/

                                                         Notizie e commenti
                                                               
   SABATO 20 luglio 2024

                                         Per l'archivio degli anni precedenti clicca sul globo 

                                                                              
Scrivi al sito          

                                                                   
                           
     

  ULTIME NOTIZIE

CONFERIRE INGOMBRANTI E RAEE NON è PIù UN INCUBO


SI E' SPENTA IN INGHILTERRA LA COMPAESANA ALBINA ARDANI 

addio a  giovanna milè, amica , compagna, collega carissima

L'AFRICA A ZIFARELLI

IL
FATTO

CONSIDERAZIONI REAZIONARIE SEMI SERIE

a siesta o la passeggiata a Gimmella




 






 

                     IL FATTO    

                   

                          CONSIDERAZIONI REAZIONARIE SEMI SERIE



  Chi  ha più o meno la mia età o solo qualche anno in più ha avuto la fortuna – sfortuna di conoscere la vecchia società contadina, una vita di stenti, privazioni, senza gli agi e comodità del nostro tempo, ma tuttavia, con uno suo fascino, un profumo di semplicità, di fresco, di sincero una vita di rapporti umani calorosi, sinceri, solidali, insomma un qualcosa che ricorda con nostalgia e rimpianto. Quand’ero bambino a casa mia non c’era ancora l’acqua corrente, i servizi igienici, il telefono. C’era e non c’era, come in tutte le case del paese, l’energia elettrica in quanto fino al 1957 Caccuri, Cerenzia, Castelsilano e Savelli erano alimentate dalla vecchia centralina sul fiume Lese, poco più che un alternatore di un grosso camion dei nostri giorni la cui energia prodotta non era  più sufficiente a garantire una tensione adeguata sulla linea. Nelle nostre case la lampadina elettrica a qui tempi, era una vecchia lampada a incandescenza di pochi wat e l’ìenergia riusciva appena a rendere incandescente la resistenza producendo una luce non più intensa di  una brace. Per illuminare le stanze, i più fortunati avevano a disposizione le lampade, pericolosissime, ad acetilene, mentre i meno fortunati steariche e candele. Era curioso vedere contemporaneamente la lampadina e le steriche “supra ‘a ciminera”, il caminetto. Analogamente, per circolare di notte in paese o ci si poteva permettere una lampadina tascabile a pile a secco, o bisognava riccorrere ai un pezzo di rera (resina) o un varbascu acceso o, peggio ancora, a un un tizzone che si prendeva dal caminetto e si agitava per tenere la brace viva mentre si camminava. A quei tempi non c’era ancor la televisione che vedemmo arrivare in paese verso la metà degli anni 50, ma in compenso c’erano i novellatori , gente che sapeva leggere e che, davanti al caminetto di una casa scelta a turno, nella quale si riuniva il vicinato, raccontavano ogni sera un pezzo di qualche romanzo dei grandi narratori europei, praticamente i futuri sceneggiati della tv che poi potemmo vedere qualche anno dopo sulla prima e all’epoca unica rete Rai, anche perché, in una bellissima serata del 1957 con l’arrivo dell’energia elettrica della SME, la Società elettrica meridionale fornita dalla centrale di Calusia per iniziativa dell’Amministrazione comunale del tempo e del sindaco Francesco Sperlì, le strade e le case del paese furono magicamente illuminate come in quel versetto della Genesi . “E la luce fu.” Di quei tempi lontani conservo bellissimi ricordi, oggetti e stili di vita che ho voluto riproporre in questa poesiola un po’ reazionaria, com’è costume delle vecchie generazioni conservatrici alle quali ormai appartengo anch’io. E’ uno scherzuccio; non prendetelo troppo sul serio.

 'A MAIL - LA

Quannu nun se parrava’ mericanu
e internet ‘un se canuscìa’
Si se scrivia’, se scriviari a manu
e chillu chi scrivìa se lejìa.

Tannu ‘a maìlla serbiari pe’ scanare,
ppe’ fare ‘u pane oppure ‘e pitticelle,
mo, ammece, si ne serba’ pe’ mannare
puru ritratti, faìl-le e littarelle.

Quannu scrivìa a manu 'a littarella,
  ‘u franchebullu ‘e supra ce ‘mpacchjiava,
e doppu  la chjiuria bella, bella
e ‘ntra la buca russa la ‘mpostava.

Prima ‘e ‘nu mise ‘un arrivava mai
e chine l’aspettava ogne matina
‘ntra lu frattempu  se scordava li guai
aspettannu a Rosina la postina.

Quannu t’'a rava,  poi te ricriava
era ‘n avvenimentu eccezionale;
quantu l’avìa  aspettata c’arrivava!
Paria quasi ‘na festa nazionale.

Cu’ la manu tremante l’aperìa
specie s’era 'n
 ’a littara d’amure
cu’ tutta l’attenzione t’ 'a lejìa
e t’ 'a sarbava cu’ tutte le cure.

Mo ammece la matina appena azatu
appicci lu casciottu e guardi ‘a posta,
te trovi re maìlle cummegliatu
ca nun riscerni ‘a paglia re la pasta.

‘A littara d’amuri è ormai  sparita
al massimo se scrivanu “TVB”,
a posta ‘un vena quasi cunzignata
ma n’ho ‘mparatu chi  è  ‘nu reply.

Chissu è lu prezzu chi s’ha de pagare
allu progresso, alla tecnologia,
c’è cchjiu commerità a navigare,
cumu è canciatu ‘u munnu, arrassusia!

 

            la siesta o la passeggiata a Gimmella

Da qualche mese, da quando mi sono scoperto iperglicemico, ho ripreso l'abitudine dell passeggiata nel centro storico: dal "Pizzu 'e ra villa al Murorotto" e ritorno con immancabile sosta ristoratrice "allu settu 'e ra Miliè", lo storico sedile in pietra all'ingresso di piazza Umberto, proprio all'inizio di via Buonasera. Quest'antica panchina in pietra tufacea, purtroppo un po' eturpata da un improvvido restauro nel malinteso senso  della modernità che ha contagiato tutti i paesi italiani, soprattutto quelli meridionali, anni fa mi ispirò una lirica in vernacolo che riporta in vita decine di vecchi personaggi caccuresi he conobbi da ragazzo e che mi sono rimasti nel cuore. 

 

 

 

 

 

 

                  la siesta o la passeggiata a Gimmella

Al mio paese
quando il sole
picchia sulle case e la temperatura arriva a 35 gradi, anche a Zifarelli
tutta la gente
chiude gli occhi
e chiude le persiane.
Quando e' l'ora della siesta
e' festa per me,
invece di dormire
io vado a passeggiare sul rettifilo di Jimmella e lì, a una decina di chilometri di distanza che si percorrono in 10 -15 minuti, con oltre 400 metri di altitudine in più, rispetto a Caccuri e a Zifarelli, si respira, si sta al fresco e si possono fare elle lunghe e salutari passeggiate respirando l'aria meno inquinata e più salubre che si possa desiderare in mezzo a boschi rinomati per la loro biodiversità. Una delle più importanti  eccellenze caccuresi, oltre al pregiato olio di pennulara e alla qualità delle sue acque è la felicissima posizione a metà strada tra il mare, che si raggiunge percorrendo la statale 107 in una quarantina di minuti e l'altopiano silano, il più esteso di tutto il continente europeo, sempre attraverso la 107 o percorrendo la provinciale 33 Caccuri - Patia - Acquafredda - Fantino- San Giovanni in Fiore. Viva Caccuri, viva la Sila, viva la stupenda Calabria. 

 

                        CALABRIA SPARENTE

 

Calabria sparente è il titolo che mi suggeriscono questi due collage di foto di luoghi splendidi nei dintorni di Caccuri un tempo intensamente popolati, pieni di vita nei quali fervevano le attività umane, i lavori che consentivano ai nostri antenati di vivere dignitosamente, anche se non nel lusso e nell'agiatezza, oggi abbandonati, in degrado, popolati solo da rettili e rapaci. Darei chissà cosa per rivederli ripopolati, per sentire le voci che li animavano, godere della loro originaria bellezza frutto dell'ingegno e del gusto estetico dei nostri grandi artigiani dei secoli scorsi. L'augurio è che questi sogni possano a breve realizzarsi. 

 

                      i fratelli dardani




  la tragica storia di tre fratelli caccuresi

 Una delle storie più drammatiche del nostro paese è quella dolorosa, tristissima, inconcepibile di tre fratelli, tre splendidi giovani caccuresi, tre querce robuste abbattute dalla ferocia e dalla stupidità umana. Parlo dei fratelli Dardani. L’iconografia cristiana ci ha abituato all’icona del dolore materno rappresentato dalla Madonna, la madre di Cristo ai piedi della croce, un dolore magistralmente rappresentato da Michelangelo nella famosissima Pietà e da altre centinaia di grandi artisti.  Un dolre immenso, indescrivibile quello della giovane Maria che vide morire sulla Croce il suo unico figli, ma provate a immaginare quello di za Maria Rosa Urso, una donna splendida, mia vicina di casa che ebbi l’incommensurabile fortuna di conoscere e apprezzare durante gli anni delle mia fanciullezza in via Vittorio veneto assieme al marito, zu Domenico Ardani. Una donna meravigliosa, za Maria Rosa, cattolica fervente e praticante, sempre col rosario tra le mani quando non era impegnata nelle faccende domestiche o nella pulizia maniacale, meticolosa della grande chiesa di santa Maria del Soccorso nel cui campanile abitò per alcuni anni assieme al marito come il Quasimodo di Hugo nella cattedrale di Notre^ Dame di Parigi. Una donna dal cuore grandissimo che non pronunciò mai qualcosa di astioso o di rimprovero nei confronti di nessuno, pura avendo avuto dal mondo e dagli uomini incommensurabili torti. Quando noi monellacci del rione Croci la facevamo disperare con le canagliate delle quali i bimbi sono incredibilmente capaci nei confronti delle persone fragili, prorompeva in un’ivettiva terribile: “Possiate entrare nel cuore di Maria.” Leggendo le tre biografie che seguono potrete capire il dolopre e provò questa santa donna che pure riuscìa rimanere sempre se stessa e a bandire l’odio dal suo grande cuore.

GIOVANNI DARDANI– 

Ospedale militare di Palermo – 10-05-1946

 

   Giovanni Dardani, carabiniere nato a Caccuri il 27 giugno del 1918,  era figlio di Domenico e di Maria Rosa Urso,  coniugato con Maria Mele, sorella di Vincenzo, internato in Germania dove mori a seguito di un bombardamento. Dardani morì a Palermo il 10 maggio del 1946, nell’ospedale militare nel quale era stato ricoverato alcuni giorni prima essendo stato gravemente ferito nel corso di un agguato ad una camionetta di carabinieri ad opera  della banda di Salvatore Giuliano, il feroce bandito separazionista siciliano. Giovanni lasciò la loglie e due figliolette in tenera età. Al giovane carabiniere fu poi conferita la medaglia d’argento al valor militare. Nei primi anni '90 gli fu intitolata la via che dal cancello di Villa San Marco arriva alle case popolari. 

               FEDELE DARDANI

 

 

Fedele Dardani, di Domenico e di Maria Rosa Urso, nato a Caccuri il 20 giugno 1916, uno dei tre poveri fratelli tutti morti in circostanze tragiche, fu, nella morte, forse il più sventurato dei tre. Di lui, infatti, non si sa come e perché si trovasse in Albania, quando morì effettivamente e quale fu la causa del decesso. Per tentare di fare una improbabile luce sulla morte di questo povero caccurese bisogna affidarsi alla Commissione interministeriale per la formazione e la ricostruzione di atti di morte e di nascita non redatti o andati distrutti per eventi bellici costituita in virtù del regio decreto 1520 dell’ottobre 1942 e del Decreto legislativo luogotenenziale n. 216 del 4 aprile 1948 che, nella seduta del 20 dicembre 1961,  scrive: “Dichiara che il giorno 9 del mese di settembre del 1943 è deceduto in Albania, alle ore non accertate, in età di anni ventisette, il Dardani Fedele appartenente non militare , nato il 20 giugno 1916 a Caccuri, residente in Caccuri in Via V. Veneto, figlio di Domenico e di Urso Maria Rosa. Il suddetto Dardani Fedele è morto in seguito a cause imprecisate di guerra ed è stato sepolto a si sconosce

 

 

Dardani Vincenzo – Oceano Atlantico (Isola dell’Ascensione) – Piroscafo Laconia – 12 settembre 1942  

 


           
 Vincenzo Dardani

  Veramente commovente la storia di questo povero soldato caccurese, componente di una famiglia di quattro figli maschi, tre dei quali morti di morte violenta (due in guerra e il terzo, carabiniere, in un agguato della banda del bandito Giuliano), una storia tragica, quella di Vincenzo Dardani,  condivisa con un altro compaesano, Antonio Raimondo.
Vincenzo Dardani  nacque a Caccuri da Domenico e da Maria Rosa Urso,  il 5 giugno del 1913. Il 28 marzo del 1933 sposò Falbo Peppina e andò ad abitare in rione Pizzetto. La loro breve unione era stata allietata dalla nascita di due figli,  prima che il giovane padre venisse chiamato alle armi. Assegnato al 20° Reggimento Fanteria, brigata Brescia, fu inviato in Egitto. Nel luglio del 1942, nel corso della prima battaglia di El Alamein, Vincenzo Dardani e Antonio Raimondo furono catturati dagli Inglesi i quali, ad un certo punto, decisero di trasferire i prigionieri in Inghilterra. I due soldati caccuresi  furono imbarcati sul piroscafo Laconia, un transatlantico della Cunard White Star Line di 20.000 tonnellate comandato dal capitano Rudolf Sharp e adibito al trasporto delle truppe e dei prigionieri. Il Laconia, con a bordo i due caccuresi, salpò dal porto di Suez il 12 agosto 1942.  A bordo, oltre 463 tra ufficiali e uomini di equipaggio, 286 militari inglesi, 103 guardie polacche e 80 tra donne e bambini, vi sono ben 1800 prigionieri italiani delle divisioni Ariete, Brescia, Pavia, Trento, Trieste e Sabratha.
Le condizioni dei prigionieri, ammassati nelle stive, con razioni di viveri inadeguate e solo due ore d’aria al giorno, erano state durissime, ma la nave aveva percorso più di metà del tragitto. La notte del 12 settembre del 1942 si trovava all’altezza dell’isola di Ascensione, nel golfo di Guinea,  quando venne inquadrata nel periscopio del sommergibile tedesco U  Boot 156, al comando del capitano Werner Hartensteiner che, considerandola un  obiettivo militare, gli spedì contro due siluri. La grande nave si inabissò due ore dopo. L’equipaggio del sommergibile tedesco, dopo essere riemerso, saputo che a bordo vi erano prigionieri italiani,  si prodigò, assieme a quello del sottomarino italiano Cappellini al comando del tenente di vascello Marco Revedin, per salvarli, ma dei 1800 militari italiani, se ne poterono salvare solo pochi e, tra questi, non figuravano i due sventurati giovani caccuresi.
Secondo fonti autorevoli, i prigionieri italiani a bordo della nave furono deliberatamente  condannati a morte. Dalle testimonianze dei superstiti risulta, infatti, che le guardie polacche ricevettero l’ordine dagli Inglesi di chiudere gli italiani nelle stive e di respingere con le armi coloro i quali tentavano di raggiungere le lance di salvataggio decretandone, di fatto, la morte per annegamento. Tardiva fu la disperata reazione dei superstiti che riuscirono a sfondare i cancelli di sbarramento, nonostante  i colpi di baionetta e le fucilate a bruciapelo delle guardie polacche. Alla fine i naufraghi recuperati furono in tutto 425.
Vincenzo Dardani e Antonio Raimondo furono poi dichiarati ufficialmente morti dalla Commissione interministeriale per la formazione e la ricostruzione di atti di morte e di nascita non redatti o andati smarriti per eventi bellici, istituita ai sensi del Regio decreto 1520 del 20 ottobre 1942 e del Decreto legislativo luogotenenziale del 5 aprile 1946, n. 216.  Per quanto riguarda Vincenzo l’atto di morte presunta venne compilato il 31 agosto del 1962.

 

 

                             ULTIME NOTIZIE 

   

20/7/2024

 CONFERIRE INGOMBRANTI E RAEE NON è PIù UN INCUBO

 

  Oggi , finalmente, dopo tanti anni, sono riuscito a conferire alcuni ingombranti e Raee senza telefonate, appuntamenti, attese lunghe e snervanti e a volte perfino inutili. Mi è bastato leggere un avviso che, fra l'altro, mi arriva in automatico sul cell, scegliere tempi di conferimento compatibili con i miei impegni e le mie esigenze, raggiungere l'isola ecologica a oche centinaia di metri dal paese e affidarmi agli addetti , gentilissimi che mi hanno perfino aiutato nelle manovre dell'auto all'interno della struttura. Un'organizzazione impeccacabile che dimostra che quanto si ha un minimo di intelligenza, umiltà e propensione all'ascolto si riesce perfino a realizzare miracoli come questi. Complimenti agli amministratori che hanno reso possibile questo piccolo, grande miracolo e siamo sicuri che altri ne arriveranno nei prosimmi mesi. 

20/7/2024

 SI E' SPENTA IN INGHILTERRA LA COMPAESANA ALBINA ARDANI 

 Si è spenta ieri nella città di Southampton, Inghilterra, dove risiedeva dai primo anni 60, la nostra compaesana Albina Ardani, vedova Burlone che era nata a Caccuri il 3 giugno 1932. Albina era figlia di Francesco e  di Teresa Squillace e sorella di Felice e di Vittorio Ardani. Ai figli, ai nipoti e ai parenti tutti giungano, anche attraverso L'Isola Amena, le più sentite condoglianze da parte dei compaesani e dall'autore di questo post. 

                      addio a  giovanna milè, amica , compagna, collega carissima

     Ho appreso questa mattina, con grandissimo dolore, la triste notizia della scomparsa della carissima amica, collega e compagna di partito Giovanna Miliè. Definire Giovanna Miliè amica e collega è per me un po' riduttivo. In realtà fu quella sorella che non ho mai avuto. Ho trascorso gran parte della mia vita a litigare furiosamente con la cara Giovanna, sia nella scuola, nella quale insegnammo insieme per oltre 30 anni, sia nella sezione del PCI di Caccuri che frequentammo assiduamente entrambi con ruoli anche dirigenziali. Le nostre litigate erano proverbiali quanto effimere. Ogni volta, 2 minuti dopo un furioso alterco per futili motivi, eravamo già riappacificati e, comunque, guai se qualcuno mi avesse parlato male di Giovanna o parlato male di me a Giovanna, lo avremmo sbranato senza pietà. L'amicizia e la stima reciproca erano inossidabili. Verso la fine degli anni 60, dopo il diploma di abilitazione magistrale cominciammo a frequentarci sia per la comune militanza politica, sia per la preparazione al concorso magistrale sotto la guida del grandissimo, comune amico e dirigente scolastico Mario Sperlì. Poi, una volta di ruolo, ci ritrovammo nella stessa scuola e, con l'istituzione del tempo pieno e dei moduli didatticI, condividemmo anche le classi parallele assieme alla sorella Maria e al marito, il carissimo Bruno Rao. Giovanna fu la grande regista di molti miei spettacoli teatrali messi in scena nella nostra scuola. Ricordo l sua gioia e il suo orgoglio quando nel 1992 la nostra classe vinse il Concorso Provinciale con uno spettacolo sulle pari opportunità scritto da me e diretto magistralmente da Giovanna.  Tantissimi sono anche i ricordi politici ch mi legono alla compianta amica: i nostri primi comizi, le tante feste dell'Unità preparate insieme, le tante battaglie. Un tesoro di ricordi inestimabile che conserverò fino alla fine dei miei giorni.  In questo giorno di grandissimo dolore mi stringo ai figli Dario e Caterina, al fratello Peppino, alla sorella Maria, all'affranto carissimo amico Bruno, ai nipoti e a iparenti tutti. Addio, amica, collega, compagna, sorella Giovanna. Non so quanto pagherei per poter litigare ancora con te. Riposa in pace. Io, Vittoria, Eugenio e tutta la mai famiglia ti poteremo sempre ne cuore e vivrai con noi fino alla fine dei nostri giorni. Che la terra sia lieve. addio, addio. 

                                           L'AFRICA A ZIFARELLI     

 



  Si può essere negazionisti del clima quanto si vuole, ma 26,2 gradi a Zifarelli, alle 10 di sera e con 56 gradi di umidità, anche se siamo a luglio, è un qualcosa che deve preoccuparci seriamente, soprattutto se si pensa che da molti mesi non piove come dovrebbe piovere. Continuando di questo passo fra qualche anno le nostre terre saranno desertificate e non solo dl punto di vista demografico.

                                                           

                                  

 

 

 

 

 

IN


                                                           Per inviare il vostro contributo cliccate sulla busta