembre 1943 una quindicina di soldati tedeschi a bordo di un’autoblinda e armati di pistole mitragliatrici fanno irruzione nel cortile della caserma intimando ai carabinieri di consegnare le armi e di arrendersi. L’ufficiale caccurese, non solo rifiuta di farsi disarmare assieme ai suoi carabinieri tra i quali l’eroico maresciallo lucano Donato Telesca, ma li caccia dalla caserma dichiarandosi pronto a combattere.  Poche ore dopo i tedeschi, ormai allo sbando, tentano di saccheggiare il Banco di Napoli nei pressi del Teatro Verdi a poche centinaia di metri dal porto per impossessarsi del denaro custodito nella filiale, ma ancora una volta il capitano Iaconis e il maresciallo Telesca, coadiuvati da alcuni partigiani li attaccano ingaggiando una vera e propria battaglia che si conclude con l’ignominiosa fuga dei baldanzosi soldati germanici. Per questi meriti il capitano caccurese venne “equiparato, ai sensi del DL 93 del 6 settembre 1946, ai combattenti volontari della libertà quale comandante di una formazione partigiana dal 9/9/1943 al 26/9/1943 in Salerno.”
    Il tenente colonnello Iaconis era nato a Caccuri il 3 settembre 1896 da Giuseppe e da Costanza Secreto. Parte delle imprese dell’ufficiale caccurese si possono leggere su questo interessante libro di Ubaldo Baldi sulla Resistenza salernitana.

http://www.istitutogalanteoliva.it/wp-content/uploads/2013/08/libroubaldo.pdf

                                                                       PARROCCHIE  CACCURESI

    Nel 1529 la parrocchia caccurese di San Nicola era affidata al parroco Donato Mauro. Nello stesso anno, a seguito delle dimissioni del sacerdote, divenne parroco don Angelo Mauro e, nel 1539, fu gli subentrò l’abate Salvatore Rota. Sarà questi a donare, qualche anno dopo, la statua di Santa Maria del Soccorso al monastero dominicano edificato qualche anno prima.       Anticamente le parrocchie caccuresi erano tre: quella arcipretale di Santa Maria delle Grazie, quella di San Pietro e quella, appunto, di San Nicola.  Le funzioni religiose di tutte parrocchie venivano comunque celebrate nella chiesa di Santa Maria delle Grazie e, in alcune particolari occasioni, in quella di San Marco, a metà strada tra il convento dei domenicani e il centro storico.

 

        ACCADDE OGGI: SI SPEGNE ALFONSO CHIODO PRIMO SINDACO ELETTO COMUNISTA



  
Il 10 febbraio del 1989 moriva Alfonso Chiodo, primo sindaco comunista di Caccuri dopo la Liberazione. Era nato a Caccuri il 15 marzo del 1907 da Luigi e da Gelsomina Sellaro. Alfonso fu l'amico inseparabile di Giuseppe Lacaria detto Cozzinuguru, uno studente di ingegneria comunista e antifascista che dovette riparare in Belgio, dove si spense il 25 aprile del 1930 per gli stenti all'età di 24 anni.  Alfonso e Giuseppe erano in buoni rapporti con l'arciprete don Peppino Pitaro, esponente del Partito Popolare che cercò di avvicinarli al cattolicesimo popolare, ma i due giovani comunisti non rinnegarono la loro fede comunista.  Nella foto, scattata nel parco del Barone Barracco, Alfonso è il giovane a destra. 
  Dopo l'8 settembre del 1943 prese contatti con esponenti del Partito di Catanzaro e fondò la Sezione del PCI di Caccuri. Il 31 marzo del 1946, alla testa di una lista di centro sinistra che comprendeva comunisti, socialisti, democristiani e due indipendenti vinse le prime elezioni amministrative nelle quali, per la prima volta in Italia, votarono anche le donne e poco dopo venne eletto sindaco del paese carica che mantenne fino al 31 ottobre dell'anno dopo quando gli subentrò proprio don Peppino Pitaro a seguito dello scioglimento del consiglio eletto l'anno precedente a seguito  dell'autonomia dell'ex frazione di Cerenzia che divenne comune autonomo. 
  Alfonso era il padre del cardiochirurgo Gigi Chiodo e nonno del professore Fabrizio Chiodo, lo scienziato italiano che ha collaborato alla messa a punto del vaccino anticovid cubano Soberana. 



                           UN CACCURESE ARCIVESCOVO DI TRANI E BARLETTA
                                                          
di Peppino Marino

     Il 3 febbraio del 1769 moriva a Trani l'arcivescovo della città   Domenico Andrea Cavalcanti, fratello minore di mons. Francesco Antonio, arcivescovo di Cosenza dal 20 maggio del 1743 al 1848.
 Mons. Domenico Antonio nacque a Caccuri il 26 ottobre del 1698 nella dimora ducale, poi castello Barracco che don Antonio, primo barone della ramo della dinastia caccurese della famiglia aveva comprato dai Cimino e fatto restaurare qualche decennio prima .  Anch’egli, abbracciò giovanissimo la carriera religiosa seguendo, passo,  passo il più anziano fratello. Probabilmente i due si avvicinarono ai sacramenti per la loro prima volta nella loro vita nella cappella privata all'interno del palazzo ducale che che don Antonio aveva fatto costruire e per la quale, nel 1669 aveva ottenuto l' "indulto oratorii privati in domo suae habitationis" ovvero la consacrazione.
   Ordinato sacerdote il 5 ottobre del 1721, Domenico Antonio entrò a far parte della Congregazione dei  Chierici regolari e quando nel 1743 mons. Francesco Antonio lasciò la carica di Preposito generale dell’Ordine per assumere la cattedra dell’Arcidiocesi di Cosenza, subentrò al fratello nella stessa carica.
   L'Ordine dei Chierici Regolarei Teatini  fu fondato nella basilica di San Pietro in Vaticano a Roma il 14 settembre 1524 da san Gaetano di Thiene e Gian Pietro Carafa,  episcopus theatinus, cioè vescovo di Chieti e fu approvato da papa Clemente VII il 24 giugno 1524.
    Il 12 maggio del 1755 il religioso caccurese fu nominato arcivescovo di Trani e qualche giorno dopo, il 18 maggio, ricevette l’ordinazione, quindi, il 22 dello stesso mese si insediò nell’arcidiocesi pugliese. 
   Nel 1749, un anno dopo la morte del fratello maggiore, fu  lui a completare e pubblicare l’opera  Vindiciae Romanorum Pontificium . Opus posthumum che  mons. Francesco Antonio aveva lasciato incompiuta presso l'editore Girolamo Mainardi. Ciò fu possibile grazie alle sue profonde conoscenze del diritto e della storia della Chiesa, materie nella quali era assai ferrato. 

  
Nel 1755, poco dopo l’insediamento della diocesi pugliese scrisse la sua prima lettera pastorale dal titolo  Ad clerum, populumque suum epistola.
 

               Una tragedia sfiorata


   In una notte d’inverno del 1940, Giuseppe De Carlo e la moglie, Margherita Allevato, dormono, in una “casella” sulle pendici della Serra Grande presa in fitto dal signor Pisano. Nella stessa abitazione, una sola stanza di pochi metri quadrati, dorme anche una loro figlioletta.  A qualche metro dall’uscio, davanti la casupola, c’è una porcile nel quale la famiglia alleva un maiale che, da lì a qualche giorno, sarà ucciso per ricavarne salsicce, prosciutti, soppressate, strutto, insomma tutto ciò di cui la famigliola ha bisogno.  Fuori piove a dirotto e il vento mugola rabbioso.
    All’improvviso i coniugi vengono svegliati da uno spaventoso rumore, una specie di tuono prolungato, mentre il letto comincia a tremare come per un forte terremoto. Sono attimi di terrore, poi, si ode un qualcosa che fa pensare ad  forte esplosione. All’improvviso un enorme oggetto sfonda il tetto e un piomba in casa sfiorando il letto matrimoniale e  sfondando la parete anteriore, prima di proseguire la sua folle corsa. Contemporaneamente un torrente di acqua penetra nella casupola inzuppando ogni cosa. I due, terrorizzati, prendono in braccio la figlioletta e si precipitano fuori invocando un aiuto che in quel momento nessuno può dare loro, poi si avviano verso il vicino rione Parte dove bussano alla porta di una casa e si fanno ospitare.
    Al mattino molti curiosi, assieme ai carabinieri e  alle guardie municipali si recano sul luogo per rendersi conto dell’accaduto. Ai loro occhi si presenta una scena apocalittica. Il tetto della casetta è  quasi completamente sfondato, così come la parete anteriore. Il porcile è distrutto e il povero maiale è stato ridotto in poltiglia da un enorme masso che si è staccato dal costone roccioso sovrastante e che, solo per un miracolo, non ha investito le tre persone all’interno della casa, pur avendole sfiorate.
   La casetta fu poi ricostruita ed esiste ancora, ma da allora fu adibita solo al ricovero di attrezzi agricoli. 

                              SAN ROCCO E IL "PELLEGRINAGGIO CACCURESE                                       

   La processione di San Rocco, come sa ogni caccurese, è sempre stata la più lunga e la più importante tra le tante che scandivano l'anno liturgico del nostro paese. Il santo francese, oltre a essere il patrono del paese, era notoriamente uno dei primi volontari che si recava casa per casa a curare gli appestati, anche a costo di contagiarsi egli stesso come poi successe realmente. Nell'immaginario collettivo, perciò divenne subito il santo che visitava gli ammalati, i bisognosi di cure e di amore, che passava per tutte le strade, che visitava tutte le case per cui la processione assunse questo connotato simbolico a riprodurre con questo rito la vita e la missione del santo pellegrino. Ovviamente, come tutti i veri santi, anche San Rocco non faceva distinzione tra ricchi e poveri, contadini e artigiani, borghesi e nobili per cui non mancava mai la visita al palazzo del Duca di Caccuri e alla sua famiglia che aveva dato alla chiesa, fra l'altro, due arcivescovi, dove sostava un bel po' nella cappella ducale per omaggiare ed essere omaggiato dai potenti feudatari. 
    La processione del 16 agosto usciva dalla chiesetta all'entrata est del paese, sotto la Porta Piccola, verso le 6 del mattino quando braccianti, contadini, artigiani erano già svegli da un pezzo, attraversava le strade del paese e giungeva alla chiesa di San Marco a ridosso del Cucinaro e, dopo una breve sosta, al convento dei domenicani dove sostava più a lungo.  All'epoca non esistevano né i Croci, né la Parte che sorsero solo negli anni 20 del secolo scorso. Poi ripartiva, raggiungeva la Porta Grande, imboccava la via Buonasera e arrivava al palazzo ducale dove, mentre il santo sostava nella chiesetta,  la servitù serviva il rinfresco offerto dai signori Cavalcante e dal fratello del duca, don Antonio, cavaliere gerosolimitano e priore della congregazione del SS. Rosario  ai portantini e agli esponenti del clero. Questa tradizione fu mantenuta anche nell'epoca Barracco quando ai duchi subentrarono il barone Guglielmo e la baronessa Giulia, sua nipote e moglie e si protrae anche oggi che il palazzo non ospita più nobili. 
   Questa foto degli anni '60 documenta uno dei tanti "pellegrinaggi" del santo di Montpellier all'antico palazzo signorile. Fu infatti scattata all'interno del cortile e ci mostra un bel po' di caccuresi molti dei quali non sono più con noi da anni. Da sinistra si riconoscono Vincenzo Fazio (Ciciarone), Luigi Falbo (Luiginu 'u Zicallu), Peppino Rao, Luigino Aiello, Ciccio Tridico, Ottavio Mercuri, Lino Ventura, Luigi Pisano e Giovanni Girimonte (Giovanni 'e Nello) con la croce di penitenza. Un pezzo di storia caccurese in un solo scatto. 

 

                                       VINCENZO SGRO: UN MILITARE EROE DI CIVISMO

  Ieri mi sono occupato degli eroi caccuresi, di quegli alti ufficiali, carabinieri, soldati semplici che si resero protagonisti di atti eroici tanto da meritarsi una medaglia d’oro e diverse di argento e di bronzo. Oggi mi piace ricordare un altro grande ufficiale caccurese, il secondo dei generali che videro la luce in questo fortunato, immemore paese, Vincenzo Sgro.
   Se il generale Antonio Rizzo si rese protagonista di numerose imprese belliche tra le quali una che rese reale la vecchia leggenda di Orazio Coclite fermando con un pugno di uomini un reggimento nemico per consentire al resto dell’esercito italiano in ritirata di mettersi in salvo oltre il Tagliamento, prima di attraversare ferito il fiume e ricongiungersi al resto dell’esercito, se il tenente colonnello Umberto Iaconis, uno dei primi soldati partigiani che non solo non si fece disarmare, assieme ai suoi uomini, dai tedeschi, ma li cacciò prima dalla caserma nella quale si erano presentati a bordo di autoblindo e poi da Salerno, il generale Sgro si rese protagonista di numerose imprese civili non meno importanti. Egli, infatti, da quell’ uomo generoso e altruista che era, fu il fondatore della delegazione della Croce Rossa di Palmanova, la città nella quale risiedeva, di un’associazione che curava i ragazzi portatori di handicap mediante l’ippoterapia, nonché l'animatore e il responsabile di un campo profughi che accoglieva cittadini della ex Jugoslavia martoriata dalla guerra. Fu attivo per molti anni anche come donatore di sangue. Tra i tanti privilegi e le tante fortune che ho avuto nella vita annovero anche quella di aver conosciuto quest’uomo straordinario e di aver goduto della sua amicizia e della sua stima. 

                                          EROI CACCURESI

   Caccuri, oltre a essere un paese di grandi politici, letterati, diplomatici come i Simonetta, Cicco, cancelliere e segretario del Ducato di Milano, il fratello Giovanni, storico, lo zio Angelo, ambasciatore di Francesco sforza a Venezia, dell’agiografo Cornelio Pelusio, di vescovi e arcivescovi come Raffaele De Franco, Francesco Antonio e Domenico Antonio Cavalcante, Giovanni Carnuto, il poeta Umberto Lafortuna e altri ancora, fu anche un paese di eroi che si coprirono di medaglie e si distinsero per coraggio e grandi gesta. Qui di seguito ne elenchiamo alcuni.

 Vincenzo Ambrosio, tenente degli arditi, medaglia d’oro caduto a Nivice, Albania nel 1943;

Umberto Iaconis, tenente colonnello dei carabinieri, medaglia d’argento della Grande guerra, poi comandante partigiano che cacciò i tedeschi da Salerno dopo essersi rifiutato di consegnare loro le armi;

Maurizio Sgro, bersagliere, medaglia d’argento al valor militare per aver tenuto testa per una intera giornata agli austriaci consentendo ai commilitoni di scavare in sicurezza una trincea;

Giovanni Dardani, carabiniere caduto eroicamente nel corso di un’azione contro la banda Giuliano;

Antonio Rizzo, generale di divisione, due volte medaglia d’argento al valoro militare, quattro medaglie di bronzo, quattro croci di guerra, la Legione d’onore francese e altre decorazioni per un totale di 27 che ne fecero il soldato più decorato nella storia dell’esercito italiano.

   A loro si aggiungono altri caccuresi insigniti di onorificenze minori, ma non meno gloriose per il loro sacrificio e la loro abnegazione nel corso di guerre che spesso aborrivano, ma che dovevano combattere per l’insania e la brama di potere dei governanti. Non vanno nemmeno dimenticati i tanti eroici caduti caccuresi  che non ebbero nemmeno questi riconoscimenti.

 

                                            OMAGGIO A VINCENZO GUZZO ('U POETA)

 



   Oggi voglio fare un omaggio a un poeta caccurese, anzi "Al Poeta" come lo ribattezzarono i paesani per distinguerlo dagli altri "Vincenzo Guzzo" che vivevano a Caccuri. 
   Vincenzo era stato finanziere, poi, congedatosi, tornò a fare il contadino  e il frantoiano. Non so che studi avesse fatto, probabilmente si era fermato alla licenza elementare, ma so per certo che conosceva benissimo la rima incrociata, come nel caso di questa lirica dedicata ai mietitori, quella baciata e quella alternata e una discreta capacità di sfornare versi, semplici, forse un po' ingenui, a volte didascalici,  ma efficaci  e che ispiravano buoni sentimenti. Insomma un uomo colto nel senso vero del termine, una cultura che racchiudeva un patrimonio di conoscenze tipico della civiltà contadina, di valori, di moralità che è cosa diversa dall'istruzione spesso vacua e sterile della quale spesso facciamo sfoggio ai nostri giorni. Dobbiamo davvero essere grati a uomini come lui. 

MIETITORI CALABRESI

Turbe di gente riunite vanno
Canti di gioia e gridi d’allegria
Coi loro canti fanno un’armonia
Il prezioso grano mieteranno

 Cannelli ai dita ed un falcetto in mano
Cantano l’addio calabrisella
Passan tranquilla la giornata bella
E  falceranno il prezioso grano

 Rastrellano le messi e bevon vini
Non sentono stanchezza vera e strana
Nella giornata calda e pur malsana
Quei valorosi e forti contadini  

Le greggi al prato fanno un tintinnio.
Fra i canti di cicala scampanella
Fanno festosa la giornata bella
Con grande affetto e l’aiuto di Dio.

Caccuri 1947

 

                                                                         UN PO' DI STORIA DEL NOVECENTO

 

   Questa foto ha un inestimabile valore storico, non tanto per l'evento che documenta, l'edizione de I Giudei del 1965, una rappresentazione sacra ripresa dopo molti anni dalla fine della guerra, portata avanti per qualche decennio e oggi di nuovo assente da oltre tre lustri, quanto per la documentazione di uno dei tanti sfregi al patrimonio paesaggistico dei quali cii siamo macchiati nel corso di un secolo, dal 1919 a oggi. 
   Il luogo in foto era una piccola valle, praticamente l'inizio di Valle del Pero, chiusa tra la Serra del Cucco e le colline di San Nicola, un luogo ricchissimo di formazioni arenarie e di fossili con una lussureggiante vegetazione di cisto, euforbie e spine che a primavera la "ricoprivano d'oro." Ricordo che quando accompagnavo nonno Saverio alla vigna, poi in parte espropriata dal comune, mi ritrovavo tra i piedi centinaia di fossili di forme diverse: conchiglie, strani peschi, rettili simili a gechi. 
   Un giorno un gruppo ragazzi esasperati per la mancanza di un campo sportivo, si armò di picconi e badili e cominciò a spianare quel paradiso naturalistico per farci un campetto di calcio. L'amministrazione comunale dell'epoca, non solo non li blocco, ma mandò addirittura una ruspa per qualche ora per continuare l'opera. Il risultato è quello che si vede in foto, un campetto irregolare sul quale i ragazzi giocavano qualche partitella. Allora si era ancora in tempo per fermare il degrado, ma qualche anno dopo  la piccola valle divenne una gigantesca discarica di materiali di risulta e trasformata, anche grazie allo sventramento di quel che rimaneva della collina arenaria a destra nella foto, nell'attuale campo sportivo. Nei dintorni dell'abitato c'erano molti altri luoghi pianeggianti che avrebbero potuto ospitare perfino uno stadio nel rispetto del paesaggio, forse anche con una spesa molto più contenuta, ma si preferì questa "soluzione del problema" suggerita, fra l'altro, da un gruppo di ragazzini. 

                                                            
                                         I FABBRI FERRAI DEL XX SECOLO



  
Caccuri è sempre stato un paese di grandi artigiani, una tradizione plurisecolari. In alcuni antichi manoscritti e vecchie cartine geografiche si trovano rifermenti all’arte orafa caccurese che scomparve, probabilmente, con il trasferimento degli antichi maestri a San Giovanni in Fiore a seguito dei benefici concessi dall’abate Rota in virtù di un diploma dell’imperatore Carlo V nel XVI secolo. Nello stesso secolo operava a Caccuri il maestro fonditore Angelo Rinaldi che fuse la campana della chiesa di Santa Maria delle Grazie. Nei secoli successivi vi erano anche numerosi falegnami, fabbri e ebanisti tra i quali i Trocino, una famiglia specializzata nella costruzione di altari, pergami e scanni corali , sia nel loro paese di origine che in altri paesi del Crotonese e dalla Calabria.
   Nel XX secolo, assieme ai falegnami, ai muratori, agli scalpellini, vi erano anche numerosi fabbri che vogliamo ricordare in questa pagina. Quelli che esercitarono il mestiere stabilmente facendone l’unica occupazione della loro vita e che ricordo anch’io in attività furono i seguenti. 
                                                    

                                     Giuseppe Gigliotti                         

Mastro Peppino Gigliotti, classe 1881, fu unanimamente ritenuto, uno dei più valenti artigiani di tutto il secolo. Bravissimo maniscalco, fabbro provetto, discreto meccanico, era il maestro preferito dal barone Baracco e dagli allevatori della zona. La versatilità di mastro Peppino era proverbiale e spesso ci si rivolgeva a lui anche per la riparazione di fucili, serrature ed altri congegni complicati. Aveva bottega ai Mergoli, in un locale al piano terra della sua abitazione. Come capitava spesso in quei tempi, Peppino Gigliotti era figlio d'arte avendo imparato il mestiere dal padre, Antonio, mestiere che insegnò, a sua volta, al proprio figlio. Verso la metà degli anni ’50, ormai in pensione, si trasferì a Merano dove si spense il 7 novembre del 1973.

                                     Vincenzo Rotundo    

Mastro Vincenzo Rotundo, detto " 'U Savellise"  perché originario di Savelli, aveva la sua bottega di maniscalco al piano terra della sua casa di via Buonasera (attuale casa di Angelo Noce). Esercitò il mestiere fin verso la fine degli anni '50.

                                     Pietro Di Rosa                             

Pietro Di Rosa, figlio di Baldasarre e fratello di Angelo Di Rosa, maestro di musica, aveva la sua bottega di maniscalco in   Via P. di Piemonte, nel rione Croci (l' attuale basso di Peppino Sganga). Dopo aver esercitato per qualche anno il mestiere, verso la fine degli anni '50 si trasferì a Roma ove visse per molti anni.

                                Michele Marino   

Michele Marino, figlio di Peppino Marino, fu un fabbro ferraio molto attivo negli anni '50 e '60 dello scorso secolo. La sua "forgia" era ubicata in via Misericordia, nel locale a piano terra della casa paterna che attualmente ospita il laboratorio di pittura del nipote Vincenzo Parrotta.  Verso la metà degli anni '50 fu il primo fabbro caccurese a dotarsi di saldatrice elettrica. Nel 1967 trasferì la sua bottega, per pochi anni, in largo Montegrappa, prima di chiuderla per andare a lavorare a Timpagrande alla costruzione della nuova centrale idroelettrica dove rimase fino al pensionamento.


                                      Domenico Pisano

   Mastro Domenico fu un fabbro molto abile e anch’egli un bravo meccanico amante della precisione. Lavoro per moltissimi anni nella sua bottega nel rione Prato (viale della Regina) anche quando apri un grande negozio nel quale vendeva di tutto, dagli alimentari alla ferramenta. Era un uomo instancabile che fece del lavoro la sua religione.
 
                                        Orlando Girimonte

   Uno degli ultimi fabbri caccuresi che, come i precedenti furono anche dei bravi maniscalchi, fu Orlando Girimonte che esercitò il mestiere fino alla fine degli anni ’80. Aveva la bottega ai Mergoli, in un locale sotto la vecchia caserma dei carabinieri. Ai suoi tempi le cavalcature erano ormai quasi sparite per cui fu anche l’ultimo maniscalco in attività.

Altri bravi artigiani che esercitarono questo nobile mestiere saltuariamente o per pochi anni prima di emigrare per mancanza di lavoro furono Giuseppe Pisano,  Mario Guzzo, Francesco Lacaria, Carmine Chiodo Michele Salerno e qualche altro che non ricordo.

 

                   'A PUTIGA 'E GIUVANNI GALLO E I GRANDI SARTI CACCURESI 

 

   Continuando la  rivisitazione dei negozi e delle botteghe artigianali del centro storico caccurese nella seconda metà del Novecento, oltrepassato il bar Caputo, andando verso piazza Umberto, proprio dirimpetto all'imbocco di via Mergoli e via Buonasera, ci imbattiamo in questa botteguccia, " 'A putiga 'e Giuvanni Gallo", una piccola sartoria che sembrava la "donnina piccina picciò" nella quale, incredibilmente, lavoravano quotidianamente almeno tre persone: il maestro Giovanni Gallo e i suoi due "riscipuli" storici, il compianto Domenico Basile (Micuzzu 'u zabarbaru) e Domenico Guzzo, oltre a quelli occasionali che mastro Giovanni prendeva come apprendisti nei mesi estivi.
   Nel Novecento a Caccuri c'erano alcuni grandi sarti. Quelli che ho conosciuto o dei quali ho sentito parlate erano quattro o cinque. Il più famoso era un artigiano conosciuto in tutta la provincia che confezionava i suoi rinomati vestiti firmati tra i quali anche frac (uno di questi ho anche avuto la fortuna di indossare per due sere) era il maestro Domenico Sellaro che, prima di trasferirsi a Roma, aveva bottega al Vincolato in quel locale che poi ospiterà la casa dei poveri.
    Il secondo era il maestro Giovanni Secreto (Sonnino), padre del dottor Leonardo, vice direttore generale di Difepensioni, una direzione del Ministero della Difesa, che aveva bottega nella sua stessa abitazione all'imbocco di via Portapiccola e, appunto, il maestro Giovanni Gallo che dapprima lavorò per molti anni nella sua casa nel rione Pizzetto, poi si spostò in quest'angusta botteguccia. Altri sarti caccuresi che esercitarono il mestiere saltuariamente, anche perché emigrarono o cambiarono lavoro, furono Peppino Falbo (Peppino Iaconis), Angelino Secreto, Rocco Mele e, da ultimo, Ottavio Mercuri che fu allievo del maestro Gallo. 
   La bottega del maestro Gallo mi era particolarmente cara perché per circa tre mesi, nell'estate del 1962, fui anch'io uno dei suoi apprendisti (riscipule). All'epoca, infatti, i genitori, oltre a  mandarci a scuola a prezzo di immani sacrifici, si preoccupavano anche di farci apprendere un mestiere. Così fui messo a bottega da mastro Giovanni assieme a quelli più anziani Micuzzu Basile e Micuzzu Guzzo, e ad altri 4 o 5 miei coetanei. Nel periodo precedente la festa di San Rocco molti caccuresi si facevano confezionare il vestito su misura per cui il maestro era oberato di lavoro. Lui tagliava la stoffa e, assieme ai due apprendisti più anziani li confezionava e affidava ai noi ragazzi di 12 - 13 anni il compito di cucire gli orli dei pantaloni (perama), attaccare i bottoni e e di imbastire la tela che si usava per il davanti delle giacche con un punto che sembrava la punta di una freccia. 
   Quanti vestiti completi e quanti pantaloni confezionammo in quella torrida estate con noi ragazzi seduti supra 'u settu 'e ra Miliè a cucire e imbastire e se oggi so "ìmpilare l'acu e attaccane 'nu buttune" devo ringraziare con gratitudine il maestro Gallo. 
   A quei tempi si aveva un grandissimo rispetto per il maestro al quale ci si rivolgeva chiamandolo "Summà" che potremmo tradurre in "sommo maestro." Ancora non erano stati inventati i corsi di formazione professionale nei quali forse, ma è solo un mio sospetto, spesso si insegna poco, ma si mangia molto e gli antichi mestieri come quello del sarto sono spariti e se ti cade un bottone della patta dei pantaloni, se non sei stato apprendista del maestro Gallo, li devi buttare e comprarne dei nuovi. 

 

                     STORIA DI UN FORNO E DI UN'ANGURIA 

     Sempre a proposito delle numerose attività commerciali sorte in piazza nel secolo scorso, mi piace ricordare "il primo forno dell'era moderna" aperto in piazza da Salvatore Blaconà. Salvatore, orfano della Grande guerra, fu chiamato alle armi e spedito in Africa. Tornato a Caccuri alla fine del secondo conflitto, costruì un forno moderno che si affiancò ai vecchi forni a frasche sparsi nel paese che, pian piano, chiusero anche per la morte delle vecchie fornaie. Oltre al forno gestì per alcuni anni anche la vicina pompa di benzina. Nei primi anni '60, quando  trovò un impiego nella Montecatini e si trasferì con la famiglia a Crotone, cedette entrambi gli esercizi a Francesco Lacaria che poi emigrò in America per cui gli subentrò il cognato Francesco Loria e, dopo la sua morte, il figlio Davide. 
   Al forno Blaconà, nel quale si cuoceva il pane ricavato ancora dal grano duro caccurese, oltre ai tanti altri, è legato un mio curioso ricordo, una birichinata che avrebbe potuto avere conseguenze catastrofiche, ma che per fortuna si risolse con un vestito imbrattato di  succo dolciastro. 
   Era una serra di ferragosto dei primi anni '50 e, non ricordo perché, il  forno era pieno di angurie.  Io e il figlio, il mio fraterno amico Franco, avevamo 4 - 5 anni e i nostri genitori, legati da un'amicizia che definire fraterna è ancora riduttivo, ci portarono in piazza ad ascoltare la musica.  Ovviamente, salimmo sul tetto a terrazzo del forno portandoci dietro una piccola anguria a testa che, incuranti della festa, facevamo rotolare per gioco sul solaio in leggera pendenza, mentre gli adulti, presi dal concerto, non badavano a noi. A un certo punto io lasciai rotolare la mia anguria, Franco non fece in tempo a fermarla e cadde di sotto centrando la testa di una signorina che abitava vicino casa nostra. Fosse stata una di quelle zucche insipide e dure che ti rifilano oggi spacciandole per angurie l'incidente avrebbe avuto serie conseguenze e la donna sarebbe sicuramente finita in coma, invece, per fortuna, a quei tempi le angurie erano ancora buone, dolcissime, mature che appena ci infilavi dentro la punta del coltello scoppiavano con un "craaaak" che valeva più di dieci marchi DOP. Così si spiaccicò sulla testa della malcapitata inzuppandole il vestito di liquido rosso dolcissimo procurandole soltanto un po' di spavento. A quei tempo oltre alle angurie erano buone anche le persone per cui né lei, né la famiglia fecero storie, non sporsero alcuna denuncia,  non chiesero risarcimenti, anche perché all'epoca non c'erano ancora gli avvocati che istigano i genitori a far causa alla scuola e agli insegnanti per ogni graffietto che si provoca un alunno e tutto finì con una sgridata dei miei e le doverose scuse alla famiglia. 

 Ps

  Nella prima foto, in realtà una cartolina prodotta dal compianto Vincenzo De Rose nel 1961,  compaiono una donna e un ragazzo. La donna è mia madre, il ragazzo sono io qualche anno dopo l'incidente dell'anguria.

                                                                          LA PECE, UNA RISORSA DELLA SILA 

   Questa foto, scattata una quindicina di anni fa in occasione di una visita al parco nazionale della Sila assieme ad alcuni colleghi francesi,  ci mostra la slupatura a spina di pesce di un pino  per l'estrazione della pece, una delle più antiche occupazioni delle popolazioni autoctone silane che si protrasse per millenni e che si praticò fino agli anni 50 del secolo scorso.  
   La pece era molto ricercata per calafatare le imbarcazioni, ma anche per altri molteplici usi. Dalla Sila la pece giungeva nei vari porti della regione attraverso diversi percorsi, le vie della pece. Secondo alcuni storici una di queste era il corso del fiume Neto all'epoca navigabile. Per saperne di più, comunque, consiglio di leggere l'interessante e documentata opera del bravo Francesco Cosco, "La Via della Pece- L’antica arte della resinazione nel Parco Nazionale della Sila”. Purtroppo con l'irrompere della modernità, l'uso di nuovi materiali e nuove tecnologie anche questa preziosa risorsa del nostro territorio rimane inutilizzata. 

 

                                         GENNAIO 1972 - UN'ALLUVIONE PROVVIDENZIALE 



18/1/1972

   Quarantanove anni fa, proprio in queste ore, la nostra zona era martellata da una pioggia torrenziale che durò alcuni giorni provocando notevoli disagi e l'isolamento del nostro paese per un paio di giorni. I danni furono ingenti con decine di strade devastate, crollo di muri di sostegno e allagamento delle campagne. A Timpagrande una frana immensa si staccò dalla montagna seppellendo la vecchia centrale idroelettrica realizzata negli anni 20 del Novecento e inaugurata nel luglio del 1927 dal re Vittorio Emanuele III. L'Enel in un primo tempo sembrava orientata ad abbandonare la produzione. ma in seguito decise di costruire una nuova centrale, questa volta in caverna nel cuore della montagna con una nuova condotta forzata e il raddoppio di quella di Calusia. Così quella che sembrava una catastrofe finì per trasformarsi in una formidabile occasione di lavoro per minatori, carpentieri, manovali, autisti di Caccuri, Cotronei e Petilia che per una decina di anni portò occupazione e un relativo benessere nei tre paesi. 
   L'alluvione provocò anche il crollo delle grotte del vicino bosco di Casalinuovo nelle quali circa un secolo prima avevano trovato rifugio i resti della banda di Pietro Monaco e fu catturata la moglie Ciccilla. 


                             L'O.V.S. PER I MILITANTI DELLA SINISTRA 

§

   Come vi dicevo ieri, dopo molto tempo sono tornato a fare un giro sul monte Gimmella (Jimmella nella lingua dei padri) che attraversavo tutte le mattine in pullman quando frequentavo l'istituto magistrale a San Giovanni in Fiore e sul quale, fino alla metà degli anni '80, raccoglievo, assieme ai miei, rositi (lactarius deliciosus) e vavusi (boleto edule). In cima al monte c'è un rettifilo a sinistra del quale, salendo da Fantino in direzione San Giovanni in Fiore, c'è un piccolo fabbricato conosciuto come "La casermetta di Gimmella" che non ho mai capito se fosse un rifugio del vecchio Corpo forestale dello Stato o l'abitazione di qualche guardia boschi dell' OVS, l'Opera Valorizzazione Sila, istituita nel 1947 e ritenuta da dirigenti e dai militanti della sinistra, il principale ente  clientelare democristiano, il refugium peccatorum degli attivisti di quel partito, molti dei quali provenivano anche dal partito comunista che avevano abbandonato  quando si erano resi conto che dall'altra parte si mangiava meglio. D'altra parte gli stessi dipendenti non facevano nulla per nasconderlo. Su molte opere pubbliche realizzate nei primi anni 50, le maestranze, sotto l'occhio divertito di capi squadra e assistenti, nel cemento fresco, accanto alla scritta O.V.S. incidevano anche l'immancabile scudo crociato. Quando  nel 1979 comprai Zifarelli, su una vecchia vasca di irrigazione realizzata dall'O.V.S. evidentemente per risarcire il vecchio proprietario del mancato indennizzo dell'esproprio per la costruzione della strada Caccuri - Santa Rania, facevano bella mostra di sé la scritta O.V.S. e lo scudo crociato poi cancellati improvvidamente dagli operai che mandai a ristrutturarla. 
   Negli anni 50, quando il ricordo dello scontro elettorale durissimo del 1948 con le madonne pellegrine, le scomuniche dei comunisti, i "cavalli cosacchi che si sarebbero abbeverati nelle fontane del Vaticano", del "nella cabina elettorale Dio ti vede, Baffone no" e del massiccio clientelismo elettorale, i dipendenti e i quadri dell'OVS vennero ribattezzati da comunisti e socialisti "I lupi 'e ra Sila."
   Tornando alla casermetta, pare che subito dopo l'armistizio gli inglesi, in società con un signore di San Giovanni in Fiore, Emilio Morrone, vi impiantarono di fronte, in località Salice, una segheria
1  che lavorava la materia prima reperita in luogo con il selvaggio disboscamento dell'altopiano silano a titolo di risarcimento dei danni di guerra. 

1) Paolo Talarico, La sveglia di Za Saletta, Il nuovo Corriere della Sila, anno XXIV nuova serie, 4-5 aprile 2014, pag. 11

 

                                       POLITELLA, LA MULA "GOMMATA GIGLIOTTI" 



     Qualche giorno fa l'amico Alessandro Garofalo, in un commento a un mio post su di una sua bellissima foto dell'Ampollino, ha postato questa storica foto che ritrae il re Vittorio Emanuele II in groppa a Politella, la mula del signor Domenico Lopez che don Giulio Verga mise a disposizione del sovrano per raggiungere Cotronei da Timpagrande dove qualche ora prima aveva inaugurato la centrale di Timpagrande. 
    Quella di Politella e della cavalcata del re è una storia curiosa che ho già avuto modo di raccontare, ma che ripropongo per chi non la conoscesse perché come caccuresi ci riguarda da vicino. 
    All'epoca per raggiungere la centrale e poi Cotronei, il re, sceso da un vagone speciale della ferrovia Crotone - Ponte di Neto, aveva bisogno di montare una cavalcatura per cui ci si rivolse a don Giulio Verga, un possidente di Cotronei. La natura impervia del terreno consigliava di servirsi di un animale mansueto per cui, non avendone una a disposizione, don Giulio si rivolse al signor Domenico Lopez che gli mise a disposizione una mula dal nome Politella. Dovendo essere impostata dal re, il Verga si preoccupò anche che fosse ferrata a regola d'arte per cui consigliò all'amico Lopez di rivolgersi alla massima autorità in materia, ovvero  il fabbro, meccanico, maniscalco più famoso della zona, il caccurese mastro Peppino Gigliotti. Il Lopez allora scrisse al maestro caccurese: 
 Caro mastro Peppino,
don Giulio Verga , per mezzo di un corriere mi scrive che, in occasione della venuta di sua maestà Vittorio Emanuele a Cotronei per l’inaugurazione della centrale elettrica di Timpagrande e che deve essere ricevuto da lui, dovendo questo percorrere qualche tratto a cavallo per la visita ai laghi e lui non ha animali ammansiti come la mia mula e il cavallo, mi prega di mandarle tutte e due quale di uno sua Maestà vorrà usare, però farli ferrare a Gigliotti aggiustandole i piedi a suo modo, perciò ti mando mula e cavallo per ferrarli a nuovo.  Tu sai come aggiustare i piedi, ma io ti consiglio i ferri piuttosto leggeri. Ti saluto.
Domenico Lopez
.
    La mula gommata, pardon ferrata Gigliotti fece egregiamente il suo lavoro e il padrone qualche giorno dopo ringraziò un questo modo mastro Peppino:
Caro mastro Peppino,  
don Giulio Verga nel rimandarmi mula e cavallo mi ringrazia sentitamente e mi dice che la mula ha portato a cavallo sua Maestà ed è andata benissimo e con ciò spetta anche a te una parte del merito. Ti sarei grato se mi hai finito il bollo per le vacche (probabilmente un marchio) che debbo mandarle alla Sila a Vaccarizzo. Ti saluto.
Domenico Lopez"




                           
ACCADDE OGGI: MUORE L'ARCIVESCOVO DI COSENZA CAVALCANTE
Domenico Lopez
.

 

   Il 7 gennaio del 1748 muore l'arcivescovo di Cosenza Francesco Antonio Cavalcante, uomo dotto, autore delle  Constitutiones et Decreta Congregationis Clericorum Regularium pro Studiis et Scholasticis, cum triplici e  delle Vindicae Ponteficium Romanorum”. 
   Monsignor Cavalcante nacque a Caccuri nel palazzo ducale della sua famiglia  il 22 ottobre 1695. Entrato a 16 anni nell'ordine dei Teatini, venne ordinato sacerdote il 18 dicembre del 1718 e il 20 maggio del 1743 ottenne la cattedra cosentina. Fu amico di Antonio Genovesi e di Giacomo Casanova.  
   Nel 1744  Casanova, giunse in Calabria alla ricerca di un impiego come segretario senza riuscire nel suo intento, trovandosi presto a corto di denaro. In questi frangenti conobbe il prelato caccurese che lo prese in ben volere e gli fornì   i mezzi economici per recarsi a Napoli e alcune lettere di presentazione per il marchese Galiani e per il duca di Maddaloni e gli offrì anche dell'eccellente vino di di Gerace. Casanova gliene fu molto grato e nelle sue memorie si ricordò del vescovo caccurese definendolo "uomo di spirito e danaroso. 

 

          A PROPOSITO DI RRINE E STRENNE 


      In passato, quando non si conoscevano il covid, né parole come lockdown, distanziamento sociale, gel alcolico, ma soprattutto, “Quannu Caccuri era ‘nu paise chjiunu re gente e senza case chiuse” questo era il periodo della rrina, la strenna, la serenata augurale che veniva  portata di casa in casa dagli amici. Ma qual è l’origine di questa tradizione?                                                                                                                                    

                                                             La strenia

    Secondo molte leggende la strenna deriverebbe dalla divinità romana Strenia o Strenua, dea della potenza, della prosperità e della fortuna il cui culto avrebbe avuto origini sabine. Narra una antica leggenda che ai tempi di Romolo la strenna era che un fascio di rami di una pianta propizia che cresceva rigogliosa in un bosco sulla via Sacra consacrato a questa divinità.  L'usanza di offrire in dono le strenne pare nacque proprio durante i Saturnali che venivano celebrati nel periodo compreso tra il 17 e il 24 dicembre e che erano riti arcaici per festeggiare la morte del Vecchio Sole e la nascita del Nuovo dopo il solstizio d'inverno. Successivamente l'uso di scambiarsi vicendevolmente rami della pianta sacra, fichi e mele si spostò alle calende di gennaio, ovvero al primo gennaio. Con la  strenna ci si voleva augurare un anno dolce come i frutti che venivano scambiati. Col tempo i rami di Strenia, i fichi e le mele vennero sostituiti da altri doni a seconda dei gusti e delle tasche di chi li offriva.
   
  L'usanza di cantare 'a rrina per le case del paese potrebbe invece avere avuto origine da uno scopo "meno nobile e più pragmatico" ovvero dal desiderio di guadagnarsi qualcosa  da mangiare in cambio dell'augurio e della serenata. Quella di guadagnarsi la pagnotta attraverso il canto, nonostante si dica comunemente che "carmina non dant panem" è, infatti, un'arte antica. C'è sempre stato qualcuno nella storia, ancor prima che venisse inventato il diritto d'autore, che ha sempre cercato di sbarcare il lunario cantando, ora le lodi sperticate del potente o del tiranno di turno, ora facendo appello al sentimento, ora usando il canto come formidabile arma di ricatto (vedi il grande Velociu). 
  
   Che la rrina servisse a "scroccare" qualcosa lo si intuisce dagli stessi bellissimi versi, alcuni ruffiani (Allu perale 'na fonte c'avia, ce stava frisca tu, donna galante - Alla curina tu, gioiuzza mia, Stella re Pararisu alluminante), altri espliciti ( 'A rrina m 'a faciti ccu dinari, cussì cummena a vue, cari signori -  Au, au, au, e famme la rrina fai,   fàmme la rrina chi me soli fare. Nu gallu, na gallina o puramente ‘nu fiascu ‘e vinu).  Gli "rrinari"  però si rendevano conto del sacrificio che chiedevano al povero padrone di casa tant'è che cercavano di rassicurarlo e rabbonirlo (‘Un ve spagnati ca nun simu assai, ca simu trentatrii e lu cantature) e di scaricare la responsabilità sull'ignaro Padreterno (Nun simu nue chi circamu a rrina, ma l’ha lassàta lu nosrru Supranu.
 
   Scherzi a parte, la tradizione della rrina cantata casa per casa era e rimane una tradizione bellissima, un canto che portava la gioia e la felicità nelle famiglie che si ritenevano onorate di ospitare questi artisti di strada e che, quando la loro casa, per un motivo o per un altro veniva saltata, si sentivano offese.

 

                                                           DUE ILLUSTRI BISNONNI 

   Oggi vi presento una coppia di caccuresi che compare nel mio albero genealogico e che ebbero un ruolo di primo piano nella Caccuri dei primi decenni del XX secolo. Il bisnonno Ercole Scigliano nacque il 13 novembre 1858, a Belvedere Spinello, da Luigi Scigliano e da Marianna Derise. A differenza di molti suoi coetanei, ricevette una discreta istruzione, probabilmente da qualche religioso suo parente, che arricchì poi da auto didatta. Ciò gli consentì da adulto di diventare capo cantoniere e, nel 1904, di ottenere dal Comune di Caccuri l'incarico di insegnare a leggere e a scrivere ai fanciulli che ne avevano la possibilità e la voglia e, tra questi, ai figli Maria, Luigi e Chiara nati dal matrimonio con donna Vincenza Lucente, figlia del possidente Carmine  e di Domenica Maria Gigliotti, nata il 6 novembre del 1855.
   Ercole Scigliano, oltre a cantoniere capo e insegnante di scuola elementare, fu per moltissimi anni anche il priore della Congregazione del Santissimo Rosario fino al 16 settembre del 1942 quando si spense all'età di 83 anni. La moglie, invece, si era già spenta tredici anni prima, il 2 agosto del 1929. Del bisnonno Ercole conservo un dizionarietto della lingua italiana, forse un Piccolo Palazzi o qualcosa di simile, mancante di molte pagine e con la sua firma autografa, l'unica eredità che ci è pervenuta dagli antenati di mio padre, 

                                          ANCORA STORIA NEI TESTAMENTI 



       C
ome sostenevo qualche giorno fa in un post analogo e come emergeva dai dotti commenti dei miei amici, professor Giovanni Ierardi, giornalista e persona di grande cultura, e della professoressa Anna Russano, gia docente dell'Accademia delle belle arti alla quale dobbiamo alcuni pregevoli libri sul patrimonio artistico e culturale del Crotonese, i testamenti che si possono leggere e studiare negli Archivi di Stato e in quelli notarili, sono una miniera preziosa di informazioni. A conferma di questa mia affermazione trascrivo qui di seguito un testamento del 12 gennaio del 1823 redatto dal notaio caccurese Francescoantonio Ambrosio. 
    La lingua è quella di due secoli fa, ma, sorprendentemente, ci appare abbastanza moderna, pur se si avverte la caratteristica gergale - burocratica tipica della pubblica amministrazione in tutte le epoche. Questo importante documento ci fa conoscere, la piramide giurisdizionale della Provincia, alcuni toponimi del nostro paese, la condizione sociale e la professione dei vari attori, la moneta corrente, gli usi e le credenze religiose con la testatrice che si preoccupa della sua anima e impone agli eredi l'obbligo di far celebrare messe basse, ovvero privat,e in suffragio dell' anima dei defunti, celebrate da un solo prete con la sola assistenza dei chierichetti. 
    Il particolare, in questo testamento, troviamo una notizia molto importante che conferma come nella chiesa di Santa Maria del Soccorso, nel documento indicata come San Domenico perché annessa al convento domenicano, erano in uso, ancora nel 1823, nonostante le leggi napoleoniche in materia di polizia mortuaria, le fossae mortuorum. Insomma un vero diletto per chi si immerge in queste ricerche. Se avete un po' di tempo e non vi annoiate vale davvero la pena di leggerlo. Buona giornata. 

Testamento di Laura omissis
N. 3 del Repertorio

                                 Regno delle due Sicilie  

Oggi li dodici del mese di gennaio anno mille ottocento ventitre, in questa Comune di Caccuri, alle sedici, Regnando Ferdinando Primo per grazia di Dio Re delle due Sicilie, Re di Gerusalemme, Infante di Spagna, Duca di Parma, Piacenza e Castro e Gran Principe Ereditario di Toscana

Innanzi a Noi Francescantonio Ambrosio figlio del fu Domenico, Regio Notaro residente in Caccuri e degli infrascritti testimoni a noi bene cogniti e godenti dei diritti civili i quali avvertiti delle qualità richieste dalle leggi hanno dichiarato essere noti ed idonei e che non hanno impedimento alcuno, si è presentata la signora Laura omissis figlia del fu Tomaso, domiciliata in questa suddetta Comune, sana di mente, ma inferma di corpo, la quale ci asserì che ad oggetto di prevenire qualche litigio o discussione fra i suoi dopo la morte, ha risoluto farsi il suo  testamento in forma pubblica quale ha dettato a me Notaro in presenza dei sottoscritti testimoni e che noi abbiamo scritte le sue disposizioni tali quali colla sua propria voce ci ha dettate. 
   Primieramente raccomanda l’anima sua all’Onnipotente Dio e a Maria Santissima  qual fedele cristiana acciò nel passaggio da questa all’altra vita la conducessero in luogo di penitenza.
    Istituisco  miei eredi universali e particolari sopra tutti i miei beni liberi per legge, mobili, stabili e semoventi, ori, argenti, rame crediti e nomi di debitori in qualsivoglia maniera consistenti, i miei cari e benedetti nepoti chiamati Teresa, Costanza e Gennaro omissis, figli del fu mio fratello Gennaro ai quali incarico di adempier ciò che avrò per ordinarli.
    Voglio primieramente e comando che la vigna sita in territorio di San Giovanni in Fiore, luogo detto il Battinderi si venda dai miei diretti eredi e per quanto avrà l’importo della stessa me ne faccino addebitare per l’anima mia tante messe basse in altare privilegiato, a seconda che ne pattuiranno i motivi del pagamento.
Voglio ancora che la spesa funebre e il trigesimo si faccia dai suddetti miei eredi sopra l’asse ereditario.
Comando ancora ai suddetti miei eredi che seguita sarà la mia morte, l’asse ereditario se lo debbano dividere egualmente riservando solamente per la mia nipote Teresa il vestimento di seta come si attrova e ciò per i pregiatissimi servigi prestatimi.
   Dichiaro dover conseguire dalla mia cognata Antonia omissis carlini venti ; questi ne faccino anche celebrare per l’anima mia dieci messe basse, come ancora voglio che sopra il magazzino di detti miei eredi faccino anche celebrare per l’anima mia anche dieci mese basse una volta tantum.
    Dichiaro che ciò che potea spettare alla mia sorella Domenica, nel collocarsi in matrimonio la di lei figlia Grisolia omissis ce lo contribuì con un basso di casa sito dentro questa Comune , luogo detto la piazza e con una pezza di vigna sita in territorio di San Giovanni in Fiore, luogo detto il Battinderi ed un anello per cui sulla mia eredità non si vanta diritto alcuno.
Comando ancora che il mio cadavere sia trasportato e sepolto nella chiesa di S. Domenico, essendo questa la mia volontà. 
   Di quali disposizioni ha dichiarato a noi Notaro che ne avessi formato il presente atto quale è stato letto alla testatrice ad alta ed intelligibile voce ed ai testimoni presenti a noi bene cogniti.
    Fatto, letto e stipulato il presente atto in questa Comune di Caccuri, Provincia di Calabria ultra seconda, Distretto di Cotrone, Circondario di Umbriatico in casa di essa testatrice sita dentro questa Comune, luogo detto la Porta piccola  in presenza dei testimoni signor Domenico omissis figlio di Angelo  di età maggiore e di condizione sacerdote, Rosario omissis, figlio del fu Angelo di età maggiore e di condizione ferraro, Don Pasquale omissis del fu Paolo di età maggiore e di condizione galantuomo, e Pasquale omissis, figlio del fu Saverio,  di età maggiore e di condizione ferarro, tutti domiciliati in questa Comune di Caccuri li quali dopo la lettura e dopo che essa Laura omissis ha dichiarato di non sapere scrivere hanno con noi firmato oggi giorno, mese ed anno come sopra.

 Io Domenico omissis figlio del fu Angelo sono presente testimonio, conosco Laura omissis testatrice che non sa scrivere
Io Rosario omissis figlio del fu Angelo sono presente testimonio, conosco Laura omissis testatrice che non sa scrivere
Io Pasquale omissis figlio del fu Paolo sono presente testimonio, conosco Laura Manfreda testatrice che non sa scrivere
Io Pasquale omissis figlio de, fu Saverio figlio del fu Angelo sono presente testimonio, conosco omissis testatrice che non sa scrivere
Io N. Francescantonio Ambrosio figlio del fu Domenico residente in Caccuri, Provincia di calabria ultra seconda che in fede ho segnato col segno del mio tabellionato

N. 94
Registrato  in Umbriatico il tre aprile 1823
Rec. N. 1 vol. 4°, Fog. 3, fasc 2°
Ricevuto grana ottanta  0,80
Il Ricevitore
M. Pugliese

 

 

          LA STORIA ATTRAVERSO I TESTAMENTI 

Una delle fonti più interessanti per ricostruire la storia minuta dei piccoli paesi sono i vecchi testamenti  custoditi negli archivi di Stato o negli archivi notarili. Leggendo questi preziosi documenti, spesso apprendiamo non solo notizie relative ai passaggi di proprietà, ma anche tutta una serie di piccole notizie che, incrociate e confrontate con altre, ci consentono di ricostruire un periodo storico in tutti i suoi aspetti. Nei gli atti notarili, infatti, troviamo informazioni anche sugli usi e i costumi di una località, sull’abbigliamento degli abitanti, sulla composizione dei corredi, sulle autorità civili, militari, religiose presenti in un determinato paese e sulle sue istituzioni come nel caso di questo testamento del caccurese Carmine Lucente, mio antenato di parte paterna.
     L’11 febbraio del 1818, Carmine, il maggiore dei fratelli, giace a letto gravemente ammalato per cui decide di fare testamento a favore dei congiunti. L’atto è redatto dal notaio Francescantonio Ambrosio che si reca di persona a raccogliere le ultime volontà del malato nella sua casa del rione Murorotto. Da questo interessante documento apprendiamo molte notizie tra le quali il passaggio del basso, ossia la bottega di calzolaio sita nella via Misericordia “col peso di una messa all’anno per l’anima mia fintantoché detta bottega esisterà” al fratello Giacomo, mentre il resto delle proprietà vengono ereditate in ugual misura da tutti gli eredi che hanno, fra l’altro, l’obbligo di vitto e alloggio nei confronti di Marianna “essendo fatua”, cioè nubile. Dallo stesso atto desumiamo anche la presenza a Caccuri di un Monte di Pietà, istituzione finanziaria senza scopo di lucro che concedeva piccoli prestiti in cambio di un pegno, prestiti che dovevano essere restituiti entro un anno pena la messa all’asta del pegno depositato. Questo Monte di pietà fu forse la prima banca caccurese. Successivamente il Monte di pietà fu sostituito da un Monte frumentario, enti istituiti con un decreto emanato il 29 dicembre 1826 da Francesco I, re del Regno delle due Sicilie che rimase in attività fino alla calata di Garibaldi.

 

                    DON MARZIO CAVALCANTE DONA IL VIGNALE AL ROSARIO 



   
Quella che segue è la trascrizione del documento con il quale il duca Don Marzio Cavalcante seniore dona alla Congregazione del Santissimo Rosario della quale era priore il figlio Antonio, cavaliere dell'ordine  Gerosolimitano che rinuncio alla primogenitura in favore del fratello Rosalbo, il fondo Vignale, a est del paese sotto la chiesa di San Rocco, in aggiunta a un contributo di 900 ducati. Questa donazione, assieme a quella del Monte, conosciuta come Manca del Rosario dove poi sorse il cimitero e all'erezione della cappella all'interno dei convento domenicano fecero della congregazione del Rosario la più potente e più ricca tra le altre associazioni religiose caccuresi. 

    Volendo noi contribuire alla Nobile Congregazione del SS. Rosario eretta dentro il nobile Convento di San Domenico di questa (illeggibile) di Caccuri docati novecenti apparati colli Proc. Della Medesima, abbiamo risoluto e seriamente determinare col (illeggibile) Consiglio donare, assignare, cedere e rinunciare alla pregiata nobile Congregazione il Vignale a noi appartenente e sito nelle pertinenze di (illeggibile) (illeggibile) come volgarmente la Parte alborato di pochi celsi neri e di capacità di illeggibile remulata in circa, confine li Vignali della medesima Congregazione: quello dei P.P. di San Domenico e l’altro della Cappella di S. Maria del Carmine di questa unità; onde volendo noi mandare in esecuzione la predetta determinazione in vigore (illeggibile) e di ogni solennità nullata e di qualunqu’ altro meglio modo e maniera (illeggibile) benefici di essa nobile Congregazione della medesima, donamo, assignamo, cedemo (illeggibile) l’enunciato Vignale, confinato come sopra, farne libero ed esente di ogni peso, onere e servitù dimodosché da oggi in avanti passi in pieno dominio della pregiata nobile Congregazione la quale me possa disponere di suo modo come di quello  (illeggibile) e Domina e S.na , nessuna cosa a noi riserbando, ma formalmente e solennemente cedendo ogni jusso, azzione e raggione (sic) com quomodo cumf. Equali (illeggibile) potess competere a noi ed a nostri eredi e successivi i quali questo medesimo atto ex ninc pro tunc obbligano. 

Dato in Caccuri dal Castello di nostra residenza oggi 4 gennaio 1750

Duca don Marzio
Guarascio segretario

                                UN COMMISSARIO  PER L'EMERGENZA CACCURESE DI DUE SECOLI FA 

 

    Nell'Ottocento  diversi sindaci di Caccuri erano originari di altri paesi e si trovavano nella nostra cittadina perché avevano sposato donne del luogo. Tra questi, uno dei primi fu Pasquale Montemurro, che ebbe un ruolo determinante  nella cattura dei fratelli Bandiera e dei loro sfortunati compagni. Fu lui, infatti a informare la guardia urbana di San Giovanni in Fiore della presenza della comitiva sovversiva a Bordò consentendo ai gendarmi della cittadina florense di predisporre l'agguato alla Stragola col successivo scontro che provocò la morte di Francesco Miller e  Giuseppe Tesei, il ferimento di Domenico Moro e la cattura degli altri mentre Giuseppe Meluso, il Nivara di San Giovanni in Fiore che faceva loro da guida, si dileguò nei boschi. 
   Un altro sindaco forestiero fu Gennaro Faccioli che ricoprì la carica del 1832 al 1835. Nel 1832 fu nominato presidente della "Commissione locare per la restaurazione dei danni del tremuoto" del marzo 1832 . In questa veste subì molte contestazioni per il modo autoritario col quale gestiva la ricostruzione e per i ritardi che questo suo modo di agire provocava. Per questi motivi il capo della guardia urbana  Vincenzo De Franco, deputato della Commissione,  scriveva all’intendente Giuseppe De Liguoro per informarlo che “i lavori per gli accomodi delle casa danneggiate sono principiati, ma progrediscono lentissimamente per la scarsezza di operai. Il Presidente(Sindaco Faccioli)  di questa Commissione intende fare eseguire tai travagli ai soli muratori del Paese che sono nel ristretto numero di quattro, al fine di far restare nel comune istesso il danaro che si eroga, lodevolissimo pensiero se non urtasse direttamente le di lei savie disposizioni e gli interessi di tanti danneggiati, mentre così va a trascorrere la bella stagione adatta a tali lavori.”
   Il Faccioli, di professione macellaio,  il cui mandato di sindaco era ormai scaduto e che rimaneva in carica per gestire l'emergenza terremoto, fu accusato anche di peculato da alcuni anonimi che così scrissero all'intendente: "
“Si supplica V.E. che il denaro che V.E. ha inviato perché si accomodino le case di Caccuri se lo ave mangiato il sindaco Faccioli avendone comprata una per la chianca ci accomodi alle persone che hanno avuto lo danno dello terremoto. V. E. ne prenderà conto che troverete la verità e potete ordinare al Regio Giudice di pigliare le informazioni non essendo di giusto che V.E. avete avuto tanta carità per li poveri ed il Sindaco mangiarsi il danaro senza fare niente, Tanto si supplica di avere a grazia.” In una lettera del 23 giugno del 1834, poi, il Sottointendente informa il suo superiore di avere “obbligato coi piantoni (le guardie) il passato sindaco a versare in cassa le somme che si aveva appropriato.”[2] 
Almeno in questo caso pare che il maltolto sia stato restituito; tutto sommato la giustizia borbonica non era poi davvero "borbonica."  Sembra una storia dei nostri giorni, invece risale a quasi due secoli fa. Anche allora i commissari per l'emergenza lasciavano a desiderare e il loro operato dava adito a sospetti e critiche. Purtroppo la storia, almeno in Italia, non è mai stata maestra di vita. 

2) G. Marino, Il terremoto del 1832 nel Marchesato di Crotone - I danni e la ricostruzione di Caccuri, Editoriale 
     Progetto 2000 CS

              ACCADDE DOMANI: MUORE IL GENERALE  VINCENZO SGRO

   Il 16 novembre del 2007 a Palmanova, in Friuli, si spegneva il generale Vincenzo Sgro, caccurese. Nacque nel nostro paese il 31 gennaio del 1932 da mastro Francesco, valente artigiano caccurese, uomo pio e devoto, per molti anni priore della Congregazione del SS. Rosario, e da Saveria Loria, secondo di 4 fratelli. Insieme a uno dei suoi più cari amici, Baldasarre De Marco, che diventerà poi professore di lettere e preside della scuola media, inizia a studiare da privatista sotto la guida dei professori Luigi e Francesco Antonio Fazio e del sacerdote don Pietro Scalise all'epoca parroco di Caccuri. Successivamente si iscrisse al liceo Pitagora di Crotone, scuola che frequentò regolarmente e nella quale conseguì la maturità liceale. Successivamente entrò nella famosa Accademia militare di Modena, quindi frequentò la Scuola di Applicazione di Torino e conseguì il grado di tenente di artiglieria, prima di essere trasferito, nel 1957, in Friuli Venezia Giulia, a Palmanova. Qui si svolse tutta la sua brillante carriera militare culminata con la promozione a generale.
    Nel 1988 fu collocato in pensione. Vincenzo Sgro, oltre che essere un buon soldato, un uomo con uno spiccato senso del dovere e un rispetto profondo per le Istituzioni, fu anche un uomo generoso ed altruista, impegnato nelle associazioni di volontariato. Fu, infatti, il fondatore della delegazione della Croce Rossa di Palmanova e di una associazione che curava la riabilitazione di ragazzi portatori di handicap mediante l'ippoterapia. Nel 1992 divenne l'animatore e il responsabile di un campo profughi che accoglieva cittadini della ex Jugoslavia martoriata dalla guerra. Uomo generoso e dedito al prossimo, fu anche, per lungo tempo, donatore di sangue. Per i suoi meriti militari e per la sua generosa attività in favore della collettività gli furono conferite numerose onorificenze fra le quali il titolo di Commendatore della Repubblica Italiana. Seppur lontano, per moltissimi anni da Caccuri, rimase sempre profondamente legato al paese d'origine. 
   Un grande caccurese del quale possiamo e dobbiamo andare orgogliosi. Ricordo con particolare affetto quest'uomo grande, ma umile e generoso che mi onorava della sua amicizia e un paio di sue gradite telefonate che mi fece per congratularsi con me dopo aver letto il mio romanzo storico sull'emigrazione.

 

BIOGRAFIE CACCURESI: IL COMANDANTE GIOVANNI CHINDAMO

 

    Dopo quella del comandante Procopio che potete trovare su questa stessa pagina, oggi vi propongo un'altra biografia di un comandante caccurese, anche se il suo comando non si esplicò a Caccuri, ma in una cittadina del Sud Tirolo, Merano, divenuta italiana con la Grande guerra. Si tratta di Giovanni Chindamo, nato a Caccuri il 25 giugno del 1902 da Saverio e da Guglielma Belcastro,  contadini, ma che trascorse quasi tutta la sua vita in Alto Adige. 
    Dopo la chiamata di leva fu arruolato nella Guardia di finanza assieme agli amici d'infanzia Giuseppe Guzzo (Giuseppe 'u niguru) e Salvatore Lacaria e mandato in Alto Adige da poco annesso al Regno d'Italia dopo la fine della prima guerra mondiale.  Finita la ferma i commilitoni caccuresi rientrarono al loro paese, mentre il Chindamo rimase a Merano dove intanto aveva sposato una ragazza meranese, Maria Gamper. Poco dopo lasciò la Finanza e si arruolò nel corpo dei vigili urbani nel quale, grazie agli studi da autodidatta e alla perfetta conoscenza della lingua tedesca fece rapidamente carriera. 
   Nel 1940, allo scoppio della seconda guerra mondiale, fu richiamato nella Guardia di finanza e mandato curiosamente, proprio nella sua terra di origine, a Diamante dove rimase per tutta la durata delle ostilità. Congedato fece ritorno a Merano e riprese servizio ne i vigili urbani col gradi di tenente e vice comandante. 
   Pur essendo gerarchicamente il vice comandante, la popolazione meranese, soprattutto quella di lingua tedesca che lo sentiva come un proprio esponente avendo sposato una di loro e imparato la lingua e acquisito la loro cultura e le loro tradizioni, lo considerò sempre il vero comandante. Per tutti i tirolesi di Merano il vigile caccurese era Hans come lo avevano familiarmente ribattezzato.  A lui si rivolgevano i commercianti, i contadini, le autorità per la soluzione di qualsiasi problema. Era lui che ogni anno, nel mese di ottobre, organizzava e sovraintendeva alla complessità dei servizi di polizia municipale in occasione del Gran Premio Merano di ippica che si svolgeva nell'ippodromo di Maia Bassa, il rione popolare alla periferia sud della città dove abitava. Per i servizi resi alla Guardia di finanza e al Paese fu insignito del grado di Cavaliere della Repubblica. 
   Nell’ottobre del 1958 visitò per l’ultima volta il suo paese.  In quell’occasione sciolse il voto che aveva fatto in guerra quando, in grave pericolo di vita si rivolse a San Rocco promettendogli una visita in divisa e una messa nella chiesetta di Caccuri. Fu anche l’ultima volta che vide il padre, nonno Saverio, la sorella, mia madre e i  parenti Belcastro di Caccuri. Tornato a Merano si buttò a capofitto nella predisposizione dei servizi di polizia urbana in vista dell’imminente Gran premio  viaggiando per un paio di giorni nelle fredde giornate ottobrine su un sidecar e beccandosi una polmonite che risultò fatale. Si spense nella cittadina altoatesina il 7 gennaio del 1959 all'età di 56 anni. Al suo funerale ricevette l'omaggio del suo amico fraterno, il generale della Guardia di finanza Marino Nicolò che ne fece l'elogio funebre. 

 

     BIOGRAFIE CACCURESI: GIOVANNI PROCOPIO

    Don Giovanni Procopio, rampollo di una delle famiglie più antiche e più prestigiose di Caccuri,  fu per molti anni il capo della guardia urbana del paese nel quale era nato nel 1805.
     Nel 1828, già ai vertici della polizia caccurese a soli 23 anni, tentò di arrestare Giuseppe Meluso, alias Nivara e Pasquale Cimino, alias Manchetta, latitanti, che erano stati segnalati a Eydo. Raggiunta la contrada a circa un miglio dal paese, non trovò i briganti sangiovannesi, ma chiese ad alcuni contadini che si trovavano sul posto per coltivare gli orti, notizie sui fuorilegge. I contadini risposero di non aver visto nessuno e don Giovanni li denunciò al giudice regio di Umbriatico. Era ancora capo urbano quando, nel 1847, testimoniò al processo contro la banda Angotti che egli, con i suoi uomini e in collaborazione con la Guardia nazionale, aveva sgominato il 28 aprile dello stesso anno, dopo un conflitto a fuoco a Laconi nel corso del quale restarono feriti lo stesso Angotti, il gendarme Bartolomeo Bucchianico e la guardia urbana caccurese Vincenzo Cosenza, quest’ultimo in modo grave.
   L’anno dopo don Giovanni, all’età di 43 anni, accusato dal capitano della  colonna mobile della gendarmeria di Crotone, Francesco Sangiovanni  di connivenza con i briganti, lasciò il comando della polizia caccurese. L’accusa si fondava sul fatto che un nipote del capo urbano caccurese, un tale Pietro Scigliano, definito dal capitano Sangiovanni “il più pernicioso” di un gruppo di banditi che aveva compiuto delle scorrerie nel territorio di Pallagorio, era stato qualche volta ospitato dallo zio nella sua casa di Caccuri. Gli subentrò Luigi De Franco che poco tempo dopo, a Ombraleone sgominò la banda Pellegrino. Don Giovanni era parente di Filippo Procopio, futuro sindaco del paese, falegname  che nel 1837 donò alla chiesa di Santa Maria delle Grazie la statua di Santa Filomena che, l’anno prima, aveva protetto Caccuri dall’epidemia di colera che aveva provocato alcune vittime nella vicina Cerenzia.

 

                 ACCADDE DOMANI: IL MAGGIORE ANTONIO RIZZO FERMA I TEDESCHI A CODROIPO

 

     Il 30 ottobre del 1917 il maggiore caccurese Antonio Rizzo, alla testa delle sue truppe, ingaggiò un epico combattimento contro i Tedeschi a   Codroipo per  impedire il passaggio dei nemici e  consentire al resto dell’esercito italiano di attraversare indenne  i ponti del Tagliamento. Ferito e catturato nell’azione, riuscì, però, a fuggire immediatamente e ad attraversare a nuoto il fl 152° Reggimento di fanteria  (Brigata Sassari). 
   Nel gennaio del 1918 fu protagonista,  di un’azione epica che gli valse una “Citation a l’Ordre de l’Armée” conferitagli dal generale francese Maistre alla presenza del re Vittorio Emanuele III° che, per l’occasione, gli appuntò sul petto anche la medaglia d’argento.   Il 28 gennaio, a Col del Rosso, sull’altipiano di Asiago, ebbe inizio la battaglia dei Tre monti che durò tre giorni e si concluse con la conquista dello stesso colle, della val Bella e del colle d’Echelle, primo segnale della riscossa dell’esercito italiano dopo Caporetto. Al comando della sua armata, infatti, benché ferito, sfondò e oltrepassò le linee nemiche, conquistò diverse postazioni avanzate e, incurante del dolore provocatogli dalle ferite, condusse le truppe sulle posizioni conquistate. Questa battaglia vinta dall'alto ufficiale caccurese  fu la prima vittoria dell'esercito italiano dopo Caporetto e contribuì notevolmente a risollevare il morale dei soldati dopo la disfatta e a riscattare l'onore del nostro esercito gravemente compromesso dalle gesta di Cadorna e di Badoglio. Diciotto anni dopo lo ritroveremo in Etiopia col grado di generale di divisione nella provincia di Gimna dove catturo Ras Dastà, il genero di Hailé Selassié ponendo fine alla resistenza etiope contro l'aggressione fascista. 
   Il generale caccurese si spense a Trieste il 2 febbraio del 1951. Purtroppo Caccuri non ha mai ricordato un uomo di tale statura, né tanti altri illustri suoi figli  che lo 'hanno onorata e che sono completamente sconosciuti ai loro concittadini.

 

         ACCADDE DOMANI: LA SVEGLIA VINCE LE ELEZIONI AMMINISTRATIVE SUL CARRO

 Il 26 ottobre del 1947 si tennero a Caccuri le elezioni amministrative per il rinnovo del Consiglio comunale a distanza di  un anno dalle precedenti. Il Consiglio e il sindaco Alfonso Chiodo, eletti nel 1946 erano decaduti  a seguito del decreto ministeriale che istituiva il comune autonomo di Cerenzia, fino ad allora frazione di Caccuri. 
   Alle elezioni si presentarono due liste, una di centro sinistra formata da esponenti del PCI, della DC e del PSI  col simbolo della Sveglia, capeggiata dal reverendo don Giuseppe Pitaro, ex arciprete di Caccuri sospeso a divinis e un'altra che aveva per simbolo il Carro,  formata da liberai e da esponenti de L'Uomo qualunque capeggiata dall'avvocato Giuseppe Ambrosio. 
   La lista della Sveglia vinse con largo margine e don Peppino Pitaro fu eletto sindaco. Un mese dopo dovette dimettersi perché una norma del Concordato vietava ai religiosi sospesi a divinis di ricoprire cariche pubbliche. Gli subentrò perciò il maestro di musica Angelo Di Rosa che l'anno dopo fu costretto alle dimissioni da un voto di sfiducia del consiglio. Fu quindi eletto sindaco Giuseppe Salvatore Falbo, in carica come sindaco fino al 1952 e, dal 1952 fino al 1970 come vice sindaco dell'Amministrazione del sindaco Francesco Sperlì. 
    Qui di seguito potete leggere la composizione di quel consiglio. 

             Insediamento il giorno 31/10/1947 - Sindaco: Pitaro

             Sabatino; poi Di Rosa Angelo (13/12/1947) e poi

            Falbo Salvatore Giuseppe (27/11/1948). 

                                                                  Voti

 Pitaro Sabatino Giuseppe         D.C        556
 Ventura Angelo Domenico        P.S.I.     535
 Di Rosa Angelo                            D.C.       532
 Falbo Salvatore Giuseppe         P.S.I.     530
Bruno Giuseppe Salvatore        P.C.I.     524
Olivito Antonio Umberto            P.S.D.I.  522
Guzzo Giovanni                           P.C.I.      521
Lacaria Giovanni                         P.S.I.       521
Marullo Antonio                           D.C.         521
Guzzo Vincenzo                          D.C.        520
Gallo Vincenzo                            D.C.         519
Murgia Serafino                           P.C.I.       518  
Ambrosio Giuseppe                       P.L.I.        372
Sellaro Domenico                          U.Q.         347
Quintieri Luigi Antonio                 U.Q.          345

 

  ACCADDE DOMANI: NASCE DON MUZIO QUINTIERI ('U PREVITE 'E VAJANARU)

     Il 24 ottobre del 1822 nasceva a Caccuri Don Muzio Antonio Quintieri, sacerdote,  meglio conosciuto come " 'u previte 'e Vajanaru." figlio di Giovanni Quintieri e di Domenica Secreto. Fu per molti anni canonico e poi parroco di Cerenzia. Un fratello, Giuseppe, fu segretario comunale  e capo della guardia urbana dello stesso paesino. 
   Nel 1847, quand’era già curato di quel borgo, fu chiamato a testimoniare al processo contro Luigi Foglia e Giovanni Antonio De Paola, due briganti della banda di Luigi Angotti e Andrea Intrieri della quale faceva parte anche il caccurese Salvatore Serafino Secreto, alias Titta, accusati di violenze e minacce. Di lui il popolino  raccontava di una punizione che gli sarebbe stata inflitta dalle autorità ecclesiastiche non si sa bene per quale mancanza per cui sarebbe stato trasferito per un periodo di tempo a Botricello, probabilmente a fare gli esercizi spirituali forzati.  Botricello all'epoca era considerato un borgo in zona malarica per cui nell'immaginario collettivo la punizione doveva apparire eccessivamente severa. Questo episodio  viene ricordato in una celebre farsa caccurese che recita:
 “E minatice quattru botte, 
secutatilu cu' 'nu cane
 e mannatilu a Butricellu
 cumu ‘u previte ‘e Vajanaru.” 
   Quel che è certo è che questo sacerdote caccurese, indipendentemente dalle decisioni spesso bizzarre che poteva assumere qualche vescovo, era considerato un prete molto serio e attaccato alla cure delle anime e della parrocchia che gli era stata affidata. 
   Don Muzio fece erigere la chiesa di San Teodoro nel nuovo centro abitato che era sorto in località Paparotta su progetto dell’ingegnere Primicerio a partire dal 1848,   a seguito dell’abbandono della vecchia Cerenzia. Fu lui, il primo parroco della nuova Cerenzia, che iniziò dal 1862 a compilare i registri parrocchiali. (1)  Il sacerdote caccurese resse la parrocchia cerentinese fino al 1903 poi, essendo avanzato negli anni, si ritirò a vita privata e fu sostituito dal nuovo parroco don Nicola Brancati.   Fu uno dei più autorevoli confratelli della Congregazione del Santissimo Rosario di Caccuri assieme al vescovo Raffaele De Franco e all’arciprete di Caccuri Domenico Lucente.  
   Don Muzio si spense il 20 novembre del 1906 all'età di 84 anni nella sua casa di Cerenzia.  Sul registro degli atti dei morti di Cerenzia del 1906, nell'atto di morte n. 18 redatto dal suo successore risulta che si spense all'età di 87 anni, ma, in realtà aveva solo 84 anni essendo nato nel 1822. Sempre dallo stesso atto risulta che fu sepolto nel locale cimitero. (2)
                                           Giuseppe Marino

1 Vito Teti, Il senso dei luoghi: memoria e storia dei paesi abbandonati, pag. 500
2  Atto n. 18 del Registro dei morti della Parrocchia di Cerenzia, anno 1906

 

ACCADDE DOMANI: MUORE IL PROFESSORE FRANCESCO SPERLI'

    Il 20 ottobre del 1989 si spegneva il professore Francesco Sperlì, dottore in pedagogia, insegnante per molti anni nella scuola elementare di Caccuri, ispettore scolastico e sindaco della cittadina dal 1952 al 1970. Assieme al fratello Mario per alcuni anni insegnò nella scuola elementare di Caccuri fin quando, vinto il concorso direttivo, agli inizi degli anni '60 si trasferì con la famiglia a Napoli, città nella quale risiedette per una ventina di anni. Nei primi anni '80 tornò in Calabria andando ad abitare a Crotone. Intanto vinse il concorso per ispettore scolastico incarico che assolse fino al pensionamento. Fece anche parte del Comitato di gestione dell' Asl di Crotone nel quale rappresentava il PCI.
   Prima di approdare al PCI militò per molti anni nel PSI, èartito che lo candidò anche alla Camera dei deputati, ma alla nascita del PSIUP si iscrisse in questo partito dal quale, allo scioglimento della formazione di unità proletaria, confluì assieme a Vecchietti, Libertini e Valori nel PCI. 
   Ciccio Sperlì era un uomo di vasta e profonda cultura, sia pedagogica, sia amministrativa, un bravo dirigente politico  e un grande oratore e uno dei tanti intellettuali di questo paese nel quale era nato nel 1922.

                                          ACCADDE DOMANI: L'OMICIDIO DEL CAPITANO SCIGLIANO                             

i. 

   Il 13 ottobre del 1812 in località Cimitella, mentre si recava da Caccuri al Bordò in  una vigna del generale francese Antonio Manhés, venne ucciso  in un agguato il capitano Pier Maria Scagliano, comandante della guardia urbana di San Giovanni in Fiore, amico dei  francesi. Per l’omicidio venne condannato a morte un tal Francesco De Simone detto Piruneo.
   Il generale Charles Antoine Manhès, soprannominato "lo sterminatore" fu incaricato di distruggere il brigantaggio, ovvero la resistenza dei meridionali all'invasione napoleonica e alla conquista francese del Regno di Napoli a partire dal 1805. I metodi impiegati furono degni dei peggiori criminali. Furono proprio i criminali francesi ad affibbiare per la prima volta a chiamare briganti i combattenti per la libertà della loro terra, nome oltraggioso che poi ripresero i piemontesi che superarono in ferocia gli stessi francesi. Per questi discutibili meriti ottenne in dono una vasta proprietà a Bordò che affidò in amministrazione allo zelante gendarme sangiovannese che si era distinto nella repressione della resistenza antifrancese. Pochi anni dopo l'assassinio dello Scigliano, a seguito della sconfitta definitiva di Napoleone a Waterloo Murat fu cacciato da Napoli e Ferdinando IV di Borbone tornò sul trono del nuovo Regno delle due Sicilie cambiando in nome in Ferdinando I e anche il generale francese perse il terreno. 

 

ACCADDE DOMANI: MUORE VINCENZO FAZIO L'UOMO CHE FOTOGRAFO' LA STORIA DI CACCURI

 

   Il 30 settembre del1944 si spense all’età di 78 anni,  Vincenzo Fazio, artigiano poliedrico e fotografo testimone di fatti e personaggi della storia caccurese del primo Novecento.Nato a Caccuri il 6 febbraio del 1866, fin da giovane imparò a guadagnarsi da vivere sfruttando le grandi abilità e capacità. Lavorò da falegname, da idraulico ed, infine, ottenne dal comune l’incarico di gestire la rete idrica del paese che era stata realizzata all’inizio del secolo scorso su progetto dell’ingegnere Stanislao Martucci. Ma quest’uomo intelligente ed abile aveva, per nostra fortuna, anche la passione per la fotografia, un’arte ancora relativamente “giovane” che, comunque, si andava già diffondendo anche nei più sperduti paesi della Calabria grazie a pochi isolati “pionieri”. E così, a prezzo di sacrifici notevoli, Fazio comprò un apparecchio fotografico che utilizzava lastre di vetro al bromuro d’argento prodotte dalla famosa ditta Ferrania, un ingranditore e l’attrezzatura per sviluppare in proprio le lastre e, utilizzando per lo sviluppo come fonte di luce esclusivamente il sole, immortalò, per alcuni decenni, centinaia e centinaia di soggetti: singoli personaggi, gruppi, manifestazioni pubbliche,  operai, contadini, massaie dediti al loro lavoro quotidiano, paesaggi e scorci della zona caccurese. Produsse e vendette, nella bottega di alimentari e coloniali gestita dalla moglie, anche due pregevoli cartoline del castello di Barracco e del rione Croci, la zona di “espansione” del paese sorta negli anni ’20. 
       Nel 1988 parte della produzione del fotografo caccurese fu raccolta, per iniziativa del Comune, in un volume dal titolo “Caccuri e la sua gente” edito dall’ editore Saverio Basile di San Giovanni in Fiore e curata dal fotografo Mario Iaquinta. Ma si può dire che non v’è una sola casa di Caccuri in cui non vengano conservate almeno cinque o sei istantanee dell’artigiano caccurese.
       Le foto di Fazio consentono di ricostruire fedelmente un pezzo importante della storia, delle tradizioni e del costume caccurese. Particolarmente interessanti sono quelle scattate in occasione della visita ufficiale del vescovo di Cariati nel 1936, della missione dei Padri Passionisti nel 1935, della proclamazione dell’Impero “sui colli fatali di Roma.” E poi, ancora, quelle che ritraggono maestre, i dirigenti e gli alunni dell’asilo infantile “G. Cena”,  le ragazze della scuola per ricamatrici gestita, negli anni ’20,  dalle suore, la banda musicale Cimino nel 1920 e quella del maestro Di Rosa negli anni ’40, documenti preziosi per la storia caccurese prodotti dal bravo artigiano appassionato di lastre ed obiettivi e che si spense il 30 settembre del 1944

 

                                                          SCANNULI E RIZZIMMOTU

                                                       

   E' molto difficile che qualche nostro giovane conosca il significato di questa parola o che abbia visto qualche volta gli scannuli che tanta importanza ebbero nell'edilizia e nell'architettura dei secoli scorsi prima dell'invenzione del cemento armato e dei laterizi che li hanno mandati in pensione. Gli scannuli, infatti, erano le robuste tavole di castagno perfettamente stagionate che venivano inchiodati alle travi di legno che reggevano il solaio delle vecchie case e degli imponenti edifici che si costruivano anticamente. Sul tavolato così ottenuto veniva steso 'u rizzimmotu, ovvero uno strato di argilla e pietrisco sul quale venivano battuti i mattoni di terracotta per i pavimenti.  La particolare cura con la quale i nostri antenati sceglievano e stagionavano il legname rendeva queste tavole particolarmente resistenti all' usura e alle intemperie sfidando i secoli. Il soffitto che vedete in foto, perfettamente conservato,  risale alla metà del Cinquecento e si trova nel chiostro del convento domenicano di Caccuri, praticamente all'aperto e non è mai stato sottoposto a manutenzione. Dubito che fra cinque secoli si troveranno solai in cemento armato o laterizi che avranno resistito così bene all'usura senza essere stati  rifatti almeno  in parte. 

 

                                  QUALCHE CENNO SUL MONASTERO DEI TRE FANCIULLI



  
   Il 13 settembre del 1500 il papa spagnolo Alessandro VI Borgia decise di dare in commenda l'Abbazia florense, e con essa anche il monastero di Tre fanciulli, a un abate spagnolo. Il provvedimento del discusso papa,  padre di Cesare e Lucrezia Borgia e nipote dell'altro papa Borgia, Callisto III (una famiglia dedita solo alle cure delle anime come tante altre di papi e cardinali, quella dei Borgia) decretò praticamente la decadenza e la fine dell'antico monastero basiliano già spogliato quasi completamente da Gioacchino da Fiore di tutti i suoi beni. I commendatari, infatti, avevano come unico pensiero quello di riscuotere le scarse rendite lasciando andare in malora il tutto.
   In una relazione del 20 marzo del 1650 del priore Gregorio Ricciuti e del sacerdote Michelangelo Prospero commissionata da papa Innocenzo X° si legge che  oltre alla chiesa che misurava “di lunghezza 58 palmi ed uguale larghezza col suo altare maggiore”, vi era un cortile grande circondato da mura. “Nel piano di detto cortile” vi erano cinque stanze abitabili ed una scoperta “le quali servono per cocina, forno, cellaro (cantina) , magazeno e stalla.” All’epoca fra le proprietà del monastero vi erano Forestella e Casale nuovo (Casalinuovo), donati in parte alla chiesa da Francesco Antonio Parise, il Tenimentello e Vignali ed il commendatario era Ottavio Protospataro. Nel 1650, cioè quando fu stilata la relazione citata, commendatario era, invece, il cardinale Prapacioli. 



                                                       FATTI E PERSONAGGI CACCURESI - VINCENZO PARROTTA



 
  Il personaggio riccamente vestito, seduto tra due vasi di splendide piante nella villa comunale, all'epoca parco annesso al palazzo Barracco (castello), era il custode e giardiniere capo incaricato di vigilare  sui prati, sulle migliaia di piante, sui fiori e sui giochi d'acqua dello splendido giardino. Si chiamava Vincenzo Parrotta ed era il marito della signora accanto conosciuta come 'a Scarola. La coppia abitava al Pizzetto in una casa che sia affacciava sulla piazza e aveva due figlie: Alfonsina e Virginia. 
   Parrotta ero lo spauracchio dei fanciulli che a volte riuscivano a intrufolarsi nel parco col rischio di calpestare aiuole e fiori. Gli anziani che ricordavano la villa ai tempi dello zelante custode la descrivevano come una specie di Eden, affascinati soprattutto dai giochi d'acqua. 

 

                                ACCADDE OGGI: SI APRE LA PRIMA FIERA CACCURESE DI BESTIAME

       Il 13agosto del 1880  venne istituita  con una delibera del consiglio comunale di Caccuri la I^ fiera del bestiame e dei prodotti agricoli in località Vignali, nei pressi della chiesa di San Rocco di cui si celebrava proprio in quei giorni la festa. La fiera venne abolita dopo  qualche anno per cui resterono attive quella di Mulerà, in agro di Roccabernarda istituita probabilmente nel XVII secolo e quella di San Giovanni in Fiore. Oggi le antiche, suggestive fiere dove si andava a comprare o vendere asini, capre, pecore, mucche, maiali si sono trasformate in enormi mercati con centinaia di bancarelle che vendono capi di abbigliamento e le solite cianfrusaglie più o meno uguali. Così ai belati, ai grugniti, ai muggiti si sono sostituite le grida dei venditori.

 

                                    ACCADDE OGGI: AMNISTIE  E MASSACRI PIEMONTESI



   Il 4 agosto del 1861, usufruendo di un'amnistia concessa dal generale Della Chiesa, i caccuresi Rocco Perri, Vincenzo Mancuso e  Gabriele Perri che in un primo momento si erano uniti ai patrioti duosiciliani in lotta contro gli invasori piemontesi, deposero le armi e si costituiscono al sindaco di Caccuri.  Il governo Ricasoli, insediatosi sei giorni dopo la morte di Cavour, cosi come quelli che gli succedettero,  fece ricorso anche a  questi strumenti per fiaccare la resistenza meridionale. Un mese dopo il generale Enrico Cialdini, che sostituì il Dalla Chiesa, concesse una seconda amnistia che convinse un altro "brigante" caccurese, Filippo Squillace, a consegnarsi alla giustizia dei Savoia il 19 settembre.  Cialdini e i suoi ministri poi cambiarono metodi e con l'entrata in vigore della legge Pica del 15 agosto 1863 trasformarono il Mezzogiorno in un carnaio  uccidendo barbaramente non solo i combattenti in armi, ma anche i loro familiari, i loro parenti, incendiando paesi, incarcerando perfino fanciulli e fanciulle con l'accusa di manutengolismo perché si rifiutavano di rivelare il nascondiglio ei loro genitori resistenti.  Centinaia di pasi furono occupati, incendiati i loro abitanti massacrati. Tra i più noti Casalduni e Pontelandolfo, in provincia di Benevento, ma anche i nostri Cotronei e Belvedere di Spinello.

                                                     69 ANNI FA NASCEVA GIGI CHIODO


   
     Il 1 agosto del 1951 nacque a Caccuri Fabrizio Chiodo, detto Gigi, cardiochirurgo, uomo di vasta cultura, attivista politico e sindacale.
   Laureatosi in medicina, sogno che coltivava sin da bambino, conseguì la specializzazione in cardiochirurgia per cui si recò, per un periodo di tempo, a Bordeaux ove ebbe modo anche di condurre alcune importanti ricerche e sperimentazioni. Tornato in Italia lavorò per qualche anno a Parma, prima di trasferirsi a Palermo dove fissò la propria residenza.
     Gigi Chiodo, oltre ad essere un valente medico ed un bravo cardiochirurgo, era un intellettuale, un uomo pieno di interessi e curiosità che lo spingevano ad una continua, rigorosa ricerca in diversi campi dello scibile. Egli, infatti, si interessava di botanica, di zoologia, di archeologia, di antropologia, oltre che della storia e delle tradizioni della sua gente. Mi sono sempre sentito onorato di essere stato uno dei suoi più cari amici, compagni di scuola, di giochi d'infanzia e in consonanza politica e laica. 
    Purtroppo il destino lo fermò, improvvisamente, il 26 dicembre del 2008.

 

                           LA POTENTE CONGREGAZIONE DEL ROSARIO  

    Il 24 luglio del 1824 papa Leone XII della Genga conceSse, con una bolla, l’indulgenza plenaria a chi visiterà la chiesetta della Congregazione del Santissimo Rosario una qualsiasi domenica dell’anno, un beneficio mi revocato dai suoi successori e quindi ancora valido. QuestO ennesimo riconoscimento in favore della congregazione del SS. Rosario è una ulteriore prova della potenza e dell'autorevolezza della stessa congregazione, la più ricca e la più numerosa delle altre alle quali sopravvisse praticamente fino alla fine deli anni '50.   
   La sua ricchezza traeva origine dalle donazioni della famiglia Cavalcante alla quale era legata per mezzo del priore Antonio, cavaliere gerosolimitano e figlio del duca don Marzio che i 4 gennaio del 1750 le donò la tenuta di Vignali con un atto sotto firmato dal suo segretario Diego Guarascio. La Congregazione possedeva anche la tenuta di Manco del Rosario nella quale nel XIX secolo sorse i cimitero e che ancora conserva l'antico nome. 

                                                              SINDACI COMUNISTI

     Il 21 luglio del 1980  dopo  10 anni la Sinistra, che aveva amministrato ininterrottamente dal 1946 al 1970,  torna ad  amministrare il Comune.  Antonio Lacaria, comunista, è eletto  sindaco PCI - PSI . Fu il secondo e ultimo sindaco comunista nella storia del paese. Il primo,  Alfonso Chiodo,  eletto nel 1946 , rimase in carica per circa un anno. Sciolto il consiglio comunale a seguito dell'autonomia della frazione di Cerenzia, si tennero nuove elezioni nelle quali non fu ricandidato e, dopo la nomina a sindaco prima dell'ex arciprete don Peppino Pitaro e poi del maestro di musica Angelo Di Rosa, entrambi dimessisi nel giro di un anno, nel 1948 fu eletto il socialista Salvatore Giuseppe Falbo.  
 L'amministrazione Lacaria, riconfermata nel 1985, rimase in carica fino al 1990. 

 

                                       LA CATTURA DI  FILIPPO PELLEGRINO E ANDREA LACARIA

  

   Le antiche cronache e i rapporti della Guardia urbana caccurese del 1848 riportano che il 20 luglio dello stesso anno, in contrada Eido, gli urbani al comando di Luigi De Franco e del comandante la colonna mobile Vincenzo Ambrosio, figlio del notaio Francesco Antonio, in seguito a un conflitto a fuoco, catturarono i briganti Filippo Pellegrino e Andrea Lacaria. Il Pellegrino, ferito all'avambraccio, si arrese subito, mentre il Lacaria, dopo aver ferito alla coscia la guardia Bruno Lamanna, fabbro caccurese originario di Serra San Bruno, cercò di darsi alla fuga, ma venne inseguito e bloccato dopo alcuni metri. Poche ore dopo, nell'abitato di Caccuri, gli urbani arrestarono un giovane di 20 anni, Vincenzo Miliè con l'accusa di manutengolismo. 
   Filippo Pellegrino, di San Pietro in Guarano, dipendente dei Barracco, si era dato alla macchia dopo aver uccico, il 26 maggio del 1848, il giovane Luigi Antonio Schipani che viveva in una grotta di Filezzi per rubargli un mantello di lana e, assieme a Lugi Veltri e ad Andrea Lacaria, aveva costituito una piccola banda. Il Lacaria, un ragazzo di soli 19 anni, era conosciuto come grassatore che rubava pecore e maiali ai Barracco e li macellava. Non di briganti patrioti, dunque si trattava, ma di volgari banditi come Panazzu (Rosario Ieu), Salvatore Secreto detto Titta e Salvatore Manfreda, i più noti e feroci fuorilegge caccuresi del XIX secolo. 

 

                                                 LA STRAGE DEI DOGANIERI

   Il 16 luglio del1861 nella notte, poco dopo le ore 24, muoiono, in uno scontro con i "briganti" che contrabbandano sale, le guardie doganali a piedi Celestino Cefalone, Antonio Papa di 50 anni, Angelo Angiolillo De Maria di anni 48 e Michele Domenico Addari di 46 anni.   Il corpo delle guardia doganali nacque subito dopo l'Unità d'Itala dopo lo scioglimento di analoghi corpi degli stati preunitari e nel 1881 col passaggio dalle dogane alle intendenze di finanza, assumerà il nome di Guardia di Finanza. 
   Le guardie doganali, particolarmente odiate dalla popolazione caccurese e da quella dei paesi vicini, in quanto adibite a impedire alla povera di rifornirsi di salgemma nelle cave di Vasalicò. Il salgemma, sale fra l'altro privo di iodio e di scarsa qualità, veniva utilizzato dalla povera gente per condire la minestra, ma soprattutto per le conserve alimentari e per i salumi, ma i piemontesi, subito dopo l'annessione del Regno delle due Sicilie, avevano aumentato la tassazione e inasprito i controlli privando di fatto la povera gente anche del sale. Tutto ciò provocò spesso tensioni che sfociavano in aperte rivolte. La strage delle guardi doganali ebbe un seguito nel 1864 quando scoppio la cosiddetta rivolta del sale che vide contrapposte le guardi doganali e i soldati da una parte e la popolazione di Caccuri e di Cerenzia dall'altra. In quell'occasione la peggio toccò ai rivoltosi tra i quali si registrarono un morto e diversi feriti. Chi ne avesse voglia può leggere la storia di questa rivolta sul sito  L'Isola Amena che, ripeto, ha cambiato server per cui è raggiungibile all'indirizzo www.isolamena.it. Il link per la rivolta del sale è https://www.isolamena.it/LAVORO/STORIA/Miniere/storiamineraria.htm

                                     DOMENICO AMBROSIO, SINDACO DEGLI AGRARI

    Il 14 luglio del 1895  la lista degli agrari,  liberali aPpoggiati dal  del barone Barracco, vince ancora una volta le elezioni. Sindaco è ancora Domenico Ambrosio. Tra i consiglieri figurano Carmine Lucente, Federico Del Bene e Domenico Caccuri.
   Domenico Ambrosio juniore, nipote del notaio Francesco Antonio, nacque a Caccuri  nel 1857 da Vincenzo e da Peppina Caccuri. Sposò Fortunata De Franco, una giovane appartenente a un'altra illustre famiglia caccurese. Dal matrimonio nacquero i figli Vincenzo, futuro segretario comunale e medico condotto di Caccuri, Francesco Antonio, possidente, nato nel 1892 e morto  il 18 maggio 1949 all’età di 57 anni, Giuseppe che si trasferì a Roma ove esercitò per moltissimi anni la professione forense, Raffaele, geometra, sindaco del paese dal 1920 al 1926 e, successivamente, podestà dal 1926 al 1933, Umberto maestro elementare e Maria Giuseppa che andò in sposa a Luigi Lafortuna, avvocato, terziario francescano,  fratello del poeta caccurese  Umberto, autore del volume di liriche per l'infanzia "Pupille infantili."
    Ricoprì la carica di  sindaco del paese dal 1890 al 1897 e poi ancora dal 1910 al 1919. Morì nella sua abitazione di Via Salita Castello il 26 febbraio del 1927 all’età di 70 anni

                                                                       QUEL MALEDETTO FULMINE  

   Alle 4 del mattino di  quel  venerdì 12 luglio del 1912 in Sila l'aria era abbastanza fresca, nonostante si fosse oramai in estate inoltrata.   Salvatore Gigliotti, contadino caccurese di 39 anni, si  sarebbe avviato, da lì a poco, in groppa all'asinello, dall'altopiano silano alla volta di Caccuri. Mentre sellava l'asino, la capra,  che lo avrebbe accompagnato  nel lungo viaggio verso il paese di residenza,  ne approfittava,  per brucare, pur nell'oscurità, sterpi e rovi. Dopo lunghi giorni di permanenza in Sila,  dove era accordato come pastore, tornava per qualche giorno a Caccuri per assistere al battesimo del suo ultimo figlio, nato quattro giorni prima. La gioia di rivedere la sua famiglia, la moglie Maria, i tre figlioletti, ma soprattutto l'ultimo che non aveva ancora visto, gli facevano accelerare i preparativi della partenza. Non era stato facile convincere il "caporale" ad accordargli il permesso di assentarsi per qualche giorno, ma, dopo tante suppliche, c'era  finalmente riuscito. Ora davvero non vedeva l'ora di mettersi in viaggio.  Verso le 4,30 Salvatore, incitato l'asino,  si avviò verso San Giovanni in Fiore. Lasciatasi alle spalle  la cittadina silana,  attraverso l'Olivaro, si enerpicò per l'erta di Gimmella.  Spesso doveva fermarsi per incitare la capra che preferiva brucare tutto ciò che le capitava a tiro e anche per riposarsi e far riposare l'asino che approfittava delle soste per abbeverarsi nei ruscelli che incontravano lungo il cammino. Verso le 11,30 raggiunse il passo di Gimmella dove consumò un pasto frugale a base di pane e formaggio,  prima di  ripartire alla volta del paese. 
   Per strada fantasticava su come lo avrebbero accolto in famiglia,  su cosa gli avrebbero detto i figlioletti, Fortunato e Pietro, sulla festa di battesimo che si sarebbe celebrata l'indomani.  L'asino ora sentiva la fatica del viaggio e il caldo infernale che gli tagliava le gambe e anche la capra evitava di saltellare di qua e di là, limitandosi a brucare, con poca convinzione, i cespugli lungo i margini del sentiero. Quando l'uomo e gli animali  iniziarono la discesa verso le Canalette, il cielo cominciò a coprirsi di minacciosi nuvoloni. Si preparava il classico temporale estivo e Salvatore, che aveva esperienza di queste cose, cominciò a preoccuparsi. Sapeva che in quei frangenti il cielo era capace di scaricare torrenti d'acqua sulla terra riarsa e che una torrida giornata estiva poteva trasformarsi  in una sorta di diluvio universale. Già cominciavano a saettare i primi fulmini e il rombo dei tuoni incuteva terrore. Allora saltò in groppa all'asino che  nella lunga discesa aveva ripreso un po' di fiato e cercò di accelerare l'andatura. Cominciavano già a cadere le prime gocce e il terreno mandava un odore acre, quasi irrespirabile, mentre i fulmini saettavano sempre più frequenti e sempre più vicini. Ora il cielo aveva il colore dell'inchiostro accentuando il bagliore dei lampi che lo squarciavano paurosamente. 
   Alle ore 13,10 Salvatore giunse in località Parpusa, proprio nel punto dove ora si incrociano la provinciale Caccuri - Acquafredda - San Giovanni in Fiore e la strada che porta a Ombraleone -  Eydo per scendere poi fino a San Vito e, quindi, ai Croci e, quando già aveva imboccato quest'ultimo sentiero, si vide una grande fiammata salire dal terreno verso il cielo, mentre un lampo spaventoso  investi l'uomo e l'asino fulminandoli all'istante. La capretta, attardatasi e rimasta un po' più indietro, fu l'unico superstite di questa dolorosa tragedia. La furia degli elementi durò, come quasi sempre in queste occasioni, per una ventina di minuti circa, poi si placò e tornò a splendere il sole.  Un pastore, che aveva il gregge lì vicino e che aveva trovato rifugio in un pagliaio a qualche centinaio di metri, fu il primo a rendersi conto dell'accaduto e corse a dare l'allarme a Caccuri gettando nel più profondo dolore la famiglia dello sventurato contadino. Di colpo la tragedia più crudele investì una famiglia che  solo qualche giorno prima, aveva conosciuto l'immensa gioia della nascita di una nuova vita e che ora subiva l'orrore di una morte atroce e crudele. Esattamente un'ora dopo, alle ore 14,10, l'ostetrica Maria Teresa Quintieri, si recò in Comune a dichiarare la nascita del bambino al quale, quasi a voler esorcizzare la morte, venne dato il nome del defunto padre che non avrebbe mai conosciuto, mentre, contemporaneamente, veniva registrato l'atto di morte dello sfortunato pastore che non aveva ancora conosciuto il suo terzo figliolo. Ancora una volta, la vita e la morte avevano crudelmente duellato nella lunga vicenda di una  sventurata Umanità da sempre sottoposta agli odiosi capricci di queste due misteriose entità. 

                                                                                        CACCURI NEL 1898

    

   Ho avuto l'occasione di sottolineare più volte l'importanza storica della fotografia ed il valore storiografico della stessa. La foto che commento oggi ne è la dimostrazione più lampante. Si tratta di un bozzetto di un ignoto artista della fine dell' Ottocento  che raffigura il castello di Caccuri e la Destra visti, più o meno, dal luogo nel quale negli anni '30 del secolo successivo sarebbe poi sorto l'edificio della scuola elementare. Tale bozzetto  fu pubblicato sul numero 138 del 1898 della rivista "Le cento città", edita dalla casa editrice milanese Sonzogno,  della quale chi scrive è in possesso di una rara copia acquistata tempo fa.   
  Questo prezioso bozzetto, oltre a mostrarci uno splendido "castello" a soli dodici anni dalla realizzazione del bastione merlato e della torre ad opera dell'architetto Adolfo Mastrigli su commissione di don Guglielmo e donna Giulia Barracco, proprietari dell'immobile, ci fornisce altri particolare molto interessanti che cercherò di illustrare qui di seguito. Intanto il castello, che odora ancora di calce fresca, ci appare diviso in due corpi. La parte più antica e con l'intonaco più scuro, a ridosso del vecchio abitato di Caccuri era la vecchia dimora dei Cavalcanti fatta edificare dal duca Antonio seniore nella seconda metà del XVII secolo. C'è poi  un secondo corpo,  che forma un angolo ottuso con l'antico palazzo ed è collegato al bastione sul quale si erge la torre. In questo secondo corpo  l'intonaco appare più chiaro forse a testimonianza del fatto che era stato probabilmente  ristrutturato  o forse addirittura edificato solo dodici anni prima. L'imponente costruzione è protetta da quattro parafulmini le cui aste erano ancora visibili nei primi anni '60 del secolo scorso; tre sul tetto e una sulla torre.  Anche la vecchia caserma dei carabinieri di via Mergoli era protetta da un parafulmine costituito da un'asta centrale collegata a quattro funi di acciaio che scendevano lungo i quatto angoli del fabbricato infilandosi nel suolo a formre la gabbia di Faraday. 
   Accanto all' asta  sulla torre ci pare anche di vedere sventolare una bandiera, forse un tricolore, vessillo impugnato senza tentennamenti dai Barracco dopo l'Unità d'Italia quando tre rampolli dell'illustre famiglia ottennero il laticlavio. Molto nitida anche la rampa sotto la quale era incassata la vecchia condotta idrica che alimentava il castello e l'abitato di Caccuri, in uso fino ai primi anni '80 del '900, rampa che servì anche per il trasporto dei materiali utilizzati per la realizzazione del bastione e della torre. Purtroppo non si nota la vecchia via Adua che all'epoca doveva essere solo un sentiero percorso a piedi dai  caccuresi e dai muli e dai cavalli del barone che venivano rinchiusi nello stallone (attuale casa Talarico). 
   Continuando l'osservazione di questo prezioso documento notiamo ben visibili i resti dell'antica cinta muraria nel tratto compreso tra il Murorotto e la Porta nuova. Nella parte più in basso si nota anche una specie di torre di avvistamento, probabilmente nel luogo dove la cinta faceva angolo. Interessanti anche i tetti delle case nella zona della Porta nuova, molto più inclinati di quelli attuali.  Ai piedi del castello spicca una linea su pali che attraversa il paesaggio da est a ovest e che potrebbe erroneamente far pensare ad una linea elettrica. In realtà l'elettricità arrivò a Caccuri solo molti anni dopo. Quella in questione, invece, è, con molta probabilità,  la linea telegrafica Caccuri  Petila Policastro - San Giovanni in Fiore costruita nel 1877 dal Comune di Caccuri per rompere l'isolamento del paese e che entrò in funzione del mese di ottobre dello stesso anno. L'opera era stata deliberata dal consiglio comunale il 30 gennaio del 1877 sulla base di un finanziamento promesso dalla Deputazione provinciale e che arrivò, però, solo molti mesi dopo che l'opera era già stata realizzata.   La direttrice della linea, così come ci lasciano intuire i tre pali che osserviamo nella foto, ci fa ritenere che la linea Petilia - San Giovanni passasse più o meno per la località Praci - Acquafredda dove, probabilmente, si collegava a quella di Caccuri. 
   Purtroppo questi luoghi fiabeschi  rimasero tali solo fino al 1930. Poi l'opera di deturpazione ebbe inizio con la costruzione dell'edificio scolastico che devastò parte del "Petraro", luogo nel quale era sorto nei secoli  uno dei più antichi insediamenti rupestri della Calabria, fra l'altro abitato fino alla fine del XIX secolo, e proseguì con altri scempi tra i quali la distruzione dello spuntone della Mezzaluna. 
   Intanto già verso la fine degli anni '40 del Novecento i Barracco cominciarono a disinteressarsi dell'antica dimora e dei possedimenti caccuresi che vendettero agli inizi degli anni '50, parte al comune, parte a privati. Don Guglielmo e Donna Giulia che erano molto legati, anche affettivamente, a Caccuri e alla loro dimora,  non ebbero figli,  così dopo la loro morte gli eredi vendettero non solo il castello, ma anche lo splendido parco annesso, il convento e tutte le altre proprietà caccuresi, ma chi subentrò nel loro possesso non coltivò, evidentemente, il culto della bellezza estetica.  

 

                                      ACCADDE OGGI : NASCE A CACCURI GIOVANNI CHINDAMO

                                 

    Giovanni Chindamo nacque a Caccuri il 25 giugno del 1902. Giovanissimo si arruolò nella guardia di finanza e fu mandato in Alto Adige. Qui si sposò con una donna del luogo e si stabilì a Merano che divenne la sua città di adozione.  Si arruolò quindi nel corpo dei vigili urbani della cittadina e intanto si impegnò nello studio del tedesco aiutato anche dalla moglie tirolese e, quindi, di madre lingua tedesca. Allo scoppio del secondo conflitto mondiale fu richiamato nella Guardia di finanza e destinato a Diamante, una cittadina della sua regione di origine dove rimase fino alla fine del conflitto. Congedato alla fine delle ostilità, tornò a Merano ove riprese servizio nei vigili urbani e fu promosso tenente e  comandante dei 42 agenti del corpo. Spesso lo si incontrava per le strade della città, sul lungo Passirio, sulle passeggiate d'estate o sul corso Libertà a bordo di un sidecar guidato da un vigile intento a ispezionare i servizi di polizia urbana, particolarmente curati ed efficienti in occasione del Gran premio ippico di Merano  che si svolgeva all'inizio dell'autunno. Godeva di grande stima  e prestigio, soprattutto nella comunità di lingua tirolese tedesca della quale aveva acquisito perfettamente lingua e cultura. Fu insignito anche del grado di Cavaliere della Repubblica.  Nell’ottobre del 1958 visitò per l’ultima volta il suo paese. Morì il 7 gennaio del 1959.

 

         ACCADDE DOMANI: I FRATELLI BANDIERA ATTRAVERSANO IL TERRITORIO CACCURESE

                                      

    Il 19 giugno del 1844 i  fratelli Bandiera e i loro compagni, dopo lo scontro con gli urbani di Belvedere di Spinello a Pietralonga e dopo essere rimasti nascosti una notte e un giorno, giungono a Bordò dove sostano un po’. Nel pomeriggio vengono assaliti alla Stragola da cittadini e Guardia urbana di San Giovanni in Fiore, Muoiono  Miller e Tesei e tutti gli altri sono catturati. Curioso il comportamento fantozziano delle autorità caccuresi che poco prima di mezzogiorno inviano un messaggio al capo urbano di San Giovanni in Fiore, ma si guardano bene dallo scendere a Laconi per tagliare la strada agli invasori che, infatti, passano indisturbati e, attraverso le contrade Paparotta e San Lorenzo raggiungono la bettola della Stragola e poi il luogo dello scontro fatale. 

                                                                   LA "GRANDE RIVOLTA" CACCURESE

                                

Ho avuto già modo di scrivere in passato sulla rivolta anti unitaria del luglio del 1861 a Caccuri, anche se parlare di rivolta è un tantino esagerato, visto che i caccuresi, nel corso della loro plurisecolare storia non hanno mai fatto ricorso alla violenza se non in casi rarissimi e, comunque, mai collettivamente. La loro specialità, come dimostrano anche le vicende della ricostruzione del paese a seguito del terremoto del 1832, era piuttosto la lettera anonima.
   La mattina del 7 del 1861, comunque, sul campanile della chiesa di Santa Maria delle Grazie appare magicamente una bandiera bianca borbonica issata da qualche patriota che non si rassegnava alla conquista piemontese dell’antico regno meridionale a alla cacciata del legittimo sovrano, Francesco II, attraverso un’aggressione proditoria senza nemmeno una dichiarazione di guerra, un’operazione corsara condannata da tutte le nazioni civili, fatta eccezione dell’Inghilterra che aveva avuto un ruolo determinante nella vicenda e dalla Francia, anch’essa favorevole alla caduta dei borbone. Niente di eccezionale, nessuno scontro armato, nessuna azione violenta, eppure tanto bastò per spaventare a morte le autorità di polizia e militari che da un anno reprimevano violentemente la reazione dei partigiani del Regno delle due Sicilie.
    Poche ore dopo il capo della Guardia nazionale caccurese, Antonio Abbruzzini, terrorizzato dall’episodio, chiede aiuto al comandante del Distaccamento della 4° compagnia in colonna mobile del 29° Reggimento di fanteria, tenente Magni il quale ordina al comandante della Guardia nazionale di San Giovanni in Fiore di raggiungere, con i due terzi dell’intero corpo di polizia sangiovannese, Caccuri nel massimo silenzio e intorno alle ore 24 e di lasciare a San Giovanni il rimanente terzo. Coraggioso e leale questo tenente che spera, probabilmente, nel favore delle tenebre per cogliere di sorpresa i rivoltosi caccuresi. Fortunatamente non successe niente e il coraggioso tenente, dopo avere anch’egli raggiunto Caccuri con i suoi soldati per dare man forte alla guardia nazionale di Caccuri e a quella di San Giovanni in Fiore quasi al completo, dovette correre a Cotronei e a Belvedere di Spinello per sedare altre rivolte più o meno violente. L’anno successivo, però, i piemontesi misero a ferro e fuoco Cotronei distruggendo, incendiando e saccheggiando  molte case mentre la popolazione cercava scampo nella chiesa di San Nicola.
   Tutto è bene quel che finisce bene, potremmo dire ripetendo un vecchio adagio, però questa “rivoluzione” costò un bel po’ di soldi alle casse dello stato (ovviamente denaro prelevato dalle casse del Regno delle due Sicilie). Ecco infatti cosa scrisse il comandante della Guardia nazionale di San Giovanni in Fiore alle autorità militari prima ancora che la presunta rivolta fosse “sedata” :

 Guardia Nazionale di S. Giovanni in Fiore
              Caccuri 9 Luglio 1861

          Signore,
Essendo stato chiamato qua dal Comandante del Distaccamento della 4^ Compagnia in Colonna Mobile del 29° Reggimento Fanteria per garantire questo paese dall’assalto dei briganti, la prego mettere a mia disposizione ducati diciannove e grana venti come giornata delle sessantaquattro Guardie Nazionali che ò condotto meco.
                                                    Il comandante le G.N
                                                      Salvatore Barberio

    Una colonna di soldati, sessantaquattro guardie di San Giovanni in missione, che costano la bellezza di 19 ducati e passa ( la ricostruzione di mezzo paese devastato dal terremoto costò 443 ducati) per una passeggiata da San Giovanni a Caccuri e un paio di giorni di riposo,  tutto per una bandiera issata su un campanile. 

                              

                                   CURIOSITA' STORICHE SULL'ANTICA CACCURI


   Dalla lettura di platee, regesto ed altri antichi documenti e dalle ricerche del mio amico Andrea Pesavento si apprendono numerose notiziole che ci permettono di ricostruire sommariamente la vita sociale, la toponomastica e la storia di alcune famiglie caccuresi del Cinquecento e del Seicento.
   Abbiamo detto più volte che fino al XVIII secolo la cittadina era circondata da mura, anche se, in alcuni tratti compresi tra la Destra e la Portapicola era in stato di degrado (Muro rotto). La popolazione, perciò, viveva all’interno delle mura, anche se molti vivevano nelle case sparse in campagna, nelle masserie o nei monasteri di San Domenico, dei Tre Fanciulli e di San Bernardo. Dentro le mura, nelle vicinanze del castello vi erano due importanti dimore (palazzetti), uno di Giovanni Pietro Manfreda e dei nipoti, figli del defunto fratello Silvio e l’altro di Marco Antonio Mingaccio, discendente del notaio Domenico. Probabilmente la casa dei Mingaccio era quella che poi diventerà di proprietà del notaio Domenico Ambrosio, mentre quella dei Manfreda dovrebbe essere l’attuale casa della famiglia Sperlì. 
   Il tratto tra la Porta Grande (piazza) e il ponte della Parte all’epoca denominato “Lo Cacazzaro”, era di proprietà dei signori Cesare Peluso, del fratello Antonuccio, di Don Ramundo Lauretta e di Ramundo Petuno che vi avevano degli orti.
   La zona tra il convento dei domenicani e l’Aruso (oggi Laruso)  era denominata “Lo Casale”. Vi erano alcuni orti di proprietà di Ottaviano Castello, Domenico Cosentino, del monastero di Santa Maria del Soccorso, di Filippo Piluso,  di Guglielmo Sproveri e di Carlo Martino e vi si trovavano molti gelsi le cui foglie venivano utilizzate per l’allevamento del baco da seta.
   Per quanto riguarda le strade, all’epoca ovviamente mulattiere e solo qualcuna e per brevi tratti carrabile, la situazione era più o meno quella attuale. Dalla Platea del 1533 dell’abbazia Florense apprendiamo che vi era una via pubblica che collegava Caccuri a Cerenzia passando per Laconi, una che dalla marina raggiungeva la Sila attraverso l’abitato e un’altra “per la quale veneno li cosentini” che attraverso il Casale (oggi San Nicola, Acqua dei vulli, abbazia dei Tre Fanciulli,  Gimmella raggiungeva la Sila.

                                        NOTAI E NOTERELLE

   Nel  1629 il caccurese Enrico de Planis, notaio, era il regio credenziere delle regie saline di Miliati e di Lepre.  Questo importante personaggio nominò suo procuratore generale in Napoli per il disbrigo di qualsiasi pratica lo riguardasse  nei vai uffici della capitale, un certo Francesco Greco di Cropani. Nel secolo precedente la professione di notaio era esercitata da un altro illustre caccurese, Domenico Mignaccio (o Mingaccio, a seconda dell’umore degli scrivani dell’epoca ) esponente di una  illustre famiglia  che aveva anche il iuspatronato della cappella la del SS.mo Salvatore  all’interno della chiesa madre che nei secoli successivi passò ai De Luca e poi ai De Franco.  In un suo atto del 10 ottobre del 1551 possiamo leggere la triste storia della  cattura e della prigionia del vescovo caccurese Giovanni Carnuto, rapito dal corsaro Barbarossa, raccontata dai coniugi Nicolò Interzato e Livia de Costa. 
Nei due secoli successivi il tabellionato passò alla famiglia Ambrosio con i notai Domenico Ambrosio e il figlio Francesco Antonio. 

 

                                                                   CI SFRUTTARONO PERFINO I PAPI

     " 'U paise 'e ra muntagna",  lo definiva il "filosofo" Giovanni Marullo, uno che conosceva alla perfezione vizi e virtù dei suoi paesani, per stigmatizzare la facilità con la quale i forestieri a Caccuri, da sempre, potevano fare i loro comodi senza che i locali reagissero e si facessero rispettare, anzi spesso, notava lo stesso zu Giovanni, di una "zinzula se ne faceva un re." Un'abitudine antichissima come testimonia la vicenda che sto per raccontare. 
   Il 26 maggio del1546 il papa Paolo III° Farnese concesse all’arciprete di Crotone don Gregorio Cosentino la rendita della parrocchia di San Pietro di Caccuri. Questo in un paese con una pletora di sacerdoti e canonici sempre alla canna del gas, poveri, che si azzannavano tra loro per sopravvivere e con un convento in costruzione i cui scarsi proventi provenivano dalla tassa di un tornese su ogni rotolo di carne o di pesce che consumavano i caccuresi e i cui monaci erano così poveri da non riuscire mai a completare le opere murarie. Ma, "allu paise 'e ra muntagna" nessuno protestò. D'altra parte come si faceva a protestare contro un papa col rischio di finire quantomeno scomunicato?

                              LA VERITA' STORICA RACCONTATA DA UN NOBILE PIEMONTESE

   Il conte Alessandro Bianco era un giovane nobile piemontese, capitano nel Corpo dello Stat Maggiore piemontese, come tutti i giovani abbindolati dalla propaganda anti  borbonica sulla miseria dei coloni meridionali, sull’arretratezza,  sulla rapacità e sulle malversazioni dei funzionari pubblici, sull’ignoranza, insomma sull’inferiorità economica, sociale, culturale del popolo duosiciliano. Mandato a reprimere il brigantaggio alle frontiere con lo stato pontificio, prende atto delle falsità che gli erano state raccontate e della ferocia della repressione e, onestamente, scrive:

“Il 1860 trovò questo popolo del 1859, vestito, calzato, industrie, con riserve economiche. Il contadino possedeva una moneta e vendeva animali; corrispondeva esattamente gli affitti; con poco alimentava la famiglia, tutti, in propria condizione, vivevano contenti del proprio stato materiale. Adesso è l’opposto. La pubblica istruzione era fino al 1859 gratuita; cattedre letterarie e scientifiche in tutte le città principali di ogni provincia. Adesso veruna cattedra scientifica. Nobili e plebei, ricchi e poveri, qui tutti aspirano, meno qualche onorevole eccezione, ad una prossima restaurazione borbonica.
In pochi anni le proprietà si concentrarono a pieno nelle mani dei ricchi, degli speculatori, degli usurai e dei manipolatori… Tu vedi uomini di merito languire. Spopolati gli studi di tanta gioventù”.

          CONTE ALESSANDRO BIANCO DI SAINT-JOROZ .”

               GLI EROICI LIBERATORI ARRESTAVANO I FANCIULLI

   Dopo la proclamazione dell’Unità d’Italia, quando esplose furibonda la resistenza duosiciliana contro  gli aggressori piemontesi, soprattutto dopo l’imposizione di una serie di odiosi balzelli, la leva obbligatoria e la mancata concessione delle terre e degli usi civici promessa da Garibaldi , lo stesso che ordinò la feroce repressione di Bronte,  i savoiardi, come già avevano fatto i francesi sessant’anni prima, affibbiarono ai partigiani meridionali l’odioso appellativo di briganti e cominciarono a fucilarli, decapitarli, squartarli con una ferocia incredibile alla quale non sfuggivano nemmeno i vecchi, i fanciulli e le donne che spesso venivano stuprate e poi uccise.
   Gli eroici ufficiali piemontesi, molti dei quali conoscevano solo il dialetto piemontese o il francese, venuti a liberarci dagli stranieri che parlavano il napoletano e l'italiano ed erano nati a Napoli da tre generazioni,  ricorrevano a ogni mezzo per catturare i combattenti meridionali, perfino all’arresto di fanciulli e fanciulle figli o parenti dei latitanti.
  Nel 1866, tra gli altri, furono arrestati il quattordicenne Vincenzo Angotti per  “volontaria sciente somministrazione di oggetti, ricovero e notizie sul malfattore Schipani”,  Virginia Mannarino di anni 7 di Petilia Policastro perché “arrestata perché membro della famiglia Mannarino Giuseppe sospettato di manutengolismo”,  Lucrezia Mannarino di anni 11, di Petilia Policastro, perché  “membro della famiglia Mannarino Giuseppe sospettato di manutengolismo”, Vincenzo Muletta di anni 15, di Colosimi, imputato di volontaria somministrazione di oggetti ricovero e notizie ai malfattori ( manutengolo del brigante Schipani), Giuseppe Angotti, di anni 14, imputato di volontaria somministrazione di oggetti ricovero e notizie ai malfattori ( manutengolo del brigante Schipani), Pietro  Mannarino di anni 14, imputato di reticenza di fatti criminosi, che aveva obbligo di rivelare ( non aver riferito subito l’apparizione di briganti nella mandria Caruso.
   Davvero grandi i nostri fratelli liberatori!

Ricerche presso As CZ  GOVERNATORATO ( FONDO BRIGANTAGGIO)   BUSTA 85/ anno 1866

                   UN FEUDATARIO CACCURESE GUERRAFONDAIO




    Fra le tante sciagure che colpirono Caccuri annoveriamo anche quella di aver avuto per sei anni, dal 1479 al 1485, un feudatario guerrafondaio. Si tratta di Girolamo Riario, conte di Squillace, feudatario di Caccuri, e signore di Imola. Il Riario era  nipote del papa ligure Sisto IV, (Francesco della Rovere) sul quale ebbe un'influenza nefasta spingendolo a una politica espansionistica dello Stato ponficio ai danni degli altri signori italiani, soprattutto dei Medici.  Fra l'altro lo convinse ad appoggiare la Congiura dei Pazzi contro Giuliano e Lorenzo dei Medici coinvolgendolo in una pericolosa guerra che fu evitata solo dall'occupazione turca di Otranto che ricompattò i signori italiani. 
   Per fortuna dopo qualche anno ci liberammo di questo bel tipo e il feudo caccurese passò ai Sanseverino, un illustre casato del Regno di Napoli. 

 

                                  TATA MACRI' DIRETTORE DELLE SCUOLE ITALIANE IN URUGUAY

   ll cavaliere, professor Francesco Macrì, più noto col curioso nomignolo di “Tata”, uno degli uomini più illustri  del paese, nacque a Caccuri il 24 aprile del 1870 da una famiglia di modeste condizioni economiche, originaria della provincia di Cosenza. Sin da fanciullo mostrò un accentuato interesse per gli studi tanto che i genitori, a prezzo di grandi sacrifici, gli consentirono di frequentare la “Regia Scuola Normale Superiore” di Napoli dove il giovanissimo Francesco conseguì  la “patente superiore di maestro di scuola”. Subito dopo lo troviamo insegnante in alcune scuole della provincia di Cosenza e, successivamente, anche a Caccuri, ma, a quei tempi, lo stipendio di maestro elementare non consentiva altro che una vita grama, per cui il giovane maestro, come tanti suoi connazionali, fu costretto ad emigrare in Uruguay, dove trascorse ben 27 anni.  Tra i vari incarichi che ricoprì per conto del suo Paese vi fu anche quello di direttore delle scuole italiane in Uruguay. Fu anche membro autorevolissimo e segretario di un circolo culturale italiano della capitale uruguegna. Era ancora nel paese sud americano, professore al liceo italiano di Linares, il 13 dicembre del 1917 quando il ministro degli esteri Sidney Sonnino comunicò all’onorevole Lucifero che, su proposta dello stesso ministro, Vittorio Emanuele III°, con decreto del 9 dicembre dello stesso anno, aveva nominato l’emigrante Cavaliere della corona. L’anno prima il professore caccurese si era reso protagonista di un inconsueto gesto di generosità donando tutti i suoi risparmi, ammontanti a 3.000 lire, frutto di anni di sacrifici e privazioni, allo Stato italiano a titolo di prestito di guerra. Il versamento viene effettuato presso il Banco Italiano dell’Uruguay. E nel 1926, poco prima del suo definitivo rientro in patria, fu ancora protagonista di un secondo atto di generosità donando la sua ricchissima collezione di libri che aveva accumulato in diversi anni, alla Biblioteca della Scuola italiana di Montevideo. 
   Chi volesse saperne di più sulla figura di questo illustre caccurese può visitare questa pagina: http://www.isolamena.com/Caccuri/Personaggi/MACRI.HTM

 

                                            I CACCURESI, IL RE, I PRIVILEGI

 

     Il 22 aprile del 1465 il re Ferdinando I° d’Aragona concesse ai Caccuresi un privilegio in virtù del quale i cittadini dell’Università di Caccuri “in primis causa” non potevano essere convenuti dinanzi a nessun altro se non al re stesso. In pratica, i concittadini di Simonetta, per taluni reati, potevano essere giudicati solo dal re in persona e tutto ciò, dichiara il sovrano, per rispetto di un caccurese illustre, Cicco Simonetta, segretario Duca de Milano.”  Detto così sembrerebbe una gentile concessione del sovrano ai caccuresi, invece si trattava di un esempio deleterio di nepotismo al quale nemmeno Cicco fu del tutto immune.  Cos'era successo in realtà? 
   Ettore De Gaeta, parente stretto del Cancelliere ducale di Francesco Sforza, fu accusato di essere immischiato nella rivolta del principe di Rossano, Marino Marzano, cognato dello stesso re e figlio di Covella Ruffo, che si era più volte ribellato al sovrano. Il De Gaeta, con un esposto al re, lamentò di essere perseguitato dal Viceré di Calabria.  Il sovrano, allora, il 22 aprile del 1465 comunicò al figlio, suo Vicario generale, la concessione di un indulto nei confronti del parente del Simonetta “Tum maxime per respecto del magnifico Cecho secretario dell’Illustrissimo Signor Duca di Milano per respecto del quale volimo che esso Hector è parente del dicto Cecho, siano favoriti et guadative de fare lo contrario, ammoniva il sovrano, per quanto avite nostra gratia cara.” Uno dei primi esempi di avocazione di un processo addirittura da parte del “primo magistrato del Regno” che si arrogava il diritto di giudicare e assolvere di fatto un caccurese che tramava addirittura contro di lui.

                          NICOLA IGNAZZI, 'U BARESE, ATTORE PER CASO



   Quando nel 1950, caduto e archiviato il fascismo e scongiurata la possibilità di confondere i due briganti e di finire in carcere o al confino, la Ponti - De Laurentis decise di produrre un film sulla vita del celebre fuorilegge calabrese, lo scenografo Flavio Mogherini e il Regista Mario Camerini decisero di ambientare alcune scene, tra le più importanti e suggestive, a Caccuri e dintorni. Oltre a ciò decisero di avvalersi di molte comparse caccuresi, ad alcune delle quali fu chiesto anche di pronunciare qualche battuta trasformandole in "attori non protagonisti". Uno dei più bravi la cui recitazione colpì gli addetti ai lavori e i compaesani fu Nicola Ignazzi, meglio conosciuto come Nicola 'u barese. Quand'ero fanciullo sentii ripetere centinaia e centinaia di volte la famosa battuta "T'aspetta domani a Femminamorta", il messaggio di Musolino a Mara, la sua compagna, che Nicola riferisce nella scena della vendemmia alla grande Silvana Mangano. 
     Nicola 'u barese,originario delle Puglie, giunse a Caccuri insieme ad altri corregionali come l'altro Nicola 'u barese, Nicola Spina e i suoi i fratelli Francesco e Sergio, potatori chiamati dal barone Barracco che li impiegava nei suoi uliveti di Lupia e Forestella. Tutte brave persone che si integrarono perfettamente nel tessuto sociale caccurese e lasciarono un bellissimo ricordo tra i caccuresi. 

 

    ACCADDE OGGI: NASCE ALFONSO CHIODO, PRIMO SINDACO DELLA REPUBBLICA

    Il 15 marzo del 1907 nasceva a Caccuri Alfonso Chiodo, da Luigi e da Gelsomina Sellaro. Alfonso, eletto nel 1946,  fu il primo sindaco dopo la Liberazione e primo primo sindaco comunista del paese. Bisognerà aspettare il 1980 per vedere un altro comunista, Rocco Antonio Lacaria, primo cittadino comunista del paese.
   Nei primi anni '20 del secolo scorso, il giovanissimo studente caccurese, assieme a un altro giovane di talento, Giuseppe Lacaria detto Cozziniguru, con disappunto dell'arciprete don Peppino Pitaro che avrebbe voluto farne due dirigenti del Partito popolare di don Sturzo, si avvicinarono al neonato PC d'I di Gramsci e Bordiga attirandosi l'odio dei fascisti locali che, instaurata la dittatura, presero a perseguitarli.  Le attenzioni del podestà e de militi caccuresi divennero sempre più fastidiose e pericolose per cui Giuseppe Lacaria espatriò in Belgio dove si spense per malattia e stenti il 25 aprile del 1936 , all'età di 30 anni, un anno prima di Gramsci, mentre Alfonso si allontanò dalla politica attiva. Dopo la caduta del fascismo riprese i contatti con la federazione provinciale di Catanzaro e riorganizzò una cellula del PCI a Caccuri. e tre anni dopo vinse le elezioni. All'epoca Cerenzia era ancora frazione di Caccuri, l'anno successivo ottenne l'autonomia per cui di dovette tornare al voto.  Alfonso Chiodo, per contrasti con gli altri esponenti della sinistra non si ripresentò e sindaco fu eletto il suo antico padrino politico don Peppino Pitaro, costretto a dimettersi un mese dopo e a cedere lo scettro al maestro di musica Angelo Di Rosa che rimase in carica per circa un anno. Poi fu la volta del socialista Salvatore Giuseppe Falbo che portò a termine la legislatura nel 1952.  Alfonso, comunque, nell'immaginario collettivo fu per sempre un sindaco decisionista, rivoluzionario e un po' autoritario, un sindaco come ci si poteva aspettare in quei turbolenti anni di transizione da una dittatura a un regime democratico.
  Ecco l'elenco dei primi consiglieri comunali caccuresi eletti col suffragio universale : Chiodo Alfonso P.C.I, Pugliese Giovanni D.C, Dardani Vincenzo  D.C, Di Rosa Salvatore Pietro Indipendente, Gigliotti Giovanni Fortunato  P.C.I, Ambrosio Domenico  P.S.I, Bruno Giuseppe Salvatore  P.C.I, Foglia Luigi (Cerenzia)  P.C.I, Pitaro Sabatino Giuseppe  D.C, Pasculli Giovanni  Indipendente, Guzzo Pasquale  P.C.I, Falbo Giovanni  P.C.I, Loria Rosario (Santa Rania) P.C.I, Macrì Amedeo, lacometta Luigi, Bombino Giovanni (Cerenzia), Morrone Battista (Cerenzia), Ambrosio Vincenzo, Muti Tommaso, Aragona Domenico (Cerenzia).

 

 

                                                           CACCURI ARCHEOLOGICA

    Caccuri, nel corso della sua plurisecolare storia è sempre stato un paese sfortunato, ovvero un paese che ha sempre dato molto, ma ha sempre ricevuto poco. Perfino in archeologia.
   Nei primi decenni del XX secolo il territorio caccurese fu interessato da alcune importanti scoperte archeologiche col conseguente rinvenimento di numerosi reperti che finirono, stando a quanto si legge in alcuni libri o in articoli dell’epoca, nei vari musei calabresi, ma dei quali non sono mai riuscito a trovare traccia. Mi sarebbe piaciuto almeno fotografarli nelle loro bacheche, ma non mi è mai riuscito perché nessuno ne sa niente.
   Il primo ritrovamento di un’ascia in basalto nero risalente al neolitico, in località 

, nei pressi dell’antico monastero basiliano dei Tre Fanciulli, risale al 1929.
   Sempre nel 1929, in località Pantane, nella proprietà del prof. don Francesco Pasculli, nel corso di lavori di scavo per l’impianto di un uliveto, venne scoperto un esteso sepolcreto di epoca romana. Le tombe, con le pareti e la copertura in terracotta, costituivano, secondo gli archeologi del tempo, una testimonianza inoppugnabile della via di accesso alla Sila dalla zona Ionica durante il periodo classico.
   Nel sepolcreto di Pantane furono trovati alcuni reperti molto interessanti  che furono inviati all’Antiquarium della Soprintendenza bruzio-lucana e più precisamente:

1)  un asse romano repubblicano di peso ridotto e risalente al II° secolo avanti Cristo;

2)      una monetina enea di Petelia (Strongoli) con la testa di Demeter sul recto e di Zeus folgoratore sul rovescio e la scritta in caratteri greci “Petelinon” del III° secolo avanti Cristo; 

3)      un frammento di embrice con margini rialzati che faceva parte della copertura di una tomba del periodo ellenistico romano.
   Ma la scoperta più importante, almeno per quanto riguarda la quantità di reperti che ne venne fuori, la fecero alcuni scalpellini che il 20 maggio del 1933 estraevano pietra da una cava sulla Serra Grande e che, rimuovendo una grande lastra che da tempi immemorabili si era staccata dal costone roccioso, misero in luce una tomba medievale anteriore all'anno Mille, presumibilmente longobarda.
   All’interno furono rinvenute le ossa di un cadavere ed una ricca suppellettile metallica di facies barbarica molto ossidata e costituita da oggetti  di ferro tra cui due staffe a pianta laminata, tre cuspidi di lancia  a cannone delle quali due più grandi ed una di dimensioni inferiori, una forbice per tosare le pecore, tipico strumento rinvenuto in altre tombe barbariche sparse sul territorio italiano, una forbice più piccola e di diversa fattura, 4 falci per il grano delle quali due integre ed una frammentaria, un' accetta bipenne e una monopenne, una scarpa per aratro a bordi rialzati, una subbia, uno scalpello ed altri frammenti.
     Oltre agli oggetti in ferro ne furono rivenuti anche alcuni in bronzo ed un oggetto vitreo. Il corredo in bronzo era costituito da un pettine a denti triangolari molto robusti che in origine doveva avere un manico di legno o di osso, un vasetto a forma di olla con ventre espanso e bordi superiori rinforzati sormontati da tre trilobi forati per l'attacco di tre catenelle,  un attingitore e un busto dell'imperatore Claudio che, secondo gli esperti, potrebbe essere capitato per caso fra la suppellettile e che, comunque, non è sufficiente a far nascere dubbi sull'esatta datazione della sepoltura che rimane confermata quale tomba risalente all'VIII - IX secolo d. C.
  L’ oggetto vitreo esso consisteva in una coppa di vetro soffiato di colore verdognolo del diametro massimo di cm. 20 e minimo di 18,5. Al centro vi era raffigurato un uccello acquatico palmipede, collo ripiegato ad "S" e becco lungo, ramoscello e tre penne. Anche per ciò che riguarda la datazione di quest'ultimo oggetto si registrano dubbi. Alcuni esperti ritengono possa trattarsi di un oggetto di produzione ispano moresca del XV secolo.
    Questo piatto, insieme al busto dell'imperatore Claudio, sollevano notevoli perplessità sull'intera vicenda. Se, infatti, la presenza del busto bronzeo potrebbe essere spiegata col fatto che i parenti della vittima, perita nell'VIII - IX secolo, in possesso del busto, lo abbiano inserito fra gli altri oggetti, altrettanto non avrebbero potuto fare per un oggetto vitreo fabbricato, addirittura, nel XV secolo, a meno che gli esperti non si siano sbagliati nel considerarlo frutto dell'arte ispanico - moresca. Quest’oggetto così misterioso fu descito da  N. Catanuto, nel volume  Importante piatto invetriato scoperto a Caccuri (Catanzaro) , Faenza, Stabilimento grafico P. Lega, 1955 XIII. Dallo stesso volume, a pag. 3", apprendiamo che il piatto invetriato, opportunamente restaurato, entrò a far parte delle collezioni statali del Museo Centrale della Magna Graecia di Reggio (tav. V e VII). Purtroppo, nonostante approfondite ricerche, in due occasioni, nel museo reggino, pur coadiuvato efficacemente dai custodi, non sono riuscito a trovare traccia del prezioso reperto. Da una fotocopia del volumetto di Catanuto, probabilmente ormai introvabile, sono riuscito almeno a fotocopiare le pagine con le foto della suppellettile che sono tutto ciò che sembra rimanere del “ricco patrimonio archeologico caccurese.” Peccato; sarebbe bello vederlo esposto nelle bacheche di qualche museo.

 

       ACCADDE DOMANI: NASCE DON FRANCESCO PASCULLI SACERDOTE DANNUNZIANO

 

     Il 10 marzo del 1878 nasce a Caccuri don Francesco Pasculli, sacerdote e i segnante elementare.
  Don Francesco compì gli studi a Napoli  e fu ordinato sacerdote. Uno dei suoi primi atti da uomo di chiesa, agli inizi del secolo, fu quello di erigere in Caccuri una croce (la Santa Croce) all'entrata del paese per ricordare la una missione dei Padri Passionisti del 1905. Qualche anno dopo l'amore per una "purissima figlia del fiero popolo calabrese" che con lui "condivise per anni l' amarore di vili persecuzioni" lo convinse a smettere la tonaca, pur rimanendo per, per tutta la vita, cattolico ferventissimo. Si trasferì di nuovo a Napoli ove visse per molto tempo, nella casa di via Scarlatti al Vomero, esercitando la professione di insegnante. Dopo la morte della moglie, avvenuta nella stessa città  il 15 marzo 1920, conobbe Maria Padula, un'avvenente signorina, della quale, probabilmente, si innamorò di quell' amore platonico che lo struggente ricordo dell'amatissima consorte ed il suo misticismo gli consentivano ed alla quale dedicò alcune poesie di argomento vario.
    Allo scoppio della I^ guerra mondiale lo troviamo volontario nelle file dell'esercito, nell'11^ Divisione del generale Diotassisti, in qualità di tenente propagandista, ad inculcare nei soldati poco vogliosi di battersi quell' entusiasmo e quella voglia di gesta eroiche che gli covava dentro.  Per riuscire nel suo intento   teneva ai soldati quotidiani sermoni che poi raccolse in un volumetto intitolato "Il Vate della Patria  o il Senso Cristiano della guerra contro gli in inumani  Austro - Ungarici" che dedicò al generale Pecori - Giraldi.
    Nel 1919, finita la guerra, dopo una breve sosta a Napoli presso la moglie ed il figlioletto Mario, si precipita a Fiume, al seguito di D'Annunzio per partecipare al colpo di mano dei Legionari che porterà alla Reggenza del Carnaro. Qui lo raggiunge la notizia della morte della moglie ed egli, in una tenera composizione,  ne attribuisce la causa alla sua assenza  ( torcular calcavi solus ) .
    Dopo questa sciagura la vita dell'ex sacerdote scorre abbastanza tranquilla, anche se, la formazione culturale permeata di cultura umanistica, di misticismo e nazionalismo lo porterà, per tutta la vita, a coltivare la passione per le grandi imprese, per l'eroismo e l'ardimento intesi come mezzi per educare le generazioni e per realizzare lo sviluppo economico, sociale e culturale del popolo italiano. In quest'ottica egli vive l'epopea fascista e fascista sincero e convinto rimase per tutta la vita vedendo nel fascismo non soltanto "la perfetta fusione del Romanesimo e del Cristianesimo ", ma, anche lo strumento per la realizzazione dei disegni della Provvidenza che del Duce si serviva per "affratellare gli uomini nella santità del lavoro ".  Questa sua continua ricerca di coniugare il Verbo di Dio con le teorie fasciste lo portò a confutare con motivazioni forse un po’ ingenue, ma sincere e meditate, le teorie di Tomas Robert Malthus, espresse nel  "Saggio sul principio della popolazione", sul rischio che l'incremento demografico comportava per l'Umanità, sostenendo che "le viscere stesse dell'uomo, l'energia di madre - Terra e la Provvidenza ci dicono che tutto dev'essere fatto per meglio produrre e per meglio moltiplicarsi e che nel mare l'uomo può trovare il suo alimento di prim'ordine in grado di sfamare le moltitudini". In tal modo conciliava perfettamente la campagna per l'incremento demografico promossa dal regime con le teorie sulla procreazione del magistero ecclesiastico, tanto più che per lui la natura dello Spirito Santo è  femminile: "E se lo Spirito Santo non fosse di natura femminile, come potevasi immedesimare con la Vergine Maria  riempiendola di sé e, così, divenir capace di concepire il Figlio di Dio e la benedetta, la prescelta tra tutte le donne"  rappresentava la madre trepidante e protettiva di tutti gli uomini che giammai avrebbe permesso che morissero di fame.
    Le sue granitiche certezze nei valori e nell' ineluttabilità del Fascismo che, abolendo "le camere dei deputati, arido campo di competitori, di discordie, di pettegolezzi e di inutili dispute: la vergogna dello sgoverno!" e affidando le sorti dell'Italia alla "grandezza e sapienza del Duce", aveva avviato il progresso della Nazione, lo porta a scrivere una appassionata lettera a Vittorio Emanuele III in occasione della sua venuta in Calabria per l'inaugurazione della centrale idroelettrica di Timpagrande, nella quale , dopo aver osservato che "Una nuova e rigogliosa Istituzione è nata oggi in Italia: la maggiore e più salutare che sia sorta al mondo: il Fascismo",  definisce fascisti "pure i nostri monti che oggi, e non prima, sprigionano dalle loro viscere l'immensa energia elettrica che muoverà ferrovie, motori e braccia affasciandoli nella santità del lavoro". Parole che, forse, suoneranno eccessivamente retoriche, ma che furono profondamente sentite da don Francesco Pasculli,   uomo, peraltro, onesto.
     Va osservato,  prima di chiudere questa breve ricostruzione del pensiero e dell'opera del professor Pasculli, in gran parte racchiuso nel poemetto morale inedito “Vita, Cuore, Mente”, che egli, pur rimanendo sempre fedele ai suoi ideali, mai si macchiò di azioni squadristiche o si lasciò coinvolgere in risse o violenze politiche tipiche dell'epoca, ma seppe conquistarsi e mantenere il rispetto e la stima dei suoi concittadini fino al giorno della morte che lo colse in Caccuri il  16 maggio del 1941.

 

ACCADDE DOMANI: IL BRIGANTE DOMENICO FABIANO FUCILATO AL PETRARO

     L'8 marzo del 1809 la guardia civica al servizio dei francesi catturò in località Bardaro dell'agro di Cerenzia  il brigante savellese Domenico Fabiano. Condotto a Caccuri, fu fucilato (scupettatus ictus, come si legge nell'atto di morte redatto dalla parrocchia) in località Petraro.
     La zona Petraro, precisamente il posto dove poi sorse la palestra all'aperto della scuola elementare (attuale campo di basket) era il luogo deputato a questo tipo di esecuzioni. Tre anni dopo, la stessa sorte toccò a un giovane gendarme caccurese, Francesco Iesu, che, dopo aver ucciso un certo Vincenzo Gabriele che lo aveva minacciato di morte, si era dato alla macchia per poi costituirsi per essere processato. Purtroppo i giudici non gli concessero le attenuanti e il 7 settembre del 1812  fu condannato alla pena di morte esemplare e al pagamento delle spese di giudizio per l’importo di 277 lire e 18 centesimi.
   Da fanciullo, essendomi stata raccontata la storia del Petraro come luogo di esecuzione di condanne a morte,  dopo l'imbrunire evitavo accuratamente di avvicinarmi a quel luogo.

 

                                          PEPPE MARASCO (PEPPE 'U MERCANTE)

Peppe Marasco non era un caccurese nel senso che non era nato a Caccuri; vi si era stabilito definitivamente, lui, commerciante che girava per i vari paesi della Calabria, dopo aver sposato una donna del luogo, ma, per la verità, fu uno degli "immigrati" che meglio si inserirono nell'ambiente caccurese al punto che nessuno mai ebbe a consideralo un forestiero. Di natura burlone e gaudente, è uno dei tre personaggi celebrati nella famosa canzone " 'A Caccurisella" che ogni vero caccurese conosce.
    Peppe era celebre per gli scherzi che sapeva organizzare e che facevano ridere tutto il paese. Scherzi e facezie toccavano il culmine nel periodo di Carnevale e, il martedì, il giorno de "l'Azata", nei panni di Quaresima, l'afflitta vedova del filosofo epicureo, si strappava faccia e capelli per il dolore facendo sbellicare dalle risa coloro che seguivano il mesto, gioioso corteo. 
   Una volta in piazza, lui, povero commerciante che certamente non nuotava nell'oro, forse per far dispetto a qualcuno che gli era antipatico, si mise a magnificare i tempi (metà anni '50) che consentivano alle persone intelligenti di arricchirsi facilmente tanto che lui oramai i soldi non li contava più, ma li pesava essendo riuscito a stabilire con precisione il numero di biglietti da mille corrispondenti ad un chilogrammo di peso. Lo scherzo gli procurò una serie di guai quando una lettera anonima denunciò la cosa alla finanza che volle accertare come mai, uno che aveva tanti soldi da pesarli, non pagasse una sola lira di tasse. 
   Quando Peppe, nel 1957 comperò uno dei primi televisori apparsi a Caccuri si divertiva ad angariare le frotte di ragazzini che premevano alla sua porta per guardare la TV dei ragazzi, le avventure di Rin Tin Tin o di Ivanhoe col grande Roger Moore. Per farli entrare pretendeva che si dichiarassero "figli di buona donna" e, quando il ragazzino, per pudore o per non offendere la propria madre, se ne stava titubante senza rispondere alla fatidica domanda, lo teneva sulla corda per un po' prima di prorompere in una fragorosa risata e farlo finalmente entrare in casa, assieme ad altri 50 - 60 monelli, a guardarsi il tanto agognato programma.  
   La specialità di Peppe era la costruzione dei palloni ad aria calda che faceva innalzare nel cielo caccurese una volta all'anno, il 19 marzo, nel giorno del suo onomastico. Ma ogni quattro anni Peppe, comunista incallito, di palloni ne lanciava due: uno il 19 marzo e l'altro il giorno dello scrutinio dopo le elezioni comunali o nazionali quando a vincere erano la lista della "Tromba" o i socialcomunisti. Allora un gigantesco pallone rosso con la "Tromba" e "la falce e martello" si librava nel cielo caccurese per la gioia dei ragazzini che, forse anche per questo, si auguravano la vittoria dei comunisti, cosa che si avverò sempre fino al 1970 quando già Peppe si era trasferito definitivamente da qualche anno in quel di Como.

 

 

                                                    CONFINATI POLITICI A CACCURI

     Come tanti paesi del Mezzogiorno d'Italia, anche Caccuri fu sede di confino per gli antifascisti perseguitati dal regime. Nel corso delle nostre ricerche siamo riusciti ad individuarne nove. Si tratta, nella maggior parte dei casi, di artigiani, operai o braccianti agricoli privati della loro libertà per aver esercitato  il sacrosanto diritto di critica o per aver militato in  partiti politici invisi ad un regime odioso e becero. Alcuni di loro, tra i quali il veneziano Eugenio Mattiazzi, furono ospiti, nel corso del loro forzato soggiorno nella nostra cittadina, della "Locanda Marino", di proprietà di nonno Peppino Marino che aveva sede nella casa attualmente di proprietà di Vincenzo Parrotta, in vico II Buonasera (Vincolato). Pur nelle condizioni di ristrettezza nelle quali, oggettivamente versavano, seppero essere generosi e cordiali nei confronti dei Caccuresi meritandosi stima, rispetto e solidarietà nella misura consentita dagli odiosi divieti imposti dalle autorità del tempo. 
    Molti confinati, prigionieri politici, partigiani entrarono poi in parlamento come deputati e senatori e per risarcirli in qualche modo per le persecuzioni subite e per non aver potuto esercitare per molti anni una professione o un mestiere e assicurare loro una vecchiaia tranquilla e dignitosa furono istituiti i vitalizi dei quali molto parlano a vanvera, anche perché ne fruirono e ne fruiscono ancora oggi molti politicanti che con le persecuzioni del regime, anche per ragioni anagrafiche, non hanno mai avuto niente da spartire. 

Bevilacqua Ernesto, nato a Parma l’ 1-7-1881, rappresentante. Apolitico confinato per apprezzamenti offensivi verso gerarchi e contro  la guerra  d’ Etiopia. Anni 5.C.P.1935 (mesi nove)

Bordi Antonio, nato a Roma il 13 –10 – 1883, fornaio antifascista, confinato per aver criticato un discorso del duce. Anni 3 c.p.  Roma 1935 (mesi 8 gg.1).

Burri Alfredo nato a Foiano della Chiana (A.R.) il 10-5- 1896. Bracciante  del P.C.I.  Confinato per attività comunista.    Anni 3 mesi 7

Del Fanti  Mario, nato a Borgonovo  (PC) il 30/08/1907, residente a Rottofreno (PC). Manovale antifascista arrestato il 24/9/1935 per canti antifascisti, confinato a Caccuri per anni 5, ridotti in appello a 2. Liberato condizionalmente il 24/5/1936 per proclamazione dell’Impero.

Gheffoli Andrea, nato a Sondalo (So) il 29/7/1879, residente a Ventimiglia (IM). Fabbro antifascista arrestato il 20/9/1935 per canti sovversivi e offese al capo del governo. Confinato a Caccuri e Gimigliano per 5 anni. Liberato il 13/3/1937 per la nascita del principe, morì lo stesso giorno.

Mattiazzi Eugenio, nato a Venezia il 16/11/1895 ed ivi residente. Carpentiere comunista, fu arrestato per organizzazione comunista il 6/2/1932. Fu confinato a Rogliano, Caccuri, Curinga e Tremiti per 5 anni scontati interamente.   

Mauro Ermenegildo   
  Bracciante antifascista nato a Reana (UD) il 21/7/1891 e residente a Pozzuolo del Friuli (UD),  Ermenegildo Mauro  fu arrestato il 18/8/1935 per vilipendio del regime. Successivamente fu confinato a Caccuri per un anno, ma la pena gli venne commutata  in ammonizione il 18/2/1936.   Mauro era un socialista puro, fedele al suo ideale fino alla morte che lo colse nel 1984 all'età di 93 anni. 
L' episodio che  gli costò il confino, a metà degli anni 30 lo raccontava spesso egli stesso. Un giorno, mentre stava lavorando alla costruzione di una strada, la carriola che utilizzava si ribaltò ed egli si mise a bestemmiare perché non gli erano stati messi a disposizione  attrezzi di lavoro adeguati e alla fine mandò a quel paese Mussolini e i fascisti. Il giorno dopo venne prelevato dai carabinieri e portato in carcere

            LA CASA CANONICA DEL CAPOLUOGO

    La casa canonica di via Chiesa fu costruita  tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60 dello scorso secolo, se non ricordo male, dalla ditta Angotti, la stessa che costruì il mattatoio e il municipio. Uno dei primi e dei pochi sacerdoti che l’abitarono stabilmente fu il compianto don Giovanni Greco, parroco di Caccuri dal 1963 al 1980. Dopo di lui vi abitarono solo un paio di parroci e qualche suora. Nei primi anni '60, quando ancora l'interno era completamente rustico, tranne le stanze abitate dal parroco, era comunque un luogo pieno di vita con tanti ragazzi dell'Azione cattolica, ma anche non iscritti all'associazione che don Giovanni cercava di accogliere, anche perché vi si poteva giocare a calcio balilla. In questa foto, scattata in una pausa di lavoro, si riconoscono Gennaro Rao, Salvatore Lacava, Giovanni Marra e un altro operaio con in testa la classica bustina di tipica degli operai del tempo, spesso fabbricata con la carta dei sacchi di cemento, mentre setacciano la sabbia arenaria per preparare il calcestruzzo. 

 

         PARROCCHIE E CHIESE CACCURESI

 

      Il terreno denominato San Nicola ha questo nome perché, molto probabilmente, apparteneva alla parrocchia di San Nicola, una delle tre parrocchie caccuresi del XVIII° secolo. Le altre due erano quella di Santa Maria delle Grazie, affidata a un arciprete e quella di San Pietro. Tra i sacerdoti che ressero la parrocchia di san Pietro in Caccuri si ricordano don Domenico De Rosa, don Agostino Chirico e don Gennaro Lucente che fu parroco dal 1768 in poi succedendo ai primi due.
     Le tre parrocchie utilizzavano per le funzioni religiose la chiesa madre di Santa Maria delle Grazie, mentre gli altri edifici di culto, a parte le chiesette sparse per la campagna come quella di Giachetta, di Granatello, di Bordò e di Serra del Bosco di Casalinuovo e alle chiese di Santa Maria del Soccorso e del Rosario, vi erano, a due passi dal centro abitato la chiesa di San Rocco, che non fu edificata nel 1908 come qualcuno ha stupidamente scritto su Wikipedia, ma secoli prima, e la chiesa di San Marco (attuale villa San Marco) poi sconsacrata e utilizzata dai Barracco come fienile ( 'a pagliera) che custodiva al suo interno la statua del santo patrono dei veneti, degli ottici e dei notai. 

 

                     ACCADDE DOMANI: NASCE VELOCIU IL GIULLARE CACCURESE

    Il 25 febbraio del 1849 nacque a Caccuri Angelo Raffaele Secreto, figlio di Vincenzo e di Michelina Mele.  Noto col soprannome di Velociu, fu il grande “farzaro” caccurese, l’incorruttibile fustigatore dei costumi, spauracchio degli amanti infedeli e del clero e dei “signorotti” corrotti, ma anche della povera gente.  Chi lo conobbe lo descrive basso di statura e leggermente claudicante. Passava le sue notti per le buie strade del paese a caccia di tresche e quando le scopriva faceva sibilare nelle tenebre il suo fischietto, segno inequivocabile, per i poveri amanti o per qualche ladruncolo di galline o di derrate alimentari custodite in magazzini di fortuna che Velociu aveva scoperto tutto e che a Carnevale li avrebbe pubblicamente svergognati. Allora la mattina dopo i malcapitati si presentavano al terribile vecchio offrendogli doni o per sottostare al suo ricatto.  Fargli confezionare su misura " 'a vestitura 'e frannina"(un abito di panno, che era la cosa che era solito chiedere), o qualsiasi altra cosa spesso non era sufficiente a salvare l'onore perché a Carnevale, come un bravo comico che non rinuncia per nulla al mondo a una buona battuta, anche Velociu non rinuncia alla sua farsa che si accompagnava con la chitarra battente. 
Compose innumerevoli “farse”, ma esSendo analfabeta,  ce ne  sono  pervenuti solo alcuni frammenti dalla tradizione orale.  Purtroppo, quasi tutta la produzione di questo geniale "poeta" popolare caccurese è andata perduta.

Eccovi alcuni frammenti

E viritilu a Velociu
Ca la notte sempre viglia
E viritilu a Velociu,
ca la notte sempre viglia
e ‘ppe ‘nu fare rrusciu
minturi ogliu alle maniglie

Tutte chisse lampadine
Vannu centra a li viziusi
Tutte chisse lampadine
Vannu centra a li viziusi
Ca la notte stannu aperte
E lu jornu stannu chiuse.

Statte citu, compari Velociu,
a ‘ste cose nun ce pensare,
statte citu, compari Velociu,
a ‘ste cose nun ce pensare
ca te ramu ‘na mericina
e prestu, prestu te fa sanare.

 

    Subito dopo la Liberazione venne costituita a Caccuri, per iniziativa della Sezione del P.C.I., in collaborazione con la Federazione provinciale di Catanzaro, la cooperativa “Era Nuova” che assunse in fitto numerosi terreni a condizioni vantaggiose sfruttando leggi ad hoc e provvide a distribuire tra i soci prodotti agricoli e altri generi alimentari.  La cooperativa consentì, successivamente, l’acquisto e la quotizzazione degli stessi terreni tra i suoi soci. Ne facevano parte, tra gli altri, Salvatore Giuseppe Bruno, Giuseppe Sellaro, Battista Lacaria, Giovanni Guzzo, Pasquale Miliè, Giusepe Falbo, Francesco Sperlì ed altri dirigenti dei partiti della sinistra.

                  

                             EPIDEMIE CACCURESI

   Nel 1876 scoppiò a Caccuri una grave epidemia che decimò la popolazione infantile. Nel solo mese di marzo morirono 8 bambini di età compresa tra 1 giorno e 4 mesi. A quei tempi la mortalità infantile era assai elevata, fenomeno questo che durò almeno fino alla fine degli anni 30 del secolo successivo, anche se quella degli adulti non era da sottovalutare, soprattutto quella provocata da epidemie come la febbre spagnola, anche se non avevano niente a che vedere con quelle di peste del XVI secolo come quella del 1528 che fece strage di popolazione soprattutto a Cerenzia, ma anche a Caccuri, o le successive del 1581, del 1592, e del 1593.



UN REGALO DE L'ISOLA AMENA: L'EPIGRAFE PERDUTA DELLA CAPPELLA DE LUCA

    Una quarantina d' anni fa ebbi la fortunata idea di trascrivere le epigrafi all'interno della Chiesa di Santa Maria delle Grazie, la chiesa forse più sfortunata d'Italia, distrutta una prima volta dal terremoto del 1659, ricostruita, distrutta una seconda volta da un incendio il 1 luglio del 1769, ricostruita una seconda volta, danneggiata dal terremoto dell'8 marzo del 1832 e infine da un fulmine che fece crollare mezzo campanile e l'altare di San Francesco d'Assisi il 20 luglio del 1854 e prontamente ricostruita. Purtroppo le epigrafi non sono più visibili, pare a seguito degli interventi di manutenzione straordinaria degli anni 90, potete leggerle e, se volete, provare a tradurle, su L'Isola Amena. Per ora vi "regalo" quella nella cappella De Luca, poi cappella De Franco. In essa vi sono chiari riferimenti all'incendio del mese di luglio del 1769 e al ruolo che ebbero il parroco Filippo De Luca e il Vescovo di Cerenzia Francesco Maria Trombini nella ricostruzione  nella prima e nella seconda ricostruzione e quella che era la precedente situazione prima della seconda. La famiglia De Luca era una nobile famiglia Caccurese i cui discendenti poi si trasferirono a San Giovanni in Fiore. 
    Ho provato inutilmente a tradurle, purtroppo in latino sono stato sempre una capra. Sarebbe bello se qualche amico che conosce belle questa bellissima lingua ne facesse la traduzione e ce la rendesse disponibile. Magari un giorno la si potrebbe ricollocare nella cappelletta dalla quale è stata incredibilmente cancellata. 

 D.O.M

T…. CEVI LONGINQUA VALET MULARE VETUSTAS N…. SACELLUM EX QUATTUOR SACELLIS ERECTIS OPE …. Rdi. D. PHILIPPI DE LUCA PAR: ET RECTORIS HUIUS SS. CR. EX A: 1642: ET OB INCENDIUM TOTUS DICTAE ECCLESIAE SUO DIC. Pr. MISIS JULIO 1769 ET EX QUATTUOR CAPPELLI SANTE S. LUCA ET MICAEL ARCANGELI ALTERA SE… DATA DD. STEPHANO DE LUCA  A. 1363 TERTIO … DE MONTE CARMELO    (EIQUA?)  SUB TITULO … QUE CONSUMPIA REMANSERUNT VERUM … ET NAVAM SACELLUM VIGORE DECRETI DOMINI FRANC. M. TROMBINI EPISCOPI GERENTHINENSIS IN ACTU S. VISITATIONE OPERA  ……… ANTONI   T… ARISE DE LUCA IN SUA ….   FAMILIA.

 

IL REGNO D'ITALIA A RISCHIO PER UN SOVVERSIVO CACCURESE

                                           Il processo ad Angelo Serafino Secreto  

 

      Angelo Serafino Secreto, di professione mulattiere, era nato a Caccuri il 3 luglio del 1813 da Paolo Secreto. Nel clima di repressione del brigantaggio post unitario, ma anche di qualsiasi malcontento e mugugno contro il nuovo stato unitario, fu imputato di “pubblico discorso col reo fine di eccitare lo sprezzo ed il malcontento contro il governo”, reato consumato a Caccuri il 6 settembre del 1865. Questi i fatti. Il Segreto, soprannominato Panecauro, chiacchierando del più e del meno nella bottega di Luigi Scigliano di Tommaso,  sostenne di aver saputo, a Cotronei, che il re Vittorio si apprestava a coniare nuove monete di rame e per far ciò avrebbe fatto requisire e confiscare  tutti gli oggetti di rame che le guardie avessero trovato nelle case della gente. Forse aggiunse anche qualche considerazione poco rispettosa nei riguardi del re. La cosa fu denunciata al giudice del mandamento di Savelli che chiese immediatamente ragguagli al delegato di Pubblica sicurezza di San Giovani in Fiore. Lo zelante funzionario di polizia gli rispose con nota del 14 settembre che “il Segreto era uno spargitore di voci allarmanti contro il Re e il governo del Regno d’Italia provocando in tal guisa disprezzo e malcontento.”  
      In data 8 settembre era stata raccolta la testimonianza di Saverio Lamanna, fabbro ferraio, figlio di Bruno Lamanna, la guardia urbana che troveremo in altri episodi di repressione del brigantaggio, il quale dichiarò che nella mattinata del 6 settembre, nella bottega di Luigi Scagliano, il Segreto “teneva argomenti atti a far nascere nella popolazione sospetti sulle intenzioni del governo e, fra le altre cose, asseriva di aver saputo in Cotronei che Vittorio era venuto nella determinazione di fare moneta portando via ad ogni casa gli oggetti di rame che si sarebbero trovati.” Fu poi la volta dell’interrogatorio dello Scigliano il quale confermò, sostanzialmente, le parole del Lamanna.
    Il giudice ascoltò anche Tommaso Secreto (Pintisciolle), futuro giustiziere del brigante Zirricu il quale sostenne che nelle parole del Segreto non c’era il fine di eccitare la popolazione contro il governo e che l’imputato aveva costantemente tenuto una condotta morale e politica regolare.
    L’imputato fu ascoltato dal giudice il 19 settembre e si discolpò sostenendo di avere riportato una notizia che aveva sentito da altri e che non aveva alcuna intenzione di eccitare la popolazione. Così, dopo ulteriori atti istruttori, il giudice lo assolse e il sottoprefetto di Catanzaro lo rimise in libertà la mattina del 13 ottobre 1865. [1] Morì a Caccuri il 14 aprile del 1879.[2]


[1] Archivio di Stato di Catanzaro – Processi penali – Fascicolo 652
[2] Comune di Caccuri – registro degli atti di morte del  1879, n. 19

 ACCADDE DOMANI: I RESTI DELLA BANDA DI PIETRO MONACO VENGONO CATTURATI A CACCURI

   Il 10 febbraio del 1864, in località Serra del bosco di Calasinuovo nell'agro di Caccuri, cattura i resti della banda del brigante Pietro Monaco capeggiati dalla moglie Ciccilla che si erano rifugiati in due piccole grotte della zona dopo una lunga fuga a seguito dell'uccisione del capo banda la notte del 24 dicembre del 1863.
    La latitanza dei resti della banda durò fino al 9 febbraio del 1864. Fuggiti dalla valle del Jumicellu, il luogo dell’assassinio del capo, la banda si diresse verso sud est fino a raggiungere il territorio di Caccuri. Intanto al gruppo, che aveva trovato rifugio in due piccole grotte nel bosco di Casalinuovo in località Serra del bosco del comune di Caccuri,  si erano aggregati anche i briganti Pasquale Gagliardi e Ludovico Russo detto Portella.
   Mi sono chiesto più volte come abbia fatto la banda  a scovare queste grotte e questa località che si trova a molti chilometri di distanza dai luoghi solitamente frequentati dalla comitiva e comunque teatro di scorribande di altri briganti. Evidentemente ci furono delle complicità.  Comunque anche la cattura di Ciccilla e dei resti della banda Monaco fu, ancora una volta, il prodotto di un tradimento.    
   Questa volta a vendere ai piemontesi Ciccilla e i suoi fu il brigante Giuseppe Iaquinta, forso lo stesso che aveva insegnato loro il nascondiglio. Iaquinta avvisò il comandante del 37° Reggimento Fanteria della Brigata Abbruzzi di stanza a Petilia Policastro della presenza dei briganti a Casalinuovo.  A questo punto scattò la trappola che impegnò molti uomini al comando del sottotenente Ferraris e del capitano Baglioni i quali circondarono le grotte tagliando ogni via di fuga alla banda intrappolata in quei piccoli pertugi.
   Vistisi persi i briganti ebbero una reazione furibonda che costò la vita ai bersaglieri Giovanni Spagnolini di Fara Novarese e Francesco Agnolini di Cittaducale e al guardiano di Barracco Michele Corvino da Lappano[5], conoscente di uno dei banditi. Questi a loro volta persero subito il fratello di Pietro Monaco, Antonio che, gravemente ferito, spirò dubito dopo e  la cui testa, trapassata dalla pallottola mortale, fu poi recisa e portata a Cotronei per essere esibita al giudice e Pietro Gagliardi.
   Nonostante le perdite, Ciccilla e i due superstiti resistettero ancora per una notte, poi al mattino si arresero, furono arrestati, condotti  Cotronei e quindi a Catanzaro per il processo. La brigantessa fu condannata a morte, pena poi commutata in carcere a vita pare su richiesta del generale Sirtori  e che scontò nel carcere fortezza di Fenestrelle.  Purtroppo le grotte, sul versante sud di Serra del Bosco, nei pressi di un’antica chiesuola a ridosso dell’abitato di Santa Rania e in faccia a Cotronei, crollarono a  seguito dell’alluvione del 1972 e la zona è attualmente ricoperta da una intricata vegetazione che ne impedisce l’accesso.

ACCADDE OGGI: NASCE VINCENZO FAZIO IL FOTOGRAFO DELLA NOSTRA STORIA

 

     Il 6 febbraio del 1866 nasce Vincenzo Fazio, artigiano poliedrico e fotografo testimone di fatti e personaggi della storia caccurese del primo Novecento.   Falegname ed idraulico e fontaniere del Comune di Caccuri,  fu uno dei più esperti ed appassionati fotografi del circondario, un “professionista” umile e modesto che seppe lasciare ai posteri pregevolissime testimonianze di vita della piccola comunità nella quale visse ed operò.
      Fin da giovane imparò a guadagnarsi da vivere sfruttando le sue abilità e capacità. Come già detto, lavorò da falegname, da idraulico ed, infine, ottenne dal comune l’incarico di gestire la rete idrica del paese che era stata realizzata all’inizio del secolo scorso su progetto dell’ingegnere Stanislao Martucci. Quest’uomo intelligente ed abile aveva, per nostra fortuna, anche la passione per la fotografia, un’arte ancora relativamente “giovane” che, comunque, si andava diffondendo anche nei più sperduti paesi della Calabria grazie a pochi isolati “pionieri”. E così, a prezzo di sacrifici notevoli, Fazio comprò un apparecchio fotografico che utilizzava lastre di vetro al bromuro d’argento prodotte dalla famosa ditta Ferrania, un ingranditore e l’attrezzatura per sviluppare in proprio le lastre e, utilizzando per lo sviluppo come fonte di luce esclusivamente il sole, immortalò, per alcuni decenni, centinaia e centinaia di soggetti: singoli personaggi, gruppi, manifestazioni pubbliche,  operai, contadini, massaie dediti al loro lavoro quotidiano, paesaggi e scorci dei dintorni caccuresi. Produsse e vendette, nella bottega di alimentari e coloniali gestita dalla moglie, la famosa za Rosina,  anche due pregevoli cartoline del castello di Barracco e del rione Croci, la zona di “espansione” del paese sorta negli anni ’20. 
       Nel 1988 parte della produzione del fotografo caccurese fu raccolta, per iniziativa del Comune, in un volume dal titolo “Caccuri e la sua gente” edito dall’ editore Saverio Basile di San Giovanni in Fiore e curata dal fotografo Mario Iaquinta. Si può dire che non v’è una sola casa di Caccuri in cui non vengano conservate almeno cinque o sei istantanee dell’artigiano caccurese.
       Le foto di Fazio consentono di ricostruire fedelmente un pezzo importante della storia, delle tradizioni e del costume caccurese. Particolarmente interessanti sono quelle scattate in occasione della visita ufficiale del vescovo di Cariati nel 1936, della missione dei Padri Passionisti nel 1935, della proclamazione dell’Impero “sui colli fatali di Roma.” E poi, ancora, quelle che ritraggono le maestre, i dirigenti e gli alunni dell’asilo infantile “G. Cena”,  le ragazze della scuola per ricamatrici gestita, negli anni ’20,  dalle suore, la banda musicale Cimino nel 1920 e quella del maestro Di Rosa negli anni ’40, documenti preziosi per la storia caccurese prodotti dal bravo artigiano appassionato di lastre ed obiettivi che si spense il 30 settembre del 1944.

 

ACCADDE OGGI: MUORE A TRIESTE ANTONIO RIZZO, GENERALE CACCURESE, IL SOLDATO PIU' DECORATO DELL'ESERCITO ITALIANO

  

   Il 2 febbraio del 1951 muore a Trieste, all’età di 66 anni, il generale di divisione caccurese Antonio Rizzo, già comandante della  Brigata  Sassari. Rizzo  nacque a Caccuri nel 1885, in una casa di via Portapiccola da Antonietta Cistaro, maestra elementare e da Salvatore Rizzo originario di Crotone. Compiuti in Calabria gli studi superiori, si iscrisse all'università L'Orientale di Napoli dove si laureò in lingue orientali con ottimi voti. Intanto aveva anche intrapreso la carriera militare.  
   Nel settembre del 1907 è aggregato al 38° Reggimento fanteria col grado di sottotenente, e nell'ottobre del 1912, al rientro da Rodi (Isole Egeo) dov'era stato mandato in missione, è già capitano nel 12 Reggimento Fanteria.  Partecipa alla guerra di Libia e i 15 gennaio del 1917 viene destinato al comando della 6^ Armata. Nove mesi dopo lo troviamo col grado di maggiore assegnato al deposito Fanteria Ozieri. 
   Allo scoppio della prima guerra mondiale la sua già brillante carriera ha un'accelerazione divenendo addirittura folgorante. Rizzo è alla testa dei suoi uomini nella battaglia della Trincea delle Frasche, nel Carso isontino, nella Decima battaglia dell'Isonzo, in quella di Caporetto e nella Prima battaglia del Piave.  Il 30 ottobre del 1917 compì un'impresa che ricorda la leggenda di Orazio Coclite. A Codroipo, con pochi uomini, riesce a tenere in scacco un reggimento tedesco consentendo al resto dell'esercito italiano di ritirarsi indenne oltre il Tagliamento. Le cronache del tempo raccontano che per molte ore sparò all' impazzata contro il nemico saltando di casa in casa e rincuorando i suoi uomini. Rimasto con pochi compagni fu ferito a un piede e catturato dal nemico, ma, mentre veniva avviato a un campo di prigionia, riuscì a fuggire, attraversò a nuoto il fiume e raggiunse il resto dell'esercito ormai al sicuro. L'azione gli fruttò la prima delle due medaglie d'argento; la seconda la guadagnò vincendo la prima battaglia italiana dopo la ritirata, episodio che ridiede fiducia a tutto l'esercitò italiano demoralizzato dopo la ritirata di Caporetto. Fu quindi spedito sul fronte francese dove ebbe modo di guadagnarsi due onorificenze, quella di Ufficiale della Legion d'Onore francese e una Citation a l'Ordre de L'Armèe. 
   Nel luglio del 1935 viene promosso colonnello comandante del 151° Fanteria e il 12 novembre del 1936 parte da Napoli alla volta di Massaua in Eritrea e, l'anno dopo cattura Ras Destà, genero del Negus, l'ultimo ras ribelle ponendo fine alla resistenza etiope contro l'aggressione italiana.  Il 12 ottobre del 1940 è promosso generale di brigata. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, in Africa orientale fu fatto prigioniero dagli inglesi che gli resero l'onore delle armi., ma nel 1943 riottenne la libertà, tornò in Italia ammalato e, dopo un breve incarico al Ministero della guerra, il 6 agosto dello stesso anno fu collocato nella riserva col grado di generale di divisione. Si ritirò quindi a Trieste dove si spense otto anni dopo.
   Antonio Rizzo è il soldato più decorato dell'esercito italiano con ben 27 decorazioni tra le quali 2 medaglie d'argento, 10 medaglie di bronzo, 4 croci di guerra, Ufficiale dell'Ordine militare di Savoia, e le già citate onorificenze francesi, oltre a citazioni di merito e altri riconoscimenti. I suoi meriti e la sua cultura emersero non solo in battaglia, ma anche negli incarichi diplomatici, soprattutto nelle trattative di pace con i ribelli etiopi, e di giudice del tribunale militare.

ACCADDE OGGI: MUORE A SAVELLI PIETRO DE MARE, "IL LEONARDO" CACCURESE

    Il  31 gennaio del 1979 si spense a Savelli Pietro De Mare, caccurese, artigiano  poliedrico, grande invalido di guerra dirigente della locale Sezione dei  combattenti. Nacque a Caccuri da Saulle De Mare, un valente stagnino di Cropani e dalla caccurese Letizia Marino nell'abitazione del nonno paterno Francesco, nel rione Vincolato, oggi vico II Buonasera. Giovanissimo fu chiamato alle armi e combattè nella Grande guerra. A causa del congelamento degli arti inferiori rimase invalido per tutta la vita, ma questo non gli impedì di mettere a frutto il suo grande ingegno e la sua versatilità in tutte le arti. Era infatti un bravissimo stagnino come il padre, ma conosceva anche l'arte di fondere i metalli, era un eccellente meccanico, idraulico, sapeva scopire il marmo e si intendeva perfino di cartomanzia. E' sua la lapide ai caduti della prima guerra mondiale collocata sulla facciata del palazzo De Franco in via Buonasera.  Assieme al cugino Francesco Marino (zio dell'autore di queste note) aprì il primo "cinema" caccurese che funzionava con un ingegnoso proiettore da lui stesso costruito e che utilizzava una potente lampada ad acetilene.  Costruì, sempre ad acetilene,  l’impianto di illuminazione di alcune zone del paese. Altra sua importante opera era la teleferica che collegava la Serra Grande alla “Pagliera di Barracco, l'ex chiesa sconsacrata di San Marco”, attuale villa San Marco, per il  trasporto della pietra calcarea estratta sulla collina a nord del paese e che, portata ad elevate temperature nelle calcare del luogo, forniva la calce utilizzata per costruire le prime case del nascente rione Croci. Dopo il matrimonio si trasferì a Savelli, paese di residenza della moglie ove visse per alcuni decenni.

 

                    ACCADDE OGGI: IL COMUNE SI DOTA DEL TELEGRAFO

   Il 30 gennaio del 1877 il Comune di Caccuri, con una delibera del Consiglio comunale, chiese l’installazione di un impianto telegrafico per collegare il paese alla linea Petilia Policastro – San Giovanni in Fiore per rompere l'isolamento e fruire di un moderno sistema di comunicazione con gli altri centri abitati della provincia e del resto d'Italia. L’impianto entrò in funzione nel mese di ottobre dello stesso anno. L’ufficiale telegrafico percepiva uno stipendio annuo di 500 lire. Il sindaco di quegli anni era il barone Guglielmo Barracco che fece costruire anche la fontana pubblica di Canalaci, l'acquedotto rurale di Eido (Canalette) e il bastione e la torre cilindrica merlata annessa all'antico palazzo dei Cavalcante, progettata e realizzata dall'architetto napoletano Adolfo Mastrigli 

.                                RESISTENZA DUOSICILIANA

 

    Il 28 gennaio del 1861 la Guardia Nazionale di San Giovanni in Fiore, al comando di  Salvatore Barberio, insieme al luogotenente dei carabinieri Leopoldo Bianchi e al tenente Antonio Ripoli, arrestano Domenico Scarcella che si sta recando ad una riunione cospirativa a Acquafredda tenuta da un noto partigiano delle due Sicilie l’attivissimo frate padre Clemente da Sersale. I carabinieri e la Guardia nazionale accorrono ad Acquafredda, ma non trovano nessuno. Al ritorno, a Gimmella, intercettano tre individui. Due vengono catturati, mentre il terzo riesce a dileguarsi nella boscaglia mentre infuria una tormenta di neve. L’ uomo che sfugge alla cattura è proprio padre Clemente da Sersale. 
   Due giorni dopo una banda di partigiani borbonici che evidentemente aveva pianificato l'azione proprio nella riunione di Acquafredda, penetra nel territorio  caccurese. Il comandante della Guardia Nazionale e i carabinieri organizzano una battuta nelle campagne di Vattinderi, Arghili e Lauro teatro delle operazioni dei resistenti, ma di loro nessuna traccia.

 

                               LE INFUOCATE ELEZIONI AMMINISTRATIVE DEL 1919

 

  Nel 1919 Caccuri fu amministrata da due commissari prefettizi che sostituirono, per un certo periodo, il sindaco dell’epoca Domenico Ambrosio. Il primo, il dottor Nicola Leone, si schierò apertamente per il partito degli agrari, ex liberali, la maggioranza dei quali costituiva il primo embrione caccurese del futuro partito fascista, il secondo. Vincenzo Costantino Barberio, originario di San Giovanni in Fiore, militò nel Partito Popolare e fu eletto consigliere comunale del nostro paese nelle elezioni amministrative del 10 ottobre del 1920.
   Il dottore Leone rimase in carica da gennaio 1920 fino ad agosto quando gli subentrò appunto il Barberio che gestì le elezioni nelle quali era candidato, senza riuscire a condizionarle riuscendo solo a ottenere un seggio di minoranza. Vinse, in fatti, la lista degli agrari capeggiata da Raffaele Ambrosio, figlio del sindaco che era stato costretto alle dimissioni che gli subentrerà nella carica.
    A dare una mano ai popolari di don Pitaro, Peppino Gigliotti,  Francesco Militerno, coantoniere statale, scese da Rovigo il dottor Francesco Lucente, ma neanche il suo contributo riuscì a sovvertire il risultato di una competizione che i popolari, scioccamente, regalarono agli avversari.
   Le elezioni erano state precedute da duri scontri sfociati  in furibonde risse che l'anno prima  provocarono le dimissioni del segretario comunale dott. Vincenzo Ambrosio al quale subentrò il dott. Vincenzo De Franco e i popolari avevano chiesto e ottenuto le dimissioni del sindaco Domenico Ambrosio e la nomina dei due commissari. Poi, probabilmente gli animi si erano un po' calmati tanto che i rappresentanti dei due schieramenti, prima del voto, in barba alla legge elettorale, si misero d’accordo per consentire agli elettori di votare fuori dalla cabina. La decisione fu fatale per i militanti sturziani. I popolari si fidavano dei loro elettori che dalla lotta del partito e dell’associazione dei combattenti avevano ottenuto numerosi benefici, ma non avevano messo in conto la paura e la soggezione che provavano per gli agrari che li tenevano schiavi da sempre.  Distribuite le schede, uno dei maggiorenti degli agrari, cominciò a urlare ad alta voce che chi votava in cabina era considerato un traditore e infatti i popolari votarono per gli agrari sotto gli occhi sbigottiti dei loro capi partito. A nulla valse un veemente esposto che mastro Peppino Gigliotti presentò al segretario comunale per invalidare il risultato che non cambiò. Passò poco e le elezioni furono abolite del tutto e al sindaco Raffaele Ambrosio subentrò il podestà Raffaele Ambrosio.

                                     IL DURO INVERNO 1919 - 1920

     L’inverno del 1919 –1920 fu per i Caccuresi uno dei più difficili e drammatici. Le famiglie dei reduci, infatti, private del sussidio di guerra col quale erano  riuscite per quattro anni a barcamenarsi e a sopperire alla mancanza delle braccia del congiunto al fronte, vivevano nella più assoluta indigenza ed erano prive di indumenti idonei, cibo, legna da ardere. Anche le provviste scarseggiavano, sia perchè le terre dei piccoli contadini erano abbandonate per la scarsezza di manodopera, essendo tutti gli uomini validi e forti al fronte, sia perché la quasi totalità dei terreni agricoli era nelle mani dei Barracco e di altri grandi proprietari che li lasciavano incolti per utilizzarli come pascoli. Per questi motivi la Sezione dei combattenti organizzò una raccolta di viveri da destinare alla popolazione affamata facendo appello alla generosità degli agrari che, inaspettatamente, si mostrarono assai solidali e munifici. Qualche mese dopo i reduci, associati all'Opera Nazionale Combattenti, iniziarono una dura battaglia che si concluse con una parziale conquista delle terre del latifondo.

 

      ACCADDE OGGI: PAPA ONORIO III DONA DUE MONASTERI BASILIANI AI FLORENSI

      Il 22 gennaio del 1217 papa Onorio III° donò i monasteri basiliani di Santa Maria di Càbria e dell’abate Marco, entrambi fondati dai basiliani, all’ordine dei Florensi. Dopo la vasta donazione di Enrico VI che comprendeva anche tutte le terre del Monastero dei Tre Fanciulli (Patia) e quella del Bordò a favore del "Calavrese abate Gioacchino di spirito imprenditoriale dotato", un papa completa l'opera di cancellazione del rito greco e la sua sostituzione con quello latino, ma soprattutto l'espansione dei possedimenti florensi a scapito dell'Università di Caccuri i cui confini vengono portati quasi fin sotto le mura della cittadina. Perfino gli antichi toponimi verranno stravolti come, ad esempio il Virdò che diventa il Vuldoji.

 

                                TIMBRI E STEMMA CACCURESI

    Quelli che vedete in questo collage di foto sono alcuni timbri e stemmi caccuresi del Regno di Napoli e di quello delle due Sicilie. Il primo in alto a destra, risalente al 1813 durante, regnante Gioacchino Murat, è il timbro del tabellionato del notaio Francesco Antonio Ambrosio che aveva lo studio notarale nel palazzo Ambrosio di via Salita Castello, attuale proprietà degli eredi Macrì e Pirito, mentre quello in basso è quello del Comune di Caccuri durate il regno di Ferdinando II di Borbone. Lo stemma, infine, collocato successivamente sulla parete  della fontana pubblica di Canalaci fatta costruire dal sindaco, il barone Guglielmo Barracco nel 1884, risale al 1734 durante il regno di Carlo III di Borbone, padre di Ferdinando IV, dal quale ebbe origine la dinastia che regno su Napoli e sulla Sicilia fino al 1860, prima dell'arrivo di Garibaldi e dei Savoia.  

 

ACCADDE DOMANI: SI AUTORIZZA LA COSTRUZIONE DELLA CHIESA DEL ROSARIO

 

    L' 8 gennaio del 1690 il Padre Provinciale dei Predicatori, aderendo alla richiesta dei confratelli del S.S. Rosario di Caccuri, Francesco Saverio Bonaccio, priore della Congregazione Orazio Antonio Novello, assistente priore,  Filippo Mele, infermiere,  Francesco Mele e  Santino Falbo, concesse l’autorizzazione ad erigere la chiesetta della Congregazione del SS. Rosario in una stanza del convento dei domenicani fondato un secolo prima da padre Andrea da Gimignano, con questo provvedimento: "Concedimus quod in nobis est experitur servatis servandis et committemu Fra Priori ut de Consilio P.P. (illegibile) pro ut congriensis estimabinet ut esentiori mandetur ut sg. dicta .
Concessio Caccuri die 8 januarii 1690."
   Qualche decennio dopo il nuovo priore, don Antonio Cavalcante, cavaliere di Malta e fratello del duca Rosalbo, arricchì la chiesetta con altari, scanni corali, statue e dipinti come apprendiamo da quest'epigrafe: "D.O.M. - Ac deiparae semper Virgini de Rosario quid quid hic permagnifice vides extructum totum industra et sedula pietate excellentissimi D.ni Prioris E. D. Antonii Cavalcanti inter frates milites hierosolimitani recepti et labora. Tum evit   A.D. 1751".

 Infine il 21 luglio del 1824 papa Leone XII concesse l'indulgenza plenaria a coloro i quali visita la chiesetta in una domenica qualsiasi e in occasione della festa del SS. Rosario:

Decretum

Ad humillimas preces pia Archiconfraternitas sub titula B.M.V. de Rosario in quaedam Ecclesia loci Caccuri nuncupavit, Diocesis Cariatem, Canonice erecta, vel canoinice erigens Il.mus D.nus Nr. Leo P.P. XII anneus ut omnes et singula Missa qua omnibus vis eiusdem triconfraternitatis confratribus ed cosnoribus defuntis Deotamen richavitate congiuntis die qodlibet Altare dicta Ecclesia celebrabuntur, eodem gaudeant privilegio, nisi ne altari privilegiato clebrata fuerint clementer indulsit, non obstantibus in contrarium facientibus quibuscumque Praesentim perpeuum volituro absque  Bravis expedite.

Datum Roma in Sec.ria S. Congregationis Indulgentium die 19 Iulii 184 . P.s. Card Nava L. Sirey

l.mus  D.nus Nr. Leo P.P. XII omnibus utriusque (illeggibile) delibus, vere paenitentibus, confessis, saervaque comunione refertis supraenunciata Ecclesiam diebus utui fra devota vigilantibus, inique per aliquod temporis spatium giustamentem Samtitatis Sua pie oranti bus nunaviam indulgentiam, tam i praencipio D.N. I.C. Solemnitatibus Nativitatis semper nuncpr Circuncisionis Epiphaniae, Dominica Pasqualis, Resurretionis, Ascentionis et (illeggibile) Xpte scecenonsia B.M.V. Conceptionis, Nativitatis, Annunciation is, Parificationis festis incipientur.

                                          Leone XII

                   L'ARTIGIANATO DEL SETTECENTO CACCURESE 

 

       Nel secolo XVIII° l’artigianato caccurese era particolarmente fiorente. Oltre ai Trocino dei Marsi, la famosa famiglia di intagliatori il cui membro più illustre, Battista realizzò il pulpito e gli scanni corali della chiesa di Santa Maria delle Grazie, nel paesino c’era un gran numero di sarti, calzolai, falegnami, maniscalchi; c’era anche un mastro pittore, tale Costantino Asturi originario di Catanzaro, un mastro fonditore di campane,  forse discendente di quell'Angelo Rinaldi che nel 1578 fuse in loco la campana della chiesa matrice, il mugnaio Astorino, un barilaro e numerosi cestai. Molto bravi anche i fabbri che realizzavano le loro opere in ferro battuto che si tramandavano la loro arte di padre in figlio. Uno degli ultimi, anzi probabilmente l'ultimo, fu mastro Peppino Gigliotti che visse a cavallo tra l'Ottocento e il Novecento.

 

                             ACCADDE OGGI  MUORE IL DOTT. FRANCESCO MACRI' 

 

   Il 12 dicembre del 1973, nelle prime ore del mattino moriva all'impovviso il dott. Francesco Macrì, "l "medico del sorriso" come venne ribattezzato dai caccuresi. 

Don Ciccio, come lo chiamavano tutti, non era solo un grande medico, ma era anche un uomo di cultura, un umanista che coltivava le buone letture e che, fino al giorno della morte, curava la propria formazione culturale con lo stesso zelo con il quale curava i suoi pazienti.  Nei primi giorni di dicembre, nonostante avesse avuto diversi segnali che lasciavano presagire un imminente attacco di cuore,  rifiutò di farsi ricoverare in ospedale e continuò a fare la spola tra i suoi pazienti. Era il periodo della crisi petrolifera, delle domeniche a piedi e la Bianchina di don Ciccio era la sola macchina in circolazione nelle strade del paese, tra tricicli, e automobiline di bambini che approfittavano del blocco della circolazione per giocare liberamente in strada. “Il medico del sorriso” si fermava spesso ad osservare, divertito, ridendo fino alle lacrime, quei bambini, quei “diavoletti di Cartesio”, come affettuosamente li definiva,  che giocavano in strada e sulla cui salute vigilava. L’andirivieni della piccola utilitaria si interruppe tragicamente in una fredda mattina di dicembre, quando un maledetto infarto spense quel sorriso, ma il ricordo di quell’uomo dolce, buono e schivo è rimasto indelebile fra i suoi assistiti.

 

                       

 

 

 

                      

 

         ACCADDE DOMANI: MUORE IL SACERDOTE DON ANGELO DE FRANCO 

 

    Il 14 dicembre del1847 muore  all’età di 51 anni il sacerdote Don Angelo De Franco, caccurese, figlio di don Antonio e di donna Agata Florio e fratello maggiore di mons. Raffaele, arcivescovo di Catanzaro. I De Franco erano una delle più antiche e più illustri famiglie caccuresi, proprietari di vaste tenute, armenti e dell'omonimo palazzo di via Buonasera nel quale nacquero sia don Angelo che l'arcivescovo. Altri rampolli illustri della famiglia furono, tra gli altri, don Marco al quale il 31 dicembre del 1903 il Consiglio comunale dell'epoca, su proposta del sindaco Francesco Maida, decise di affidare l'incarico di "insegnare a leggere e a scrivere a quei cittadini che ne avessero possibilità e voglia" e che ricoprì per molti anni anche la carica di giudice conciliatore, il dott.  Vincenzo Maria Raffaele Eugenio  (il padre del dott. Francesco,  detto don Ciccio) medico chirurgo, farmacista e segretario comunale, i fratelli  di quest'ultimo, l' avv. Lugi e il perito agrario Francesco, detto don Ciccio, il dott. Gaetano, farmacista e maestro  elementare e i loro discendenti.

                          ACCADDE DOMANI: NASCE MARIA FRANCESCA ANTONIA DEMME 

             

      Il 2 dicembre del 1902 nacque  a Caccuri Maria Francesca Demme, la seconda ultracentenaria caccurese che si spense a San Giovanni in Fiore il 24 febbraio del 2005 alla venerabile età di 102 anni. Prima di lei c'è solo Maria Rosaria Perri che sfiorò i 104 anni. La famiglia Demme, purtroppo, è una delle tante famiglie caccuresi ormai estinta e della quale si sente tanta nostagia. Una curiosità:  quattro donne caccuresi  delle cinque che hanno raggiunto e superato il secolo di vita hanno tutte come primo nome Maria e sono, oltre le due già citate, Maria Loria e Maria Antonia Falbo. 

 

                                               'A 'MPANATA 

     "San Nicola: ogni vallune sona e ogni màntra fa la prova".  In molti altri paesi della Calabria il detto cambia e "la prova" diventa la provola.  Da fanciullo sentivo spesso nonno Saverio ripeter questo proverbio. Un giorno, spinto dalla curiosità, gli chiesi che significassero quelle parole strane ed egli me lo spiegò. La festa di San Nicola si celebra il 6 dicembre, al culmine di quello che un tempo era il periodo più piovoso dell'anno essendo le piogge intense concentrate tra la metà di novembre e la metà di dicembre. Per questo motivo i ruscelli, che in settembre erano in secca, a San Nicola tornavano a scorrere impetuosi nei letti sassosi facendo sentire il loro "suono" assordante.  In questo periodo pare che i pastori cominciassero  a mungere pecore e capre figliate da poco e a "fare la prova", cioè a produrre il primo formaggio e le prime ricotte egli altri prodotti caseari tra i quali, probabilmente anche la provola.
          A me, però piace ricordare la 'mpanata", la squisita zuppa di siero, pane casereccio e ricotta che si consumava calda presso l'ovile del pastore e che ho mangiato qualche volta in primavera o all'inizio dell'estate. Per gustare questo piatto sano e proteico che poi era la colazione del mattino del pastore consumata prima di " mmiare", cioè di avviare le greggi al pascolo, di solito si fissava un appuntamento, quindi ci si presentava all'ovile portandosi dietro un pane casereccio leggermente raffermo avvolto in un tovagliolo di lino. Allora si aspettava pazientemente che il pastore togliesse dal "caccavu" prima il formaggio, poi la ricotta. A questo punto si sbriciolava in una coppa di legno di ontano che ci forniva il pastore stesso il pane e vi si versava sopra il siero per lasciarlo ammorbidire. Dopo un po' si gettava via il siero in eccesso e si distribuiva sul pane inzuppato una ricotta ancora calda rimestando delicatamente con un cucchiaio di legno. Quindi ci si sedeva in un cantuccio e ci si beava di quel cibo delizioso. Secondo il proverbio la 'mpanata si cominciava a mangiare nei primi giorni di dicembre, ma secondo me il periodo migliore è quello compreso tra la seconda quindicina di aprile e la prima metà di maggio. Una delle ultime 'mpanate l'ho mangiata presso l'ovile del mio amico Giovanni Gallo, molti anni fa. Ancora ne sento il sapore. 

 

                   POPOLARI E AGRARI CACCURESI IN LOTTA  



      Nel maggio del 1923, l’allora sindaco del paese vietò, con un’ordinanza inviata al parroco che era un simpatizzante della Sezione dei combattenti, l’uso della campana per chiamare a raccolta i soci ex combattenti.
     La Sezione dei combattenti era stata fondata il lunedì di Pasqua del 1919 in un locale del convento di proprietà di donna Luisa Lucente, cattolica militante del Partito Popolare di don Luigi Sturzo. I reduci combattenti della Grande guerra, quasi tutti popolari e socialisti, elessero presidente il muratore Enrico Pasculli, segretario il fabbro Peppino Gigliotti e dirigente il grande invalido Pietro De Mare, un artigiano poliedrico che scolpì la lapide ai caduti di via Buonasera, realizzò una teleferica che collegava la Serra Grande alla vecchia chiesa di San Marco (Pagliera) e aprì il primo cinema caccurese in via Misericordia. Il De Mare, figlio di Saulle e di Letizia Marino, si trasferì oi a Savelli.
     La Lega caccurese, attraverso una serie di battaglie, utilizzando i decreti Visocchi e con l'aiuto dell'Opera Nazionale Combattenti, riuscì a ottenere la concessione di alcune terre espropriate agli agrari che erano state promesse ai reduci durante lo spaventoso conflitto nelle località Pantane, Lamari, Furnia, Corvi, Cucco e Rittusa. Ciò, ovviamente, scatenò la reazione impotente degli agrari al cui partito apparteneva il sindaco che si rese protagonista dell'episodio degno della penna di Giovannino Guareschi che vide contrapposti il sindaco, cavalier Raffaele Ambrosio e il parroco Don Peppino Pitaro, l'amico fraterno di don Sturzo e di Giovanni Gronchi.  

                                             Gendarmeria caccurese 

     La caserma della Guardia Nazionale mobilizzata di Caccuri, istituita con la legge del 4 agosto 1861, era situata nei pressi della Porta Grande (attuale piazza). Lo si desume dall’atto di morte di un tale Bruno Lamanna, di anni 63, il cui decesso avvenne proprio all’interno del posto di guardia. La Giardia nazionale fu istituita dopo la conquista piemontese del Sud; in precedenza il compito di mantenere l'ordine pubblico nei piccoli paesi era affidato alla Guardia urbana, un corpo di polizia formato d volontari assoldati e finanziati dagli agrari, ma riconosciuto dal governo borbonico. Gli urbani erano contemporaneamente anche artigiani, commercianti o possidenti, quest'ultimi in posizione di comando.
   Bruno Lamanna, originario di Serra San Bruno, si stabilì a Caccuri, assieme al fratello Saverio, zio materno di don Peppino Pitaro, dove esercitava il mestiere di fabbro ferraio e, contemporaneamente, ricopriva il ruolo di capo sezione degli urbani. Tra le sue imprese si ricardano il contributo alla cattura del brigante Lungi Angotti, Il 28 aprile del 1847 in località Ombraleone e quella del brigante Filippo pellegrino e dei resti della sua banda in località Laconi il 20 luglio del 1848.

                          L'ANTICA FIACCOLATA DEL ROSARIO 

     Nei primi decenni del Novecento a Caccuri si organizzava una fiaccolata e, in onore della Madonna del Rosario che si ripeteva, ogni anno, nella prima domenica di ottobre sullo stesso itinerario, con partenza dal “Portiulo dei venti” (Serra Grande) e arrivo nella chiesa di Santa Maria delle Grazie dove si celebrava la messa.  Le fiaccole erano preparate con infiorescenze verbasco (varbascu) imbevute di olio già usato per friggere. Animatrice della manifestazione era la signora Teresa Loria in Sperlì. A quel tempo la Congregazione del SS. Rosario era la sola ancora attiva in paese, mentre la Confraternita del SS. Corpo di Gesù Cristo, detta anche del Santissimo Sacramento  della chiesa Matrice di Caccuri che il 13 gennaio del 1615 aveva ottenuto da papa Paolo V l’indulgenza nelle feste del SS. Corpo di Cristo, della Natività, dell’Annunciazione e dell’Assunzione. (F. Russo – Regesto 27494) era stata sciolta già nel Settecento, così come le altre minori. 
    Uno dei più longevi priori della Congregazione del SS. Rosario fu il mio bisnonno materno Ercole Scigliano, cantoniere statale e maestro di scuola deceduto nel 1942 al quale subentro prima Francesco Sgro, poi Giuseppe Di Rosa.

 

                     CENNI SULLA SFORTUNATA FAMIGLIA DARDANI

 

Come il gobbo Quasimodo che nel romanzo di Victor Hugo “Notre Dame de Paris” abitava nella famosa cattedrale parigina, anche nel convento dei Dominicani di Caccuri dimorò, per alcuni anni, fino alla metà degli anni ’50 del XX° secolo, un povero muto, Domenico Dardani.  Il vecchio, assieme alla moglie, la pia e devota “za Maria Rosa” Urso abitava nel campanile.  I due custodivano, con zelo e devozione, la chiesa all’epoca ancora aperta al culto. In particolare Za Maria Rosa, donna vecchietta umile, di una bontà infinita, mite e paziente con noi ragazzini che le facevamo qualche dispettuccio e che ricordo sempre con affetto e nostalgia, provvedeva alla pulizia della chiesa e a tenere accessa sempre qualche candela all'alltare maggiore e a quello di San Domenico. 
   Domenico Dardani e Maria Rosa Urso erano i genitori di tre sfortunati giovani caccuresi, tre eroi, morti prematuramente per una patria a vlete ingrata.
    Giovanni, classe 1918, carabiniere, medaglia d’argento al valor militare morì  nel maggio del 1946 a Palermo per le ferite riportate in un conflitto a fuoco con la banda del famigerato bandito Salvatore Giuliano, l’autore, fra le altre cose della strage di Portella della Ginestra.
    Vincenzo, il primogenito, trovò invece la morte, assieme a centinaia di altri soldati italiani e a un altro giovane caccurese, Antonio Raimondo, nell’oceano Atlantico, nei pressi dell'isola di Ascensione chiusi nella stiva del piroscafo inglese Laconia carico di prigionieri che venivano trasportati  dal’Egitto in America e affondato da un sommergibile tedesco. 
   Di Fedele, ultimo dei tre, si sa solo che morì in Albania per cause di guerra, ma nemmeno la Commissione interministeriali che si occupò dei morti in guerra fu in grado di chiarire il luogo, la data e le cause precise della morte.  


                                                   FARMACIE CACCURESI


       Nel secolo scorso, per quasi due decenni, fino ai primi anni ’60 dello scorso secolo, titolare dell’unica farmacia caccurese fu il dott. Gaetano De Franco, farmacista e insegnante elementare nella scuola dello stesso paese insieme alla sorella Anita. La farmacia De Franco era ubicata nell’omonimo palazzo di Largo Vincenzo Ambrosio. In precedenza la farmacia di Caccuri era gestita dal dottor Raffaele Piterà, un professionista cutrese che si era trasferito nel nostro paese. La farmacia Piterà era ubicata in via Simonetta (casa Durante) e prima ancora al dottor Vincenzo De Franco, parente di Gaetano, eccellente medico chirurgo e farmacista. Per qualche anno, nei primi decenni del Novecento, la vendita dei farmaci fu gestita anche dai farmacisti Lucente, discendenti di don Carmine Lucente.
    Quando il dottor Gaetano De Franco si trasferì da Caccuri gli subentrò il dott. Emilio Sperlì, titolare dell’omonima farmacia ancora presente nel nostro paese.
    Il dott. Piterà era molto stimato e contava numerosi amici in paese tra i quali il dott. Sperlì che, probabilmente, volle seguire le orme del suo anziano collega. Tra gli altri amici farmacista cutrese figuravano mio nonno Peppino Marino e il perito agrario e agrimensore Antonio Loria che costituivano un trio molto affiatato capace di far fuori in una nottata un paio di capretti e una decina di litri di vino.  Pare, infatti, che ognuno di loro adoperava un bicchiere di vetro da un litro col manico per risparmiarsi la fatica di sta continuamente a riempire il bicchiere.

 

ACCADDE DOMANI: IL 16 NOVEMBRE 2007 MUORE IL GENERALE SGRO

      Il 16 novembre del 2007 si spegne a Palmanova (UD) il generale di brigata Vincenzo Sgro.  L'alto ufficiale nacque  a Caccuri il 31 gennaio del 1932 da mastro Francesco, valente artigiano caccurese, uomo pio e devoto, per molti anni priore della Congregazione del SS. Rosario, e da Saveria Loria.
    Si avvicinò agli studi classici da privatista, sotto la guida dei professori Luigi e Francesco Antonio Fazio e del sacerdote don Pietro Scalise. Successivamente consegue la maturità liceale a Crotone, presso il liceo Pitagora, scuola che frequentò regolarmente. Entrò poi nella famosa Accademia militare di Modena, quindi requentò  la Scuola di Applicazione di Torino e conseguì il grado di tenente di artiglieria, prima di essere trasferito, nel 1957,  in Friuli Venezia Giulia, a Palmanova. Qui si svolse tutta la sua brillante carriera militare culminata con la promozione a generale. Nel 1988 venne collocato in pensione.
   Vincenzo Sgro, oltre che essere un buon soldato, un uomo con uno spiccato senso del dovere e un rispetto profondo per le Istituzioni, fu anche un uomo generoso ed altruista, impegnato nelle associazioni di volontariato. Fu, infatti, il fondatore della delegazione della Croce Rossa di Palmanova e di una associazione che curava la riabilitazione di ragazzi portatori di handicap mediante l'ippoterapia. Nel 1992 divenne l'animatore e il responsabile di un campo profughi che accoglieva cittadini della ex Jugoslavia martoriata dalla guerra. Uomo generoso e dedito al prossimo, fu anche, per lungo tempo, donatore di sangue. Per i suoi meriti militari e per la sua generosa attività in favore della collettività gli furono conferite numerose onorificenze fra le quali il titolo di Commendatore della Repubblica Italiana.
    Seppur lontano, per moltissimi anni da Caccuri, rimase sempre profondamente legato al paese d'origine, alla sua gente, alle sue tradizioni, alla cultura dei padri e nel suo paesello tornava ogni volta che poteva.
  

                                                 ZIRRICU TRA LEGGENDA E REALTA’

 


               

      Il celebre brigante Giovanni Cosco, alias Zirricu ucciso in un conflitto a fuoco con le forze dell’ordine a  Eido il 10 ottobre del 1868, come tutti i capi banda dell’epoca, aveva un debole per le belle donne. Una volta, un marito tradito, sorprese gli amanti in località Valle del Papa, ma, non avendo il coraggio di affrontare il tagliagliagole a viso aperto per paura della sua reazione, si limitò a sottrargli di soppiatto i vestiti lasciandolo completamente nudo e credendo, in tal modo, di metterlo in serie difficoltà. E, in effetti, il bandito ebbe non poche difficoltà a recuperare qualcosa da mettersi addosso, ma alla fine ci riuscì con l’aiuto di un pastore. La cosa lo turbò a tal punto che da allora aggiunse alle sue mansioni di capo banda, anche quelle di procurare e distribuire personalmente ai suoi compagni i capi di abbigliamento. L’episodio fu raccontato da Angelo Raffaele Secreto (Velociu) in una farsa. 
   Questo è quello che raccontano le leggende popolari che enfatizzarono moltissimo la figura di un maldestro fuorilegge che non riuscì mai a combinare nulla nemmeno come brigante, basti pensare che nel corso di un sequestro di persona sparò a una persona a distanza di un metro e mezzo riuscendo a mancarla e che il sequestrato si liberò da solo dopo qualche ora. Si vede che anche all’epoca i caccuresi erano soliti raccontare balle. In realtà il presunto seduttore non riuscì mai nemmeno a sedurre la moglie che se la spassava con un finanziere.  

                                                                     UN PAESE DI FORESTIERI

     Nel secolo scorso, fatta eccezione per la scuola dove quasi tutto il personale insegnante era del luogo (almeno dal 1970 in poi), negli uffici pubblici impiegati e dirigenti erano questi tutti forestieri. Anche il clero proveniva, quasi sempre, da fuori. Oltre ai vari comandanti dei carabinieri e delle guardie di finanza erano forestieri l’ufficiale postale (Antonio Senandres originario di Nicastro prima e Nicola Brancati di Castelsilano dopo), il farmacista, dottor Raffaele Piterà originario di Cutro, il segretario comunale Francesco Cordua di Belvedere Spinello, i sacerdoti don Francesco Fusi (Crema), don Mario Vaccaro (San Nicola dell’Alto), don Giovanni Greco (San Giovanni in Fiore). Forestieri erano anche moltissimi dipendenti del barone Barracco. Un saluto deferente ai tre personaggi della foto che non sono più tra noi, ma che hanno dato tanto al nostro paese.

 

                                   GLI ANTICHI RITI DELLA SEPOLTURA

     

    Fino a qualche decennio fa nel comporre il cadavere di un defunto si rispettava un antico rituale che prescriveva tutta una serie di adempimenti che avevano origine nel culto dei morti ereditato dalla cultura greca. In particolare si dovevano collocare nella bara 13 monetine che servivano per pagare il pedaggio a Caronte che, con la sua barca, traghettava le anime al di là dello Stige, un pezzetto di pane per ammansire Cerbero, guardiano dell’Ade e un moccolo di candela per illuminare la buia strada che conduceva nel regno dei morti. Oggi questi riti sono quasi scomparsi e, quasi sempre al morto mettono in mano una coroncina del rosario, anche se è ateo, tanto si sa, per la Chiesa gli atei non esistono, soprattutto quando, passati a miglior vita, non possono più smentirla. 

 

         ACCADDE DOMANI: MUORE MAURIZIO SGRO, MEDAGLIA D'ARGENTO

    Il 6 novembre del 1929, all'età di 34 annim moriva a Caccuri Maurizio Sgro, eroe della Grande Guerra, medaglia d'argento al valor militare. 
   Maurizio Sgro,  un giovane bersagliere caccurese fu mandato, come centinaia di migliaia di altri commilitoni, al macello in  una guerra spaventosa e assurda, una guerra tra le più sporche che il genere umano avesse fin allora combattuto. La mattina dell'11 giugno 1915, assieme ad altri pochi compagni, gli fu affidato il compito di tenere a bada il nemico, mentre i compagni, alle loro spalle, scavavano alacremente una lunga trincea. Il soldato, fedele alla consegna, combatté duramente per una intera giornata, esponendosi al fuoco dei cecchini austriaci rischiando ripetutamente la vita fino a quando, a sera, cadde colpito da una fucilata rimanendo gravemente ferito.  Soccorso prontamente dai compagni, riuscì a raggiungere la retroguardia, fu ricoverato in ospedale e, dopo le opportune cure, rimandato a casa. Per il coraggio mostrato e per lo zelo con il quale assolvette  il compito che gli era stato affidato, gli venne concessa la medaglia d'argento al valor militare con la seguente motivazione: 

 "Con generoso ardimento e per dare modo ai propri compagni di completare i lavori di trinceramento, rimase esposto per quasi un'intera giornata al fuoco avversario controbattendo efficacemente, finché venne gravemente ferito."
Passo di Sesis 11-14 giugno 1915

     Quella di Maurizio Sgro fu la quarta medaglia d'argento al valor militare concessa a un soldato caccurese assieme alle due del generale di divisione Antonio Rizzo e a quella del carabiniere Giovanni Dardani morto a Palermo il  10 maggio del 1946, dopo un conflitto a fuoco con la banda Giuliano. Anche Antonio Rizzo e Maurizio Sgro, oltre alla medaglia d'oro Vincenzo Ambrosio e a Giovanni Dardani, meriterebbero almeno l'intitolazione di una strada. 

 

                UNO SGUARDO SUL SETTECENTO CACCURESE 

                   

      Il secolo si apre con la morte del duca Antonio Cavalcante juniore nel 1709 al quale subentra il figlio Marzio juniore. Don Marzio avrà due figli, Antonio che rinuncia alla primogenitura in favore del fratello minore per farsi cavaliere gerosolimitano. Divenuto priore della Congregazione del Rosario sarà l’artefice della cappella grazie alle generose donazioni della sua famiglia tra le quali, il 4 gennaio 1750, quella del ricco podere di Vignali con un atto  redatto nel castello di Caccuri e controfirmato dal suo segretario Diego Guarascio, che era anche il sindaco. In quegli anni l’Università di Caccuri, (il comune), era infatti amministrata dallo stesso Guarascio, sindaco, da Giacomo de Miglio, eletto, e da Tommaso Aloisio, eletto, mentre Aloisio De Rose era il cancelliere (segretario).
      Il Settecento fu per Caccuri un secolo fecondo che trasformò il paese in un cantiere permanente e che vide, fra l’altro, il completamento della cappella del SS. Rosario, la cui costruzione era iniziata il 1690. Risalgono ai primi decenni del secolo l’altare, gli scanni corali e altri arredi di quello che secondo me è il più bello e interessante monumento caccurese. Al Settecento risale anche la seconda ricostruzione della chiesa madre di Santa Maria delle Grazie dopo, quella di un secolo prima e dopo l’incendio del 1° luglio del 1769 che la distrusse per la seconda volta. Oltre alla ricostruzione delle strutture murarie si provvide a costruire gli scanni corali e il pergamo opera del maestro caccurese Battista Trocino, rampollo di una famiglia di grandi ebanisti dei quali si avvalsero anche i paesi della zona come Strongoli per realizzare altari e scanni corali.
   La chiesa di Santa Maria delle Grazie ospitava le tre parrocchie del paese, quella di San Pietro, quella di San Nicola e quella della stessa Santa Maria. Tra i sacerdoti che ressero la parrocchia di san Pietro in Caccuri si ricordano don Domenico De Rosa, don Agostino Chirico e don Gennaro Lucente che fu parroco dal 1768 in poi succedendo ai primi due.
   Nel 1742 i sacerdoti caccuresi erano ben 7: l’arciprete don Francesco Abate, il parroco don Gennaro Lucente e i sacerdoti don Domenico De Luca, don Domenico Antonio Abate, don Giacomo Clausi, don Giovanni Leto e don Giovanni Francesco Magliaro. I 7 religiosi curavano appena 1031 anime. Precedentemente, negli anni '60, arciprete del paese era don Francesco Franco.
    Oltre alla chiesetta della Congregazione del S.S. Rosario e alla chiesa madre si lavorava anche alla realizzazione di altari e statue il quella di Santa Maria del Soccorso nella quale il maestro Francesco Paolo Cristiano nel 1781 completava le decorazioni del monumentale altare di San Domenico.
     Molti erano i maestri artigiani caccuresi che caccuresi che nel corso del secolo diedero lustro e decoro alla nostra cittadina e ai paesi vicini come i Tocino dei quali si è già detto, come il maestro fonditore Scipione Palmieri che rinverdiva la tradizione di Angelo Rinaldi che nel Cinquecento fusa la campana grande del campanile della chiesa madre e ancora bottai, fabbri, carradori, conciatori e orafi.
    Nel ducato di alternarono quattro duchi della famiglia Cavalcante. Oltre ai citati Don Antonio juniore e don Marzio juniore, ressero il feudo Rosalbo, Gaetano Maria e Marianna che fu l’ultima erede di questa nobile famiglia e che sposò il capo del governo del Regno delle due Sicilie Giuseppe Ceva Grimaldi di Pietracatella.
   Nel Settecento si spensero anche i due arcivescovi Cavalcante, Francesco Antonio, il 7 gennaio del 1748 e Domenico Antonio il 3 febbraio del 1769.

 

L'ESISTENZA DELLE FOSSE MORTUARIE  CERTIFICATE DA UN TESTAMENTO 

    L'esistenza delle fossae mortuorum nelle quali venivano tumulati i defunti nella chiesa di Santa Maria delle Grazie e nella cappella del Rosario di Caccuri, almeno fino al 1823, nonostante la pratica fosse vietata già dal 1804 con l'editto di Saint Cloud del 1804 e certamente in vigore nel Regno di Napoli sotto Murat, è testimoniata da un atto pubblico ufficiale, il testamento di Laura Manfredi del fu Tommaso rogato dal notaio caccurese Francesco Antonio Ambrosio del fu Domenico in data 12  gennaio a1823,  "in questa Comune di Caccuri, alle sedici, Regnando Ferdinando Primo per grazia di Dio Re delle due Sicilie, Re di Gerusalemme, Infante di Spagna, Duca di Parma, Piacenza e Castro e Gran Principe Ereditario di Toscana" e Registrato  in Umbriatico il tre aprile 1823 - Rec. N. 1 vol. 4°, Fog. 3, fasc 2°. 
     Nell'atto pubblico la signora Manfredi, dopo aver dettato le sue volontà "sopra tutti i miei beni liberi per legge, mobili, stabili e semoventi, ori, argenti, rame crediti e nomi di debitori in qualsivoglia maniera consistenti, i miei cari e benedetti nepoti" come una vigna in località Battinderi, un magazzino, "il vestimento di seta come si attrova", dispone che alla sua morte "ancora che il mio cadavere sia trasportato e sepolto nella chiesa di S. Domenico, essendo questa la mia volontà. "
    La donna, ", sana di mente, ma inferma di corpo", come precisa notar Ambrosio, non trascura di lasciare disposizioni sulla quantità di messe "messe basse in altare privilegiato, a seconda che ne pattuiranno i motivi del pagamento" in suffragio dell'anima sua e sulle celebrazioni per il trigesimo. Sono questi, probabilmente, i motivi che le danno il diritto a essere sepolta nella più grande chiesa caccurese considerato che il quel periodo era attivo anche un altro luogo di sepoltura, la collina dell'Annunziata come apprendiamo da un'antica canzone caccurese e dal ritrovamento di numerosi resti umani a partire dagli inizi degli anni '20 del secolo scorso. 

 

                    MONS. CARNUTO, SFORTUNATO VESCOVO CACCURESE


                                                            di Giuseppe Marino

   Il 10 ottobre del 1551 un certo Nicolò Interzato e la moglie Livia Costa si presentano al notaio caccurese Domenico Mignaccio per raccopntgare i particolari della scorreria saracena del mese di luglio del 1544 a Cariati ad opera dell'ammiraglio ottomano  Khayr al-Dīn, meglio conosciuto come  Barbarossa nel corso della quale venne rapito il vescovo di Cerenzia e Cariati, il caccurese mons. Giovanni Carnuto, il primo dei quattro prelati nati nel paesino che aveva già dato i natali a molti illustri religiosi come l'abate Cornelio Pelusio, suo contemporaneo, e ai Simonetta.
  Il religioso caccurese il 21 ottobre 1530  era stato nominato era stato nominato vescovo della diocesi di Carinola (CE) da papa Clemente VII che resse fino al 15 gennaio 1535 quando Paolo III lo trasferisce nella sua Calabria .
   Dopo averlo catturato assieme a tanti altri cittadini, I pirati lo condussero prigioniero in Algeri e qui morì pare l'anno dopo. Di lui è incerto anche il cognome. Gabriele Barrio, contemporaneo dello sfortunato vescovo, nel De antiquitate et situ Calabriae  scrive "Ioannes Carnutus carinolensi episcopus geruntinis et chariatensis", mentre nelle cronotassi di Carinola e Cariati è riportato come Giovanni Canuti. 

 

                        POSTE E TELEGRAFI ALLA FINE DEL OTTOCENTO 
                                                                di Giuseppe Marino

 

    Il 30 gennaio del 1877 il Comune di Caccuri chiese l’installazione di un impianto telegrafico che per collegare Caccuri alla linea Petilia Policastro – San Giovanni in Fiore. L’opera, contrariamente al solito, fu realizzata in pochi mesi e nel mese di ottobre dello stesso anno l’impianto, gestito da un ufficiale telegrafico pagato con uno stipendio di 500 lire annue, entrò in funzione nel mese di ottobre dello stesso anno. Risolto questo problema, esattamente un anno dopo, l’Amministrazione risolse anche il problema dell’ufficio postale.
   Se le due opere contribuirono a togliere il paese dall’isolamento, non risolsero tutti i problemi. Ancora nel 1915 la corrispondenza che partiva da Crotone,  arrivava a Caccuri solo il giorno dopo. Ciò perché la corriera  partiva tardi e non riusciva a raggiungere, entro la serata Caccuri (a 55 km.) e San Giovanni in Fiore (a 78 km.).  Per questi motivi il consiglio comunale, il 4 febbraio del 1915, fece “voti alla Direzione Provinciale delle Poste di Catanzaro affinché si compiaccia di voler disporre che  la corriera postale Crotone – San Giovanni in Fiore parta da Crotone seguendo il primitivo orario in modo da evitare ritardi e avere la posta entro sera, ritenuto che il servizio automobilistico deve restare eternamente un pio desiderio.”     

 

                                   CONFRATERNITE CACCURESI E PRIVILEGI
                                                        di Giuseppe Marino



    Le confraternite religiose, si sa, sono associazioni pubbliche che hanno come scopo principale quello di incrementare il culto pubblico, in modo particolare per Gesù Cristo, la Madonna o per qualche santo dai quale prendono il loro nome. Ne esistono ancora in molti paesi della Penisola e della nostra Calabria e un tempo anche a Caccuri, almeno due. La più antica delle quali abbiamo notizia è quella del SS: Corpo di Gesù Cristo, detta anche del Santissimo Sacramento che aveva sede nella chiesa Matrice che era anche il lòuoco di culto delle tre parrocchie caccuresi, quella di Santa Maria delle Grazie, quella di San Pietro, che nel 1742 era ancora attiva e affidata al parroco don Gennaro Lucente, e quella di San Nicola.  Doveva essere una confraternita molto forte e stimata se il 13 gennaio del 1615 ottenne da papa Paolo V plenaria, ovvero la cancellazione di tutti i peccati, in occasione delle feste del SS. Corpo di Cristo, della Natività, dell’Annunciazione e dell’Assunzione. 
   Più complicato e più lungo il percorso per ottenere quest'importante privilegio per la congregazione del Santissimo Rosario che aveva come luogo di culto quella che è sicuramente la più bella e nel contempo a più piccola chiesa caccurese conosciuta col nome di "Congrega o Cappella del Rosario" all'interno del vecchio convento dei domenicani. Questa congregazione, pur se fondata già nel 1689 quando un gruppo di cittadini chiese al padre provinciale dei domenicani l'autorizzazione a creare una loro cappella all'interno di una stanza del convento fondato da Andrea da Gimigliano, autorizzazione concessa l'8 gennaio del 1690 dietro il versamento annuo di 15 carlini al convento a titolo di elemosina, ottennero solo il 24 luglio del 1824, da Papa Leone XII,  l’indulgenza plenaria per coloro i quali visitavano la chiesa nei giorni delle feste principali e in tutte le domeniche dell’anno. Qualche anno dopo i confratelli chiesero al Santo Padre di “voler loro accordare la partecipazione ai privilegi che si godono dall’ordine dei Predicatori, quantunque vengano diretti nello spirituale dai Religiosi Riformati, venendo raccomandati dal proprio ordinario coll’attestato che si umilia qui annesso” privilegio che venne concesso dal papa Gregorio XVI° il 27 marzo del 1835.

                                  

 

                          'U TIZZUNE BENERITTU



   Un tempo, quando un forte temporale incuteva paura nella popolazione o la pioggia cadeva abbondante con rischio di alluvioni, per far cessare le intemperie, le nostre nonne mettevano fuori dall’uscio“ 'u tizzune beneritto”, un pezzetto di legno semi carbonizzato residuo del focherello che si accendeva davanti la chiesa la notte del Sabato Santo e che veniva benedetto dal sacerdote.
   Secondo la credenza popolare il legno bruciacchiato benedetto assorbiva tutta l'acqua che cadeva dal cielo per spegnere il fuoco sacro evitando che facesse danni e mettesse in pericolo la vita di uomini e donne. Ancora oggi ogni tanto si sente durante qualche forte temporale qualche anziano dire "avimu 'e cacciare 'u tizzune benerittu."

                                           ILLUSTRI ECCLESIASTICI CACCURESI

       La nobile famiglia caccurese dei De Gaeta, già imparentata con i Simonetta, nel XVIII° secolo era imparentata anche con i Cavalcante. Ottavio De Gaeta, fratello di monsignor Muzio, caccurese, governatore di Loreto, era cognato del duca don Antonio Cavalcante.  Mons. Muzio, il 15 giugno del 1695 fu nominato Governatore di Loreto da papa Innocenzo XII carica che ricoprì fino alla fine di maggio del 1698.  
      Il clero caccurese, oltre a questo importante personaggio, annovera quattro vescovi, tre dei quali arcivescovi di importanti diocesi. Il primo fu Giovanni Carnuto, vescovo di Carinola (CE) e poi di Cariati, città nella quale fu rapito nel luglio del 1544 dal corsaro Khair Ad Din, meglio conosciuto come Barbarossa e portato in catene ad Algeri dove morì in cattività. Nel XVIII secolo troviamo poi i due fratelli Cavalcante, Francesco Antonio, nato il 22 ottobre 1695 nel palazzo ducale di Caccuri, arcivescovo di Cosenza e Domenico Antonio, nato il 26 ottobre del 1698, arcivescovo di Trani. Nel XIX secolo, infine, fu nominato arcivescovo di Catanzaro mons. Raffaele De Franco, rampollo di una delle più illustri famiglie caccuresi. Di Caccuri era anche l'abate Cornelio Pelusio, priore florense. Dal 1586 al 1605 ricoprì la carica di  praeses  (preside) della congregazione cistercense di Calabria e Lucania, autore del manoscritto De Abbatia Florens et eius filiabus" conservato presso la Biblioteca Nazionale di Napoli. 

 

                 ACCADDE DOMANI - NASCE IL CIRCOLO DIDATTICO DI CACCURI

 

       Il 1°  ottobre del 1959  nasce il Circolo didattico di Caccuri che resterà in vita fino al 30 agosto del 2001 quando lascerà il posto all'Istituto comprensivo Cicco Simonetta. Inizialmente ne fanno parte le scuole elementari e materne di Caccuri, Cerenzia, Castelsilano, Cotronei e Rocca Bernarda, ma nel corso dei suoi 42 anni di vita subirà diversi distacchi e accorpamenti. Se ne distaccheranno, infatti, Cotronei e Roccabernarda, ma vi saranno accorpate le scuole di Savelli e Belvedere di Spinello . Il primo direttore fu il prof. Giambattista Mantella, mentre le mansioni di segretario didattico furono affidate al prof. Mario Filippo Sperlì, dottore in scienze economiche e insegnante elementare nella scuola di Caccuri che gli sarà intitolata nel 2000.  Qualche anno dopo vinse il concordo per direttore scolastico e, dopo qualche anno di servizio a Girifalco, gli venne affidato proprio il Circolo didattico di Caccuri nel quale, intanto, svolgeva le mansioni di segretario il mitico Alberto Macrì. Dopo il pensionamento del direttore Sperlì l'istituzione scolastica caccurese vide l'alternanza di numerosi dirigenti come Pasquale Di Petta, Antonio Marchio, Emilio De Simone, il compianto Francesco (Ciccio) Scalise di Castelsilano e Giannetto Oliverio. 
    Tra gli insegnanti che vi prestarono servizio dagli anni '60 in poi mi piace ricordare i colleghi Alfonso Chiodo, Rosa Nicastro, Maria Schiariti, Alberto Macriì, Luigi Martino, i fratelli Antonio e Peppino Lucente, Benia Garrupa, Peppino Gallo, Maria Miliè, Stella Lacaria di Caccuri, Tommaso Nicoletta, Teodoro Torchia, Ciccio Brisinda, Ciccio Scalise, Dino De Vuono, Ciccio Manfredi di Castelsilano, Salvatore Lista di Cerenzia e quelli della mia generazione che mi riesce difficile elencare, educatori che hanno istruito e formato decine di generazioni di giovani dei nostri paesi. 

 

 

Fino ai primi decenni del secolo scorso i contadini e i pastori della nostra zona calzavano le "purcine", calzature povere, fatte in casa con materiali di fortuna molto simili alle famose cioce. Quelli più abbienti utilizzavano una suola di cuoio dalla quale partivano lunghe stringhe che avvolgevano la gamba fin quasi al ginocchio, i più poveri sostituivano il cuoio con un pezzo di un vecchio copertone di auto reperito chissà con quale difficoltà, in un tempo in cui le automobili nella zona si contavano sulle dita di una mano. Le donne calzavano anche gli zoccoli di legno fabbricati da Domenico Loria soprannominato " 'u zocculàru" proprio per il mestiere che svolgeva. 'U Zoccularu era apprezzato anche come suonatore di violino e per le serenate che organizzava assieme ad altri amici suonatori. Di lui si ricorda questa canzoncina satirica sull'infedeltà coniugale cantata sulle note di un valzer lento anch'esso di sua composizione. 

          Stanotte a Menzannotte
di Domenico Loria (Zu Duminicu ‘u Zoccuàaru)

Stanotte a menzannotte, lu gattu facia rumure.

Stanotte a menzannote, lu gattu facia rumure.

Era dintra ‘u tiraturu, lu sordu fauzu volià piglià;

era dintra lu tiraturu, lu sordu fauzu volia piglià.

 

Si lu pignli ‘ntra ste grànche

Tanti e ri srazi chi l’haiu re fa’,

‘u piscu ccà, ‘u piscu llà,

‘u sordu fauzu volia piglià.

 

 

                            IL FEUDO DI CACCURI DAI NIPOTI DEI PAPI AI PETRA

 

        Tra i feudatari che nel periodo compreso tra il 1465 e il 1505 si alternarono nel possesso delle terre di Caccuri troviamo fra gli altri, Geronimo Riario, visconte di Squillace, feudatario di Caccuri dal 1479 al 1485, signore di Imola e nipote del papa Sisto IV°. (1)  Geronimo Sanseverino, un tale Francesco Coppola e un nipote del papa Alessandro VI°, Alfredo Borgia d’Aragone che fu signore di Caccuri dal 1497 al 1505. Da quest’ultimo il feudo passò a Giambattista Spinelli.
   Nel 1561 il feudo di Caccuri, sequestrato per debiti al barone Giambattista Cimino fu messo all’asta e comprato dai Cavalcante. Il primo Cavalcante, il barone Antonio, morì nel 1676. Da allora il feudo passerà di mano ad altri 6 duchi dello stesso casato fino a quando a seguito del matrimonio della duchessa Marianna Cavalcante con il marchese di Pietracatella Giuseppe Ceva Grimaldi, passerà a questo nobile casato.  
    Il Marchese di Pietracatella, discendente degli Spinelli per via della madre, nato a Napoli nel 1777, dopo aver ricoperto più volte la carica di intendente, nel 1840 fu nominato Presidente del Consiglio del Regno delle due Sicilie, carica dalle quale si dimise il 28 gennaio del 1848 in dissenso con Ferdinando II che aveva concesso qualche giorno prima la costituzione. 
   Dai Ceva Grimaldi il titolo di duca di Caccuri passo infine ai Petra, nobile casato napoletano, che lo conserva ancora.

 

                                  'A SARMA 'E LIGNE

     Fino ai primi anni '60 dello scorso secolo l'unico combustibile usato per riscaldare le case caccuresi era la legna raccolta nei boschi che circondano il paese. Molti boschi demaniali erano stati usurpati nel corso dei secoli e dagli usurpatori poi venduti, più o meno illegalmente ad altri privati per cui la superfice nella quale, nel corso degli ultimi secoli si poteva raccogliere legna o tagliare alberi secchi per ricavarne legna da ardere secondo le antiche consuetudini risultava sempre più ristretta. I proprietari cercavano di difendere il loro presunto diritto servendosi di guardie giurate che vigilavano sui boschi e reprimevano quelli che ritenevano veri e propri furti ai danni dei loro padroni, mentre i contadini e i pastori consideravano sacrosanto quel diritto ad esercitare gli usi civici, mentre le Autorità borboniche prima, napoleoniche e savoiarde dopo, assumevano un comportamento pilatesco avallando, di fatto, le pretese illegali degli usurpatori con gli inevitabili conflitti sociali che ne derivavano. Tale situazione si protrasse fin oltre la metà del XX secolo quando lo spopolamento dei paesi a causa dell'emigrazione, la progressiva scomparsa di asini e muli e l'avvento di nuovi combustibili e nuovi sistemi di riscaldamento ridussero drasticamente il consumo di legna da ardere. 
    La raccolta e il commercio di tale combustibile erano esercitati  dai "ciucciàri", i proprietari di asini e muli, quasi tutti contadini o pastori  che la vendevano a "sarme" agli artigiani, ai commercianti o agli impiegati che vivevano nei nostri paesini.  La salma, da non confondere con la salma del Regno delle due Sicilie che era una misura per liquidi, era il carico della cavalcatura e variava a seconda della stazza e dell'età dell'animale di cui si disponeva, asino o mulo. Anche il prezzo di una "sarma", agli inizi degli anni '60 del Novecento, variava tra le 750 per quella dell'asino e le 900 lire per quella del mulo, cifre che corrispondevano a circa la metà della paga giornaliera di un manovale o di un muratore.

 

                                 CENNI SUGLI ANTICHI CACCURESI

       Le prime notizie relative agli abitanti della Caccuri del secondo millennio si trovano in alcuni frammenti di documenti del X secolo. In un diploma del 1228, poi, si fa il nome di un Johannes de Caccurio, mentre in una “nota inquisitionis” del marzo del 1240 gli inquisitori Goffredo di Roccabernarda e Stefano da Crotone riportano l’interrogazione di Riccardus de Caccurio. Altre notizie certe risalgono al 1251 quando Stefano Marchisorto, conte di Crotone e di Cerenzia sanziona i caccuresi Pietro e Matteo Leto , un certo Perrecta e i fratelli Logorio per il loro comportamento in danno, guarda caso dell’abbazia florense.
    Nel territorio caccurese esistevano anticamente numerosi toponimi tra i quali Canalagi (scritto con la “g”), Cangemi, Sautante, Biamonti, Lenzana, Acqua di Lepori, Gradia, Misocampo, Homo morto, Jemmella, Lo Funaro, Fontanelle, Passo de lo salice, Simigadi, Arcovadia, Lo Perdice.
  Nel  Trecento a Caccuri  oltre all’arciprete Sudnerius o Inderus, vi erano una quindicina tra chierici e canonici. Quelli che compaiono in una lista del 1324 sono: don Giovanni Cipriano, l’ariciprete Sudnerius, Giovanni de Foresta, Tommaso  Eunuchus,  Leonectus,  Durantus, Giovanni De Florello, Giovanni de Magistro Clemento, dominus Francesco Ruffo, dominus Guglielmo de Novello, Iaconus Xelsus.
   Tra le famiglie più antiche figurano:  i De Gaeta, i Protospataro, i Crissune, gli Accepta, i Quattromani,  gli Spolveri, gli Xpano, gli Accimbatore, i Patrizio, e i Mingazio e, in tempi più recenti, i De Miglio, i De Luca, i Rao, gli Ambrosio, i Leonetti, i Quintieri, i De Franco, i Principato e i Riccoi, famiglie quasi tutte scomparse dal panorama anagrafico caccurese. 

 

FUMATORI DI FOGLIE DI PATATE

     Nella prima metà del secolo scorso, nei periodi più brutti del primo dopoguerra e dell’autarchia fascista, i nostri vecchi, che non trovavano o non avevano la possibilità di comprare tabacco, fumavano, nelle loro pipe di terracotta, dal cannello di canna, foglie di patate essiccate e cosparse di estratto di tabacco. Tra questi nonno Saverio Chindamo, Giuseppe Perri, Domenico Fazio, Luigi Covello ed altri, alcuni dei quali ebbi la ventura di conoscere e che mi raccontarono l'aneddoto.


ACCADDE OGGI: MUORE A ROMA IL DOTT LEONARDO SECRETO

   Il 9 settembre del 1999 muore a Roma il caccurese Leonardo Secreto, avvocato, prestigioso dirigente del Ministero della Difesa che ricoprì, fra le altre, la carica di Vice Direttore generale di Difepensioni, una delle direzioni generali del Ministero. Era il figlio di Giovanni Secreto, conosciuto come Sonnino, uno dei più bravi sarti caccuresi. Per la biografia completa del dottor Secreto si può visitare questo link: http://www.isolamena.com/Caccuri/Personaggi/SECRETO/leonardosecreto.htm


ACCADDE DOMANI: MUORE DI FEBBRE SPAGNOLA UN GIOVANE INGEGNERE SERBO

    

     Il 9 settembre del 1919, alle ore 1,15, in una casa di via Salita Castello, muore di febbre spagnola (repepentino morbo correptus, come si legge nel certificato di morte della Parrocchia di Santa Maria delle Grazie), Wladimiro Iegitch, un giovane ingegnere di Belgrado che si trova a Caccuri da un paio di anni per collaborare alla progettazione degli impianti idroelettrici silani. Solo 6 giorni prima aveva avuto la gioia della nascita di una figlioletta Lucia che non avrà la fortuna di vedere crescere.
   Il giovane tecnico, che era nato nella capitale serba nel 1891, fu sepolto in una povera tomba nel cimitero caccurese. Per saperne di più sulla commovente storia di questo sfortunato giovane da me ricostruita a fatica, potere visitare questo link: http://www.isolamena.com/Caccuri/Storie%20di%20Caccuri/Ingegnere/Iegitch.htm

 

ACCADDE OGGI: Nasce Mario Filippo Sperlì



        Il 26 agosto del 1920 nacque Caccuri  Mario Filippo Sperlì, dottore in scienze economiche con laura conseguita presso l'Istituto Orientale di Napoli, pedagogista, insegnante e direttore didattico, amministratore e dirigente politico, uno degli uomini più colti. onesti e più stimati dell'intera regione. Da giovane, dopo lo sbandamento dell'esercito nel quale ebbe il grado di sergente maggiore dell'aviazione in forza allo Stato maggiore, partecipò alla Resistenza nelle file dei partigiani. Mario Sperlì formò decine di generazioni di ragazzi e centinaia di insegnanti. 
Per saperne di più visitare questo link: http://www.isolamena.com/Caccuri/Personaggi/Sperli.htm


ACCADDE OGGI: MUORE MONS. DE FRANCO, CACCURESE ILLUSTRE




    Il 22 agosto del 1883 si spense a Catanzaro, all'età di 83 anni, mons. Raffaele De Franco, arcivescovo della città. Era nato a Caccuri, nel palazzo degli avi in via Buonasera, il 30 maggio del 1803 da Antonio, rampollo di una illustre, antica famiglia caccurese e da Agata Florio: A Caccuri visse e su formò e, nel 1819 fu designato canonico della collegiata del paese natale. 
   Il 21 gennaio del 1852 fu nominato arcivescovo di Catanzaro, diocesi che governò per ben 31 anni lasciandovi la sua impronta indelebile.  Nel 1869 partecipò al Concilio Ecumenico Vaticano I e fu nominato componente della Commissione dei Canonisti nella quale ebbe modo di farsi apprezzare per la vasta e profonda conoscenza del diritto canonico. A Catanzaro fece ricostruire interamente il Palazzo vescovile e fece ingrandire il Seminario che egli stesso aveva frequentato in gioventù. Fondò anche l’Istituto dei sordomuti e fece frequentare al sacerdote Luigi Spadola, a sue spese, a Napoli, un corso di istruzione per l’insegnamento a questa categoria di portatori di handicap. Nell’ottobre del 1880 tenne un sinodo diocesano, dopo circa un secolo dall’ultimo che era stato proclamato dal 1vescovo Gori. Fece inoltre erigere il campanile del Duomo di Catanzaro, sotto la direzione dell’architetto Michele Manfredi facendovi collocare cinque campane. 
   Mons. De Franco fu dunque uno degli esponenti più illustri e più prestigiosi del clero calabrese della seconda metà del XIX secolo. Ebbe una parte di rilievo nell'organizzare discretamente la resistenza del clero all'aggressione piemontese del Regno delle due Sicilie. Un caccurese illustre, dunque, ma poco conosciuto nel paese natio, che meriterebbe anch'egli almeno l'intitolazione di una strada. 

 

ACCADDE OGGI: GLI AGRARI VINCONO LE ELEZIONI AMMINISTRATIVE

   Il 14 luglio del 1895  la lista degli agrari, diretta emanazione del barone Barracco, vinse ancora una volta le elezioni subentrando a se stesso.  Il barone Guglielmo  Barracco fu a sua volta sindaco del paese dal 1874, al 1888.
 Domenico Ambrosio era figlio di Vincenzo, già capo della Guardia urbana del paese che sgominò la banda del brigante Pellegrino e catturò Saverio Segreto, padre del feroce Salvatore Secreti detto Titta che era morto qualche giorno prima in uno scontro con alcuni foresi in agro di Santa Severina.  Il padre era a sua volta figlio di Francesco Antonio, notaio a Caccuri fino al 1823 quando morì prematuramente.  Tra i consiglieri figurano Carmine Lucente, Federico Del Bene, padre del colonnello Enrico e Domenico Caccuri.

ACCADDE DOMANI:  L'INCENDIO CHE DISTRUSSE SANTA MARIA DELLE GRAZIE

    Il 1° luglio del 1769  un violento incendio ridusse in cenere la chiesa di Santa Maria delle Grazie. Il monumento, fortunatamente, venne interamente ricostruito in pochi anni. Anche nel secolo precedente la chiesa, danneggiata dai terremoti del 1638 e del 1659, era stata ricostruita per interessamento del vescovo Geronimo Barzellino. Fu in occasione di questa seconda ricostruzione che furono realizzati gli scanni corali e il pergamo opera dell'intagliatore caccurese Battista Trocino. Ma i guai per il tempio caccurese non erano finiti. Altri notevoli danni subì dal terremoto del marzo del 1832 che l'ingegnere  Vincenzo Sassone, incaricato del sopralluogo in paese,  nella relazione inviata a Federico Bausan, del Corpo degli ingegneri di acque e strade incaricato dal re Ferdinando II della ricostruzione dei paesi del Crotonese devastati dal sisma così descrisse :
    “Il muro laterale di detta chiesa, scrive l’ingegnere Sassone, poggia su un terrazzino; dietro le replicate scosse di tremuoto quest’ultimo si è ribassato perché sostenuto da un debole muro, in conseguenza il detto muro laterale è uscito fuori di piombo cagionando grave danno alla volta della nominata chiesa, essendosi di già divisa in tre sezioni longitudinali." Infine il 20 luglio del 1854 un fulmine demolisce parte del campanile e la parete del lato nord compreso l'altare di San Francesco. Anche questa volta i danni furono riparati sotto la direzione dell'architetto Luciano Corea. In questa occasione si verificarono anche degli illeciti amministrativi dei quali si rese protagonista il sindaco del tempo. 
   Chi volesse approfondire l'argomento può dare uno sguardo a questo link: http://www.isolamena.com/Storia/Chiesa%20Madre/storia.htm

 
                        175 ANNI FA I BANDIERA AL BORDO

 

   Il 19 giugno del 1844 (175 anni fa), il gruppo sovversivo dei fratelli Attilio ed Emilio Bandiera che con 19 compagni, tra i quali il brigante sangiovannese Giuseppe Meluso e il corso Pietro Boccheciampe erano sbarcati alle foci del Neto tre giorni prima, giungono alla grancia del Bordò reduci dallo scontro di Pietralonga (Belvedere di Spinello) che era costato la vita al capo delle guardie urbane Antonio Arcuri e al nipote Nicola Rizzuto. Dopo una breve sosta nel corso della quale si rifocillarono, ripresero la marcia verso Cosenza preceduti da un ragazzo di San Giovanni in Fiore spedito di nascosto dai massari della grancia nella cittadina silana e che aveva il compito di avvertire il capo urbano  del passaggio dei sovversivi. 
   Sfuggiti alla guardia urbana di Caccuri che intendeva bloccarli in località Laconi, nel pomeriggio furono intercettati dalla gendarmeria sangiovannese in località Stragola e arrestati dopo un conflitto a fuoco nel quale persero la vita il pesarese Giuseppe Tesei e il forlivese Giuseppe Miller, mentre il Meluso riusciva a dileguarsi nel bosco.  

 

       Noterelle su due grandi caccuresi : Raffaele De Franco e Angelo Di Rosa

30/05/1803 - 30/05/1909

       La data del 30 maggio è una data importante nella storia di Caccuri. Il 30 maggio del 1803 il nostro paese diede i natali all'arcivescovo di Catanzaro, mons. Raffaele De Franco che resse la diocesi della "capitale della seta" per ben 31 anni lasciando un'impronta indelebile della sua missione pastorale, fondò il seminario e fece eseguire importanti lavori al duomo della città. Ebbe anche un ruolo discreto, ma efficace nell'organizzazione della resistenza anti piemontese prima e dopo l'annessione del Regno delle due Sicilie allo stato savoiardo.
     A distanza di 106 anni, il 30 maggio del 1906 nacque, invece, il maestro Angelo di Rose che rinverdì la tradizione musicale caccurese, fu l'animatore di una banda fino alla fine degli anni 60 del secolo scorso, insegnò per lunghi anni educazione musicale nella locale scuola media e nel 1947 ricoprì la carica di sindaco di Caccuri.