Sulla
sdraio
di
Peppino Marino
Di
questi tempi, col caldo soffocante che ci opprime, non è facile
lavorare, non è facile scrivere, spesso non è facile nemmeno pensare.
Lo si può fare solo se ci si limita a pensieri brevi, scritti
altrettanto stringati, riflessioni fugaci sugli avvenimenti che ci
scorrono davanti, magari mentre ce ne stiamo distesi "Sulla
sdraio" (chi se
lo può permettere)
L'AUSPICIO

Dicono che una rondine non
fa primavera; veramente non fa nemmeno estate in questo folle 2022 visto
che l'estate è già finita da un pezzo, però fanno compagnia e
poi stamattina erano in 13 appollaiate sul filo del telefono di
Zifarelli che mi osservavano curiose. Mi sono chiesto il perché
di questo auspicio dal momento che non devo mica fondare una nuova
città e che ormai a Zifarelli tutto quello che c'era da fare è stato
fatto, comunque non nego che la cosa mi ha fatto piacere.
IL FANTOMATICO PONTE ROMANO

Devo confessare il mio
fallimento come ricercatore. In quasi 50 anni di ricerca storica sul
nostro territorio non mi sono mai accorto di un'opera di grande
importanza storica - architettonica, un ponte romano risalente al 1880 -
81 del quale ho pure ricostruito la storia, sul quale sono transitato
centinaia di volte e altre centinaia di volte ho fotografato da tutte le
angolazioni e che stupidamente continuiamo a chiamare " 'u Ponte 'e
re monache", il ponte di contrada Monache. Devo la clamorosa,
fortuita scoperta a Google maps un'app formidabile che ci risolve una
infinità di problemi, utilissima quando siamo in viaggio, ma che
scambia Zifarelli con Acquafredda e il ponte delle monache per un ponte
sul quale transitarono le legioni di Cesare.
Cosi adesso, oltre alla chiesa e al castello medioevali, al santuario e
all'abbazia, abbiamo anche un ponte romano.
I
DOMICILIARI

Rieccoci ai domiciliari dopo
oltre 4 mesi trascorsi in libertà, all'aria aperta, tra gazze, picchi,
tortore e passerotti, accarezzati dalle brezze e cullati dal suono
argentino del valloncello. Ora siamo qui, chiusi dentro questi quattro
muri col silenzio assordante che proviene dalla strada popolata dalle
ombre, a pane e senz'acqua. Almeno la notte
FARò
CESSARE LA SICCITà

Cari italiani,
sono stato io a strappare all'Europa i 209 miliardi del Pnrr. Mi sono
bastate un paio di barzellette per convincere la culona e i suoi
colleghi. A proposito, la sapete quella della nipote di Mubarak? Ah, ah,
ah, quando ci penso mi sbellico dalle risate. Ma non mi fermo qui. Mi
candido ancora una volta per risolvere i problemi più gravi del nostro
paese e per rendere felici tutti gli italiani. Dopo aver creato un
milione di posti di lavoro, abolito le tasse, portato nelle case degli
italiani Ok il prezzo è giusto, Uomini e nonne e tante alre cose belle,
farò cessare la siccità e piovere a comando perché voi lo sapete, io
mantengo sempre le mie pomesse, il mio motto è: ogni promessa è un
debito pubblico.
A
FANFULLA LE MULTINAZIONALI

Credo
che non ci sia soddisfazione più grande, almeno per un vecchio
comunista come me, di quella di prepararsi un bel pranzo vegetariano:
dalla pasta con le verdure alle frittelle di fiori di zucca, ai peperoni
e patate fritte col peperoncino piccante, alle pizzette di melanzane
bianche, soprattutto se le verdure utilizzate sono quelle del tuo orto
che hai coltivato col sudore della fronte come sentenziò millenni fa un
alto personaggio incazzatissimo, curato, protetto dal vento e dai
parassiti e infine raccolto a 10 - 15 metri da casa.
Oltre al sapore eccellente, alla genuinità, alla
consapevolezza che nel piatto non c'è niente di sofisticato, nessun
eccipiente chimico, a parte il sale che non si può coltivare, provo un
grandissimo senso di libertà, oserei dire di onnipotenza al pensiero
che ognuno di noi, in una società a misura d'uomo, capace di bandire il
consumismo sfrenato, lo sfruttamento dei propri simili solo per
accumulare denaro e ricchezze che mai spenderà è in grado di
procurarsi da solo tutto ciò di cui ha bisogno mandando a Fanfulla le
multinazionali e le catene della distribuzione alimentare, le ciofeche
delle quali nemmeno avremmo bisogno e che a volte finiscono nella
pattumiera senza nemmeno passare dal frigo che ci rifilano con tecniche
di condizionamento psicologico del quale non ci rendiamo assolutamente
conto. Eppure, come insegna il grande Pepe Mujica, ma come insegnava
anche un eremita locale, il saggio Pasquale Talarico che viveva
spartanamente e felicemente, fino a qualche anno fa completamente
isolato dal mondo e dalle miserie umane a Campodimanno, a pochi
chilometri da Zifarelli, si potrebbe vivere felici accontentandoci dello
stretto necessario. Purtroppo nessuno di noi, io per primo, riesce
ormai a rinunciare tante cose inutili, a produrre rifiuti, a inquinare,
a dare il suo piccolo
contributo alla distruzione del pianeta.
CANNARUTIE

Oggi abbiamo completato il
raccolto delle nocciole, parte delle quali saranno pralinate perché si
sa, zucchini, faglioli. patate, pomodori, fagiolini, ma qualche
cannarutia ci vuole pure.
CON
GLI AMICI NEI NOSTRI PARADISI

Ci sono le amicizie
virtuali, per esempio molte di quelle che nascono su facebook, persone
che non hai mai conosciuto dal vivo e che probabilmente non conoscerai
mai prima che si dissolvano come una meteora la notte di San Lorenzo,
anche se sui media nascono spesso anche amicizie vere e profonde, e ci
sono le amicizie reali, gente con la quale sei stato e magari sei ancora
a stretto contatto. A volte, anche dopo decenni, ti rendi conto che per
anni hai sprecato il tuo tempo con gente che non è più in sintonia con
te e forse non lo è mai stata davvero. Poi ci sono le amicizie vere,
sincere, profonde, disinteressate
che durano per tutta la vita come quelle con i miei ex dipendenti della
Comunità Montana Alto Crotonese, il segretario Ernesto Scalise, il
dirigente Dionigi Forciniti, il ragioniere Tonino Ferraro e le loro
consorti.
Tra le cose più belle della mia esperienza amministrativa
degli anni '80 figurano le tante cose fatte insieme a questi miei
preziosi collaboratori intelligenti, preparati, onesti, leali,
innamorati del loro lavoro sempre pronti a supportare gli amministratori
dando il meglio di loro stessi. In sette anni di presidenza non c'è
stato tra noi mai uno screzio, un'incomprensione, un dissapore.
Ricoprivamo ruoli diversi, ma non ho mai permesso loro di chiamarmi
presidente, né io mi sono mai rivolto loro col titolo spettante, ma ci
siamo sempre chiamati per nome. Lavoravamo tantissimo e siamo riusciti
anche a realizzare opere importanti e significative, ma poi sentivamo
anche il bisogno di stare insieme, di organizzare pranzi, cene, ferie,
momenti di svago insieme alle nostre rispettive famiglie come se fossimo
tutti una sola, grande famiglia. Quella voglia di stare insieme, di
trascorrere ancora momenti felici con le mogli, i figli è rimasta la
stessa dopo più di trent'anni e oggi, a distanza di un mese dall'ultima
ospitata a Savelli, a casa di Ernesto, ci siamo ritrovati a Zifarelli
per trascorerre una splendida giornata insieme che abbiamo voluto
chiudere con un'escursione nei magici borghi oramai fantasma di Carelli
e Fantino proseguendo per la località Stragola, teatro della
cattura dei Bandiera e dei loro compagni. Luoghi stupendi, purtroppo
abbandonati dove gli unici esseri viventi che abbiamo incontrato sono
alcuni gatti, ma nei quali si respira la vita semplice e solidale che
fu. Chissà se un giorno l'uomo tornerà a colonizzare questi
paradisi?
'A MARIOLA

Ho sempre saputo che la mariola è la
tasca interna della giacca, qualche giorno fa, invece, ho scoperto che
è anche un ottimo piatto della cucina calabrese, una sorta di
stracciatella alla romana "in chiave" calabre a base di uova,
formaggio pecorino, pangrattato, prezzemolo, maggiorana e peperoncino.
In pratica si tratta di una frittatina sottile tagliata a striscioline
cotte per tre minuti nel brodo bollente e servita calda. Diciamo
che non è propriamente un piatto estivo, ma oggi non ho resistito alla
curiosità, né sarei riuscito ad aspettare l'inverno, ma devo dire che
mangiarla non mi ha creato alcun problema nel mentre mi ha deliziato il
palato. Prossimamente mi cimenterò con la licurdia, un altro piatto
povero inventato dai nostri antenati calabri. Mi piacerebbe avere
notizie più precise sulla mariola, soprattutto sul luogo di origine.
Forse qualche amica potrebbe aiutarmi.
HANNU
MU SI SQUAGGHIANU LI CAMPANI!

Oggi è il 14 luglio, anniversario
della presa della Bastiglia quando il popolo francese assaltò la tetra
prigione parigina dando praticamente inizio alla Rivoluzione francese.
Oggi non si assaltano più nemmeno le pastiglie, soprattutto in Italia,
sia perché molte te le devi pagare da solo, sia perché i ticket
diventano ogni giorno più salate, ma soprattutto perché questo popolo
sedato da anni di televisione spazzatura, non ha più la spina dorsale
come i lombrichi. Negli anni ’80 in questo giorno ero sempre a Rimini
dove gli albergatori organizzavano grandi feste per gli ospiti francesi
che celebravano la loro festa nazionale e ne approfittavo per farmi
un’abboffata di alici alla griglia servite nella classica piadine
romagnola e innaffiate di vino bianco fresco.
Un tempo, prima dei
cambiamenti climatici, questo era uno dei giorni più caldi dell’anno
e non a caso quel freddoloso di nonno Saverio scelse proprio il 14 luglio
per venire al mondo in quel di Giffone 138 anni fa. E fece bene perché
si fece i primi tre mesi della sua vita al “calduccio”. “Hannu mu
si squagghianu li campani” (Devono
fondere le campane) era la sua imprecazione tipica in dialetto
riggitanu, lui che parlava benissimo il caccurese avendo lasciato
Giffone per Caccuri per non farvi mai più ritorno, quando il freddo
invernale, ma anche una semplice arietta fresca come quella di oggi lo
infastidivano. L’uso del “riggitanu” era il segnale che era
davvero arrabbiato, mentre normalmente usava il caccurese. E
aveva ragione lui. Peccato che le campane si sono fuse nella seconda metà
di maggio e nella seconda settimana di giugno, mentre oggi bisogna
indossare almeno una camicia a maniche lunghe.
'A
MINERRA 'E RU ZAPPATURE

La vita del contadino è
fatta di dura fatica, levatacce, sudore e sacrifici, ma anche di
soddisfazioni quando, finalmente, come insegnava una vecchia canzone di
quelli che mangiavano i bambini, il frutto del lavoro comincia ad andare
a chi lavora e raccogli e porti a casa qualcosa. Che poi nella mia
situazione per portare le
verdure a casa devo fare solo una decina di metri. Così è giunto il
tempo della classica minestra di vaianelle, patate e juri 'e cucuzza
coltivati tutti con le mie mani e mangiati come Dio comanda, anzi come
comandavano i nostri nonni, adoperando la cipolla (anche questa
autarchica) come cucchiaio. Insomma una goduria che compensa ampiamente
la fatica.
'A
CALABRESELLA

Quando uno pensa a
una bella calabresella (ma forse sarebbe meglio dire calabrisella) pensa
a tutto tranne che a mangiarla, se non con gli occhi, invece la
Calabresella della quale vi parlo si mangia con la bocca ed è pure
dolce e fresca e ci aiuta a reintegrare l'acqua, gli zuccheri e i sali
minerali che perdiamo in questi giorni di insopportabile calura. Si
tratta infatti di un'anguria prodotta probabilmente nel Crotonese. Certo
non ci sono più le belle angurie di cinquanta - sessanta anni fa che si
coltivavano nelle bonifiche e che magari compravi alla Capanna dello zio
Tom lungo la statale 107, ma è comunque un buon prodotto. Per dirla col
grande Gigi Proietti, "A me me piace."
I
CINQUE STELLE

Tre giorni fa i miei nipotini hanno finito i compiti
delle vacanze. Mancano tre giorni al ritorno a Roma e non è facile
tenerli impegnati e quieti, soprattutto Antonio. D'altra parte pare che
non ci riuscisse nemmeno il suo omonimo santo portoghese al quale non
restava che supplicarli: "State buoni, se potete." E' l'ora di
preparare il pranzo e allora ho un'idea geniale: "Ragazzi, per
favore, mi date una mano a cucinare ché da solo non ce la faccio? Se
volete vi nomino miei aiutanti cuochi."
I ragazzi accettano con entusiasmo e si fiondano in cucina.
A Mario affido il compito di preparare il condimento per il primo, penne
con tonno e cipolla e ad Antonio il secondo, filetti di branzino al sugo
di pomodoro. Dopo un po' escono dalla cucina e penso che abbiano
abbandonato l'impresa, invece poco dopo me li vedo comparire davanti con
grembiuli da cucina e dei fantasiosi, improbabili cappelli da chef
fabbricati con piatti e bicchieri di carta. La preparazione del pranzo
va avanti e al momento di portare in tavola, vogliono il voto. Mi
a mogli da loro 10 e lode e io chiedo se è possibile dare 11.
Presi dal ruolo gridano: "Siamo master chef", poi Antonio mi
fa: "Vogliamo le 5 stelle."
Difronte a tanto entusiasmo mi viene di getto:
"Ragazzi, ma io vi do i 5 stelle, Conte, Grillo e ci aggiungo pure
Renzi che tanto è già bollito."
TOTO'
LA PIZZA DI CUNEO E LA ROZZA SICILIA

Quella che vedete nella foto è
un'autentica pizza cuneense dopo. Voi non lo sapete, ma la pizza
italiana non è nata a Napoli come sostengono erroneamente molti storici
e ripetono tanti creduloni, ma a Cuneo, poi un soldato napoletano, un
certo Totò, fece tre anni di militare a Cuneo, assaggiò questo
favoloso piatto della cucina piemontese, imparò a prepararlo e lo
introdusse di soppiatto a Napoli, non si sa se nascosto nel cavo di un
bastone come i monaci di Giustiniano che importarono il baco da seta
dalla Cina in Europa o nascosta sotto un pastrano militare. Purtroppo i
napoletani non impararono mai a fare una buona pizza, nè a farla
conoscere nel mondo per cui il suo consumo rimase sempre circoscritto ai
vicoli di Forcella e ai Quartieri spagnoli. Poi, per fortuna, un
imprenditore cuneese si mise di buona lena a preparare delle eccellenti
pizze e a farle conoscere in tutto il mondo assieme al bel canto e ai
mandolini. Insomma
la stessa storia della cultura che se la vuoi conoscere devi andare a
Parigi e non in una terra selvaggia come la Sicilia che offre solo sole
e mare, abitata nei millenni da poveracci analfabeti come Archimede,
Empedocle, Antonello da Messina, Cielo d'Alcamo, Ettore Majorana,
Vincenzo Bellini, Luigi Pirandello, Giovanni Verga, Salvatore Quasimodo,
Elio Vittorini, Leonardo Sciascia, Tomasi di Lampedusa, Renato Guttuso,
una terra dove da Agrigento a Taormina, da Palermo a Catania, da Messina
a Ragusa trovi solo vecchi teatri greci, ruderi di templi greci e
romani, cattedrali, minareti ed altra roba del genere che con la cultura
non ha niente da spartire.
GRAZIE, MAESTà

Buona
domenica, Maestà. Oggi mettendomi a tavola pensavo amaramente
alla nostra triste condizione. Pensavo che ci hanno rubato tutto: il
nome della nostra terra, le nostre risorse, il nostro metano, le nostre
fabbriche, milioni di uomini e donne, centinaia di migliaia di
giovani, i nostri miglIori cervelli costretti ad emigrare; ci lasciano
senza scuole, ospedali, strade, ferrovie, treni, ma
uno dei più moderni hanno dato beffardamente il tuo nome, anche se
nella tua terra forse non c'è mai stato. Per fortuna ci hanno lasciato
questo ottimo vino che, insieme a tanti altri prodotti nella terra dove
il vino è nato e che vincono spesso prestigiosi concorsi
internazionali, delizia il nostro palato. Grazie, Re Italo.
'A MINERRELLA A DUI PARMI 'E RA CASA
Versione pe' li campagnoli

'Ntra minerrrella mia a dui parmi 'e
ra casa ce mintu cure 'e cipulla, pampine 'e lattuca, juri 'e cucuzza,
pampine 'e secre, due patatelle, 'na pampina 'e acciu, 'nu pocu 'e
talli, due corchjie 'e casu e 'nu pocu 'e timu e, ma chissu 'un c'è
bisognu mancu 'e ru dire, l'ogliu 'e Santu Frasi 'e cruru doppu chi 'a
minerra è cotta. . Quannu se mintanu 'e vajanelle e li cucuzzelli ce
mintu puru chissi, puru ca i cucuzzelli 'ntra minerra a mia no' tantu me
piacianu, però avivu 'e accuntentare a tutti. 'A fazzu cocere cu' pocu
acqua accussì se cocia cu l'acqua chi caccianu 'e stesse verdure.
Quannu 'è cotta mintu n'u pocu 'e pane abbrustulitu 'ntru fornu 'ntra
'na suppera e ce jettu 'e supra 'a minerra cu' lu broru pe' lu fare
sponsare. Personalmente ce mintu puru 'nu cucchjiarinu 'e ogliu santo o
nu zanzifaricchjiu e mi ce scialu. Mi piacissari 'e m'a manciare 'ntra
'na bella coppa 'e auzu chille chi facianu 'na vota i pecurari, ma chine
t'ha passari re sti tempi?
IL MINESTRONE A CHILOMETRO ZERO
Versione per i cittadini
Nel
mio minestrone a chilometro zero metto code di cipolla, foglie di
lattuga, fiori di zucca, foglie di bieta costa, due patate, una foglia
di sedano, un po' di cime di zucca, due scorzette di formaggio, un po'
di timo e poi, ma non ci sarebbe nemmeno bisogno di precisarlo, olio di
San Biagio a crudo quando ormai la minestra è cotta. Quando maturano i
fagiolini e gli zucchini aggiungo pure questi, anche se gli zucchini nel
minestrone non mi piacciono molto, però dobbiamo accontentare tutti. Lo
faccio cuocere con poca acqua così si cuoce con l'acqua che rilasciano
le stesse verdure. Quando è cotto metto un po' di pane abbrustolito in
una zuppiera e ci verso il minestrone col suo brodino per fare inzuppare
il pane. Personalmente aggiungo anche un cucchiaino di olio piccante o
un peperoncino piccante e me la scialo. Mi piacerebbe mangiarlo in
una bella coppa di ontano di quelle che fabbricavano una volta i
pastori, ma dove la trovi di questi tempi?
CI HANNO RUBATO PURE LE PEZZE AL CULO

Riflettevo ieri
sulla rapacità dei capitalisti (che dio li stramaledica). Non solo nei
millenni si sono appropriati dei terreni demaniali, di materie prime, di
beni comuni
appartenenti a tutta l'umanità, soprattutto a quella parte di umanità che
lavora per
procurarsi da mangiare e che questa genia malnata sfrutta sin dagli
albori con la complicità di politici e governi spesso
al potere anche col consenso degli stessi poveracci, ma, quando possono o quando
vogliono, sono capaci di rubare perfino la miseria
dei miserabili per far più soldi.
Una volta i pantaloni stracciati, sbrecciati, con le
toppe sul sedere e sulle ginocchia erano il misero, spesso l'unico
abbigliamento delle persone più povere, sia quando lavoravano nei
campi, sia nei giorni di festa; oggi i capitalisti, l'industria, gli
stilisti (neologismo per indicare i sarti come il pomposo hair stylist
che ha sostituito il parrucchiere) si sono appropriati dei poveri
stracci dei proletari, hanno convinto i nostri giovani che i tratta di
capi alla moda che si fanno pagare una barca di soldi gonfiando i loro
conto correnti senza nemmeno pagare i diritti d'autore alle mogli dei
poveri cafoni che li confezionarono tanti secoli fa senza nemmeno
brevettarli.
VITTORIO
ALFIERI E IL GALATEO DEI GIORNALISTI

Se non ricordo male fu Vittorio Alfieri, che accingendosi a leggere Il
Galateo di Monsignor Giovanni Della Casa, imbattendosi nelle prime
cinque parole “Con ciò sia cosa che” con le quali iniziava il libro,
preso da sacro furore, lo scaraventò dalla finestra senza andare oltre.
Qualcosa di simile è accaduto ieri a me leggendo in un articolo le
parole “il primo caso di working buy out”.
Ho sempre pensato che tra l’autore di un articolo e i suoi
lettori ci debba essere rispetto reciproco. Quando il cronista invece di
scrivere nel modo più chiaro possibile per farsi capire da chi lo legge
fa invece ridicolmente e inutilmente sfoggio della sua conoscenza della
lingua inglese senza porsi il problema se chi lo legge è o non è in
grado di decifrare il prodotto del suo narcisismo mostra, a mio modesto
avviso, poco rispetto per chi, comprando il giornale, gli dà da
mangiare. Così, come il drammaturgo astigiano, anch’io ho gettato via
il giornale, non dalla finestra, ma nel contenitore della carta senza
andare oltre.
LA BATTAGLIA DEI PENNUTI
di M .M (Marino e Manzoni)

S'ode
a destra cantare la tortora
a sinistra risonde il cuculo,
d'ambo i lati rimbomban, rintronano
Zifarelli di canti i pennuti.
Quinci spunta per l'aria la gazza,
quindi il passero il mangime a beccar
che le mie distratte galline
scioccamente si lascian fregar.
E così tra granaglie e croccanti
pei famelici gatti asociali
vado a spender dei bei capitali.
SEMEL IN ANNO QUALCHE FILETTO DI ORATA

Ogni tanto, quando i
lavori dell'orto ci lasciano un po' di tempo pure i cafoni si concedono
qualche piacere come questi filetti di orata con contorno di peperoni e
patate fritti, ananas e ciliegina. Carpe diem, diceva il grande Orazio,
che non vuol dire "una carpa al giorno" (meglio l'orata), ma
cogli l'attimo, prenditi qualche svago, preparati una lecconrnìa quando
ti è possibile.
IL PARADISO DEGLI UCCELLI E DELLA TORTORA CARNIVORA

Zifarelli, fra le altre
cose, è un vero paradiso per gli uccelli. Qui vive e nidifica una
grande varietà di pennuti: dal passero al pettirosso, dalla gazza al
cuculo, al picchio. La gazza vi nidifica da anni e, mi dicono, che è
ghiotta delle larve della processionaria per cui sarebe anche una
garanzia contro il diffondersi di questa piaga. Da qualche anno, mi
spiegava un amico esperto della materia, a
Zifarelli, cosa straordinaria, nidifica anche il picchio nero che non si
era mai visto dalle nostre parti a differenza di quello verde da sempre
presente nelle nostre campagne, Un giorno sono anche riuscito a vederlo
e a fotografarlo sulla quercia all'interno della mia proprietà.
Purtroppo lo zoom della mia Canon non è molto potente per cui la foto
non è un granché. Ma l'uccello più curioso che mi tiene compagnia
tutto il giorno è la tortora. Non sapevo che fosse anche carnivora e
che il suo cibo preferito, per il quale ha una vera e propria ossessione
è il prosciutto, ma soprattutto non sapevo che conoscesse benissimo il
dialetto e avesse un perfetto accento caccurese. Tutto il giorno, in
tono supplichevole e lamentoso, non fa altro che invocare il cibo
prediletto: "Prisuttu, prisuttu, prisuttu, prisuttuuuuuuuuuu",
ma non c'è nessuno che gliene affetti un po'.
A
LUGLIO IL FESTIVAL DEI FIORI

Da
alcuni giorni la giardineria di Zifarelli lavora alacremente per la
preparaZione del Festival dei fiori previsto per la metà di luglio.
Altro che città dei fiori! A noi Sanremo e Amadeus ci fanno un
baffo.
UNA LEVIGATRICE FATTA IN CASA

A Zifarelli non si coltivano solo
ortaggi, ma ci si ingegna per costruirci quello che ci serve per
semplificarci la vita e alleviare il duro lavoro manuale. Il tutto,
ovviamente, all'insegna del riciclo e con materiali di fortuna: qualche
vecchia tavola, qualche chiodo, quaLche elettrodomestico inservibile.
Con un po' di ingegno e di pazienza si possono ottenere anche risultati
apprezzabili come questa mia levigatrice da banco costruita con il legno
di una pedana demolita, un vecchio frullatore, qualche vite e un po' di
colla. Esteticamente lascia a desiderare, ma per quello che serve va
bene cosi. Nella vite tutto ci può servire; non buttiamo via niente,
ricicliamo.
'U CUNTA CHILOMETRI ALLI PERI
Gli
scrittori di fantascienza sono notoriamente dotati della straordinaria
capacità di prevedere scoperte scientifiche e invenzioni con decenni, a
volte secoli di anticipo. Basti pensare, per fare un esempio, che Giulio
Verne, uno scrittore che amo moltissimo e al quale devo tanto, nei suoi
romanzi Dalla Terra alla luna e Intorno alla luna, descrisse
minuziosamente, ben 105 anni prima, la missione Apollo 8. Credo che
anche mio padre possedesse questo straordinario dono.
Dopo i 60 anni mia madre aveva alcune difficoltà
nella deambulazione, ma l'entusiasmo e la voglia di piantare ortaggi e
coltivare la terra erano ancora quelli dei vent'anni, soprattutto quando
acquistai il fondo Zifarelli che diventò lo scopo della loro vita. Mio
padre, invece, non aveva mai avuto simpatia per i lavori agricoli per i
quali era completamente negato, ma da quell'artista che era si dedicava
ad valirizzare il fondo costruendo ciclopici muri per il terrazzamento e
abbellendo ogni angolino con le sue opere d'arte, Era un grande
camminatore e tutto il giorno tesseva il terreno da un capo all'altro
impegnato nelle sue faccende. Mia madre, che aveva sempre bisogno di
aiuto, lo chiamava a gran voce e gli scagliava anatemi rimproverandolo
per questo suo andare e venire che la privavano del supporto
desiderato."Ancuna notte t 'ammaccu i peri, accussì 'un va cchjiu
avanti e arreti e me lassi sula" gli diceva ma madre e lui, ridendo
sotto i baffetti alla Hitler, vantava le sue doti di camminatore
instancabile, poi aggiungeva: "Volissa avire 'nu cunta chilometri
alli peri pe' virere quanti chilometri fazzu 'ntra 'nu jornu." Noi
ridevamo di gusto alla battuta, ma non avremmo mai immaginato che un
giorno la sua fantastica idea sarebbe diventata realtà.
La curiosa fantasia
di mio padre mi torna in mente ogni volta che, durante la giornata,
consulto il pedometro contapassi installato sul mio smartphone per
controllare quanti passi, quanti chilometri ho percorso e quante calorie
ho bruciato nell'arco della giornata. "U cunta chilometri alli peri
di mio padre è diventato una realtà.
I MIEI SAMBUCHI CHE ISPIRARONO VILLAGGIO E DE ANDRé

A Zifarelli, all'interno
dell'Isola Amena, tra le altre cose c'è il sentiero del sambuco, pianta
salutare per le proprietà diaforetiche dei fiori dai quali ricaviamo un
ottimo sciroppo che utilizziamo per dolcificare le tisane e per la
preparazione della squisita "pitta cu' maju". Inoltre con
la rigogliosa siepe ci garantisce un po' di privacy
Il mio sentiero del sambuco ha anche una sua interessante
storia. A detta del grande Paolo Villaggio fu tra i miei sambuchi che
Carlo Martello, tornando dalla guerra contro i Mori, si dileguò
ignobilmente frustando il cavallo come un ciuco per non pagare una certa
prestazione. La ricerca storia dell'intellettuale genovese fu poi
ripresa da Fabrizio De Andrè che ne ricavò una stupenda ballata.
QUI SI FERVE!

Con l'arrivo delle belle giornate che ogni anno si fanno attendere
sempre più come le belle signore quando devono uscire coi mariti, è
arrivato il tempo di diserbare e rincalzare le piantine per cui, da
qualche giorno, i lavori fervono. Insomma qui si ferve, come diceva il
grande Totò.
LA SPERANZA è L'ULTIMA A
MORIRE SOTTO LE MACERIE
buona pasqua ai bambini che non conoscono la
pace

Gesù
piccino picciò
Gesù
Bambino
Comprato
a rate
Chissà
se questa guerra
Potrà
finire prima dell'estate
Perché
sarebbe bello
Spogliarci
tutti
E
andare al mare
E
avere sotto agli occhi
Dentro
al cuore
Tanti
giorni ancora da passare
Francesco De Gregori
SALUTI AL TEMPO DEL COVID: RISCHI E PERICOLI
Riflettevo
ieri su come la pandemia ha cambiato la nostra vita, le nostre
abitudini, i nostri piccoli gesti quotidiani, cose che fino a due anni
fa sembravano prodotti della fantascienza. A cominciare dall’aspetto
fisico. Per strada sembriamo tanti bei cagnoni con la loro bella
museruola variopinta. Ce ne sono di tutti i colori: azzurre, blu,
bianche, rosse, nere, verdi, perfino tricolori, un vero e proprio un
vero e proprio arcobaleno. Su di alcune si notano anche disegni
fantasiosi, come teste di tigri, di lupo, di gatto. Impensabile entrare
in un ospedale, una scuola, un ufficio, un negozio senza la tua bella
museruola che ti fa stare tranquillo e ti leva qualche incubo, anche se
non mancano quelli che per esibizionismo, delirio di onnipotenza,
frustrazioni che sfogano abbaiando negano perfino la pandemia e
cianciano di dittatura sanitaria obbligando perfino il mite Francesco a
qualche esternazione della quale, come uomo di chiesa, probabilmente
farebbe volentieri a meno. Ma le cose più curiose sono le forme di
saluto inventate per evitare la vecchia, cara, calorosa stretta di mano.
Inizialmente si è adottata la gomitata poi abbandonata quando qualcuno,
per eccesso di calore umano, invece di colpire il gomito dell’amico da
salutare ne ha colpito il fianco facendolo boccheggiare per qualche
minuto. A questo punto, resosi conto della pericolosità di questo
moderno modo si salutarsi, ha pensato di apportarvi qualche correttivo,
così è nata la moda del pugno contro pugno, ma anche questa variante
è risultata più pericolosa del covid stesso. Spesso, infatti, non si
riesce a controllare bene il braccio, specialmente a una certa età, per
cui il pugno finisce spesso sullo stomaco dell’amico oppure a dosare
la spinta col risultato di fatturarsi le proprie nocche o di sbriciolare
quelle dell’amico che si intende salutare. Cose che capitano, così
io, per non rischiare di far male o farmi male, preferisco un leggero
inchino, anche perché, dovendo mantenere la distanza di almeno un
metro, non rischio di “’ntruzzare capu e capu.”
QUEGLI ERETICI
ESCLUSI

Ieri
ripensavo ad alcune pagine de Il nome della rosa di Umberto Eco e
riflettevo sulle metafore del grande intellettuale. Una frase, in
particolare mi ha colpito perché mi sembra racchiuda l’essenza della
lotta di classe e spiega ciò che è accaduto per secoli, forse per
millenni e quello che accadrà in futuro fin quando l’umanità esisterà
e sarà divisa in ricchi e poveri, servi e padroni, oppressi ed
oppressori, privilegiati ed esclusi:
“La
reintegrazione degli esclusi imponeva la riduzione dei loro privilegi,
per questo gli esclusi che assumevano coscienza della loro esclusione
andavano bollati come eretici, indipendentemente dalla loro dottrina.”
Mi
pare che nella storia sia accaduto spesso, anzi ogni volta che gli
oppressi, gli ultimi, gli esclusi, i proletari hanno preso coscienza
della loro miseria, del loro sfruttamento, della loro emarginazione e
si sono messi a lottare per migliorare le loro condizioni di vita e per
una maggiore giustizia sociale il che avrebbe comportato una riduzione
dei privilegi dei loro sfruttatori. Puntuale come le tasse è arrivata
sempre la reazione del potere; è successo per gli uomini, ma è
successo anche per gli stati come insegnano le vicende del Cile del 1973
e per tanti altri paesi della terra.
IL VASSOIO
SOVIETICO (Советский
поднос)

Questo massiccio
(com'erano massicce tutte le loro cose, dai carri armati ai
televisori) vassoio, assieme alle matrioske, è quanto mi resta
dei souvenir portati da Mosca nel settembre del 1982 al ritorno del
piacevole soggiorno di un mese, assieme a mia moglie e a un gruppo di
compagni di varie città italiane, nella vecchia Unione Sovietica, gran
parte del quale trascorso a Soci per "cure e riposo." Un altro
ricordo della repubblica fondata da Lenin, quello più vistosamente
sovietico, la mitica borsa rossa degli atleti vincitori di centinaia di
medaglie nelle gare olimpiche o ai mondiali con la scritta CCCP
(acronimo in cirillico di Sojuz Sovietskich Socialističeskich
Respublik, unione delle repubbliche socialiste sovietiche) se l'è presa
uno che non è più nemmeno comunista, ma pazienza. E poi ciò che
rimane di un vecchio servizio di caffè di mia madre sul "cimelio
comunista" ci fa davvero una bella figura nel museo di
famiglia.
NON SOLO
MARMELLATE O CONSERVE DI POMODORO

Quando in Calabria parliamo di provviste
per l'inverno diamo per scontato, ovviamente, che assieme alle conserve,
alle confetture, agli sciroppi, all'olio, al vino, ai funghi sott'olio
non mancano certamente i peperoncini fatti seccare al sole e poi
macinati oppure semplicemente congelati, un ortaggio che negli ultimi
decenni si è identificato sempre più con "l' antica Italia",
la terra di Italo, dei Bruzi e degli Enotri, al punto che a Diamante, la
perla del Tirreno amata da D'Annunzio e da Matilde Serao è nata
l'Accademia del peperoncino che, in collaborazione con l'Università di
Pisa, studia e promuove le oltre mille varietà di questa pianta
ricca della preziosa capsaicina. Comunque, al di là dei presunti
pregi del peperoncino, che
secondo alcuni dilata le arterie, e quindi la circolazione e
l'ossigenazione del sangue, protegge la parete delle arterie, favorisce
la digestione eccetera, cosa ne sarebbe di una bella salsiccia, di un
piatto di penne, della sardella, della 'ndujia, di un bel piatto di
peperoni e patate fritte senza un bel po' di piccantino?
MA
QUALE PANDEMIA, è TEMPO DI COOKIN SHOW

Guardando la televisione di
primo mattino, quando la mente è ancora fresca, aperta anche a
novant'anni, si apprendono e si imparano un sacco di cose. Intanto
pensavamo di vivere in un periodo di pandemia, di guerre, di femminicidi,
di incertezze sul futuro, invece la televisione ci insegna che viviamo,
invece, in un periodo nel quale trionfa il cooking show e che la grande
Ave Ninchi fu la prima padrona di casa del primo kitchen game e che la
lingua italiana è ora che venga buttata nella pattumiera come i vecchi
politici da rottamare e i vecchi rimbambiti che non conoscono l'inglese
e l'americano. Il tutto al modico costo di un canone che ti viene
prelevato direttamente nella bolletta elettrica.
COSA FINA!!!!

Bene,
amici, voi mangiate pure quello che volete, i piatti elaborati,
sofisticati, le lasagne, le
bolognesi, la pasta ripiena, le fiorentine, gli ossibuchi, le penne al
salmone; a mia lassatime 'stu piattello 'e patate, surache e
cannarozzelli. Ti amo, Calabria.
I
DEVASTANTI EFFETTI DEL VACCINO SUL NOSTRO CORPO

Faccio ammenda e chiedo scusa. Dopo aver dubitato per mesi dei no vax
e delle loro dotte e documentatissime minchiate devo ammettere di
essermi sbagliato e do loro pubblicamente atto di avere ragione avendo
sperimentato su me stesso cosa succede al nostro corpo a causa delle
mutazioni del DNA che le maledette fiale che ci iniettano provocano nei
vaccinati. La dimostrazione plastica
la potete cogliere nelle due foto di questo post che mostrano lo stesso
soggetto prima e dopo la vaccinazione anti covid.
Già qualche minuto dopo essermi fatto inoculare nel
braccio destro lo stramaledetto liquido incolore ho sentito che c'era
qualcosa che non andava. Prima lo smartphone non prendeva da nessuna
parte neanche a prenderlo a martellate, poi ho avvertito un leggero
pizzicorino alla spalla, l'apparecchio si è messo a funzionare alla
perfezione e avevo 5 tacche anche in cantina, segno inequivocabile che
mi avevano iniettato, tra le altre porcherie, i famosi 5 G. Ma non è
tutto: dopo un paio di giorni, preoccupato per le numerose trasgressioni
delle ultime settimane, ho provato a pesarmi riscontrando un aumento di
peso di 2 chilogrammi, a testimonianza per chi ancora si ostina a negare
l'evidenza, che ci iniettano anche metalli pesanti, estratti di coda di
rospo, sangue catameniale e altri schifosi intrugli. Ora sono seriamente
preoccupato per la mia vita, finisce che questo maledetto vaccino fra
una trentina di anni mi manderà al creatore come è già successo a mio
padre, morto all'improvviso nel 2011 dopo aver ricevuto il vaccino
antitifo nel 1939.
IL DESTINO DEI LEGHISTI? LA
CLASSICA FIGURA.....
IL DESTINO DEI LEGHISTI? LA
CLASSICA FIGURA.....

Quattro decimi dopo il taglio del traguardo della finale olimpica dei
100 metri piani che assegnava la medaglia d'oro a Marcel Jacobs è
partita un'altra gara di velocità, questa volta vinta la Lega, per
mettere il cappello su questa straordinaria impresa sprtiva. Così il
presidente della Lombardia Fontana scrive in un post: "L’uomo più
veloce del mondo è di Desenzano del Garda. È destino della Lombardia
far correre l'Italia sempre più forte"
Ora, a parte il fatto che oggi nemmeno un adolescente o un
ultrà irrecuperabile si sognerebbe di fare del campanilismo paesano su
una vittoria che è, prima di tutto del formidabile atleta, poi di tutta
la comunità nazionale nella quale il partito del senatur e poi del
capitano non si riconobbe per alcuni decenni invitando i padani a fare
un uso particolare della bandiera italiana, Marcel Jacobs è nato negli
Stati Uniti da padre afroamericano e madre italiana di origini
meridionali, ha conseguito la licenza liceale a nel Liceo Scientifico R.
Piria, di Rosarno dove è vissuto per qualche tempo, trascorreva le
vacanze estive in un camping
di Nicotera, si tagliava i capelli a Rosarno e amava la pasticceria
calabrese e, successivamente, andò a vivere con la madre in Lombardia.
L'atleta è un uomo di questo pianeta, un figlio, un
fratello dell'intera umanità come lo è qualsiasi persona normale. Chi
volesse saperne di più sulla biografia di questo grande campione può
cliccare qui.
Quanto al destino del quale parla Fontana, in realtà, sono stati sempre
i meridionali, a cominciare da Cicco Simonetta, passando per il conte
Augusta, l'ingegnere Romeo e altri ancora a far correre la
Lombardia.
E' destino dei leghisti far fare sempre la classica figura...... alla
loro regione e all'Italia intera.
sapori e odori della povertà
Alzi la mano chi ha assaggiato almeno una volta questi piatti
semplici dei contadini che, a volte, costituivano il pranzo o la cena o,
almeno, lo spuntino che interrompeva il duro lavoro dei campi. I nostri
nonni ci raccontavano di un signorotto locale che consumava il pranzo
assieme ai braccianti che lavoravano nella sua terra. Quando era il
momento di mangiare i lavoratori si sedevano in cerchio assieme al
padrone e aprivano 'a spisa, il tovagliolo di lino annodato ai quattro
vertici contenente la loro colazione: un pugno di olive morte, un
pomodoro, una ciotolina con patate e peperoni fritti e qualche tozzo di
pane di segala. Anche il padrone faceva la stessa cosa, ma nella sua
"spisa" c'era la frittata, il caciocavallo, il pane bianco.
Allora, se la rendeva con la moglie che gli preparava sempre le solite
cose ed esclamava: "Ma io posso fare questa vita, tutti i giorni
caciocavallo e uova?" Forse credeva di essere spiritoso, ma
di sicuro non sapeva cosa si perdeva, il sapore, i profumi del cibo
semplice dei poveri accentuati dalla fame atavica della povera gente.
Beh, io non me li perdo, la mattina raccolgo i pomodori e i peperoni e
mi preparo queste leccornìe.
CARTA ALBERO MAGICO? NO, SOLO
UNA PRE PAGATA, GRAZIE.

C'è tanta gente su facebook che chiede
di inviarle la carta Albero magico; io mi accontento di molto meno:
qualcuno potrebbe inviarmi una carta pre pagata con un paio di milioni
di euro? Grazie di cuore.
il frutto del lavoro a chi
lavora andrà

Finalmente è tempo di raccolto, il
periodo nel quale si comincia a raccogliere il frutto di mesi di lavoro
nei quali abbiamo falciato
erba, arato, assolcato, seminato, innaffiato, rincalzato, sarchiato, ma,
tutto sommato, ne è valsa la pena perché Zifarelli è uno di quei
posti nei quali si realizza per davvero l'aspirazione contenuta nei
versi della più bella e celebre canzone del proletariato, Bandiera
rossa, perché "il frutto del lavoro a chi lavora andrà."
Purtroppo, fuori dal cancello di Zifarelli, dopo un secolo è mezzo di
lotte, ancora non è così e il frutto del lavoro va a tutti, tranne a
chi lavora per cui per cui, come cantava Paolo Pietrangeli, c'è ancora
tanta gente alla quale bisognerebbe sputare addosso perché "la
bandiera rossa ha gettato in un fosso."
SODDISFAZIONI

Il mestier del
contadino non sarà un mestier che dà guadagno come nella famosa
filastrocca, ma è quello che fa toccare con mano (letteralmente) il
frutto del proprio lavoro, che mostra come ci si può produrre da soli
quello che serve per la sopravvivenza, il cibo buono, sano, nutriente
indispensabile alla vita che generalmente compriamo pagandolo con dei
pezzetti di carta, e oggi anche virtualmente, senza renderci conto della
fatica, del sudore, dell'amore, delle conoscenze indispensabili per
produrlo. Cosi la soddisfazione di mettere in tavola una bella insalata
di pomodori, cipolle e basilico o una di rucola o un bel piatto di fiori
di zucca ripieni raccolti di primo mattino dall'orto che coltivi a 20
metri dal desco non ha prezzo, una soddisfazione che ti fa sentire
utile, parte integrante e in simbiosi del pianeta, ingranaggio del ciclo
produttivo che, checché ne dicano certi economisti, produci PIL e
valore aggiunto al letame, ai semi, alla madre terra.
SPIEDINI ALll'illusione di mare

Beh, non sono di pesce, ma solo di "cucuzzelli", ma sempre
spiedini sono e se uno chiude gli occhi e pensa al mare in bocca avverte
il sapore di gamberetti, polipetti e moscardini, anche perché
questi non sono cucuzzelli qualunque, ma biologici. D'altra dove lo
trovi a Caccuri il pesce fresco? Direte voi: "Conzali cu' vo', su'
cucuzzelli" e io vi rispondo che vi sbagliate. Provate per
credere.
CHI FA DA Sè FA PER Sè

Perché foraggiare le
multinazionali che fra l'altro ti rifilano mobili di truciolato che
appena ci cade sopra una goccia d'acqua si sbriciolano come biscotto e
che pesano tonnellate e tonnellate? Basta qualche tavola vecchia,
qualche chiodo e qualche vite anche arruginiti,
un po' di pazienza, un po' di olio usato di quello che ci friggi le
patate o i peperoni e il mobile te lo costruisci da solo, magari un po'
"arranciatizzu", con qualche difettuccio, ma solido, rubusto,
funzionale e rustico da sembrare un cimelio ereditato dai bisnonni.
Senza contare i benefici per il portafoglio e per l'ambiente. Eh si: chi
fa da sé fa per sé!
PASSAGGI IMPECCABILI, NOTE UN Pò
MENO

Va bene, non sarà il God Save The Quenn, il
Das Lied der Deutsche, il The Star-Spangled Banner e nemmeno La
Marsigliese, racconta una storia più inventata dal dottissimo padre
Atanasio Canata come l'avrebbe desiderata, che vera, o, come
sostengono altri da Mameli, fu adottato solo per una ripicca di De
Gasperi nei confronti di E. A. Mario, l’autore de La leggenda del
Piave per il suo rifiuto di scrivere l’inno della Democrazia
Cristiana, ma è pur sempre l’inno nazionale italiano. E allora mi
chiedo per quale motivo i nostri calciatori, che pur azzeccano migliaia
di passaggi nel corso di una partita, sanno mantenere, da quando
la Nazionale è affidata a Mancini, un buon ritmo di gioco, debbano
ostinarsi, prima di ogni partita, a cantare l’inno nazionale pur non
azzeccando una sola nota e facendo a pugni col ritmo? Ecco un altro dei
tanti misteri italiani.
AMMUINA COREOGRAFICA

Ieri sera, a sorpresa, ho ricevuto una telefonata dai miei nipotini.
Antonio, con la sua voce argentina mi fa:
-
“Nonno, ti leggo una cosa: avanzato, avanzato, intermedio,
avanzato, avanzato, intermedio, avanzato, avanzato, avanzato.” Colto
alla sprovvista gli faccio:
-
“Bravo, Antonio, papà ti ha iscritto alla scuola di danza? Bravo,
sono contento che impari a ballare, visto che nonno non ne è mai
capac stato.”
-
“Ma no, nonno, che dici, questa è la mia pagella.”
In un primo momento ho pensato a uno scherzo, poi il fanciullo, forse un
po’ deluso, mi ha spiegato che questa è l’ennesima corbelleria che
si sono inventati i cervelloni del ministero, probabilmente consigliati
da qualche pedagogista stravagante di quelli che vanno di moda oggi.
Peccato che il cardinale Ippolito d’Este sia morto sei secoli fa,
altrimenti li avrebbe stroncati come stroncò il povero Ariosto con la
celebre frase: “Messer Ludovico, dove avete mai trovato tante
corbellerie?”
Da una quarantina di anni ormai la scuola è in preda alle continue
devastazioni da parte di ministri incompetenti e di pedagogisti
“strammi” così che devono diostrare a tutti i costi di essere bravi
e di fare qualcosa. Nel mentre i contenuti si riducono continuamente, si
producono grandi fumate che nascondono le magagne, gli insegnanti
vengono sempre più espropriati della funzione docente e trasformati in
imbrattacarte massacrati in decine e decine di consigli, riunioni di
programmazioni, adempimenti assurdi che li sfiancano e li demotivano,
mentre gli stipendi rimangono i più bassi tra quelli degli paesi più
industrializzati e del terzo e quarto mondo.
C’è un proverbio calabrese molto efficace che fotografa questa mania
di cambiare sistemi di valutazione e linguaggio pedagogico: “C'hannu
canciatu ‘u nume, ma è sempre cucuzza.” Quando non si hanno le idee
chiare, non si sa cosa fa, “facite ammuina”, dicono a Napoli.
Meno
male che sono in pensione da 12 anni, anche se già 12 anni fa della
scuola nella quale ero entrato con tanto entusiasmo nel 1971 c’era
rimasto ormai poco e provavo vergogna a percepire uno stipendio per
imbrattare inutili carte, mentre i rogrammi scolastici erano stati
falcidiati.
LA BICICLETTA DI DE SICA E GUARESCHI

Oggi
a Zifarelli vedendo questa bellissima bicicletta con i freni a bacchetta
e in ottimo stato di conservazione, mi è tornato alla mente il
grande capolavoro del neorealismo, Ladri di bicilette di Vittorio De
Sica considerato uno tra i 100 migliori film di tutti i tempi. Ma un
cimelio del genere è capace di suscitare emozioni impagabili, stimolare
ricordi, far pensare ad altri personaggi cinematografici che ne fecero
uso per esigenze sceniche come il don Amilcare di Totò contro i 4, don
Camillo, ma anche a milioni di uomini e donne che nell'Italia del boom
ne facevano uso quotidianamente per andare a guadagnarsi il pane. .
Purtroppo il proprietario, Mario Mosca, ha deciso di disfarsene
per cui se qualcuno fosse eventualmente interessato può contattarlo
FRAGOLE, CAPPELLINI E ALTRE DIVAGAZIONI

Lui
aveva un mazzolin di fior
E
le fragole nel cappellino
Ogni
fragola un bicchier di vino
Con
questo tempo cretino.
Beh, non è proprio così e il Maestro Panzeri, dal
paradiso mi scuserà per questa storpiatura della sua bellissima Fragole
e cappellini (tutte le belle le sue composizioni) portata al successo
nel Sanremo del 1958, dal grande Aurelio Fierro col Trio Yoice e dal
reuccio di Trastevere, compagno Claudio Vila e il Duo Fasano. La canzone
dell'autore di capolavori indimenticabili come Marameo perché sei
morto, Pipo non lo sa, Papaveri e papere, Casetta in Canada, solo per
citarne alcune, mi è tornata alla mente mentre facevo il primo raccolto
di fragole della stagione; la variazione me l'ha ispirata il tempo in
questa giornata di un maggio novembrino dopo un aprile che sembrava
febbraio. Che sta succedendo a questa sventurata palla che ruota da
miliardi di anni in un angolo periferico della Via Lattea?
SAMBUCO: NON SOLO PITTE

Inizia la stagione delle provviste che durerà fino a settembre
inoltrato. Si comincia con lo sciroppo di sambuco che abbiamo già messo
domani finirà nella dispensa e si chiude con il brodo e la marmellata
di giuggiole. Lo sciroppo di sambuco è una vera delizia, sin
dalla preparazione quando ci si inebria con il profumo di questa
preziosissima infiorescenza mentre bolle nel pentolone. Si può
adoperare per dolcificare le tisane, come mucolitico, contro gli spasmi
addominali e per altri malanni.
CI SI INGEGNA E SI RICICLA

A Zifarelli, come in tutti i piccoli poderi si lavora da mane a sera,
dalle 6 del mattino alle 7 del pomeriggio: Non c'è solo l'orto da
curare, le viti da svitignare e legare, gli alberi d frutta da
innaffiare, ma anche tanti altri lavoretti da fare nelle ore più calde
della giornata, magari riciclando materiali usati, tavole vecchie,
chiodi arrugginiti, olio bruciato in sostituzione dell'olio di lino etc.
Con un po' di pazienza e
senza troppe pretese estetiche si possono anche risolvere piccoli
problemi, come quelli della cassetta per la posta o del campanello
contribuendo a riciclare il ciarpame ed evitando di comprarne
dell'altro. Insomma mi ritrovo a fare le stesse cose che faceva io padre
negli ultimi due decenni della sua vita. Che volete? Ci si ingegna per
trascorrere in qualche quelle che potrebbero essere lunghe e noiose
giornate da pensionati col rischio che ci rottamino visto che di questi
tempi è di moda.
TISANA A ETTOMETRO ZERO

Prepararsi
un'eccellente tisana fresca, fatta in casa, in poche mosse e a ettometro
zero a Zifarelli è facilissimo: esci da casa fai 20 passi intorno
alla casa, vai nelle aiuole degli aromi e raccogli due foglie di salvia,
4 di alloro, una decina di foglie di menta, 5- 6 rametti di timo, se poi
non hai problemi di ipertensione ci metti pure una rametto di rosmarino,
lavi accuratamente il tutto, lo metti in un pentolino e lo fai bollire
una decina di minuti, filtri, aggiungi un po' di zucchero e ti senti in
paradiso.
ADULTI E VACCINATI

Eccoci qua, oltre che adulti, finalmente anche
vaccinati col vaccino Pfizer nel Centro vaccinale di Caccuri ubicato nel
Centro sociale, un luogo a me familiare nel quale, per dirla con
Leoncavallo, ho "vestito più volte la giubba" . E' stato
facile e, tutto sommato anche piacevole grazie alla perfetta
organizzazione, cosa della quale ritengo vada dato merito ai
dirigenti dell'ASP che hanno istituto il centro, ai medici di base che
hanno seguito e supportato i loro pazienti, al personale amministrativo
e sanitario, alle vaccinatrici e ai volontari che hanno dato la loro
preziosa collaborazione alla vaccinazioni di almeno un paio di centinaia
di pazienti. Insomma un'altra occasione per andare, tutto sommato,
orgogliosi, come calabresi e come caccuresi, di una sanità pubblica
che, nonostante la mannaia di ministri e commissari e la sciatteria di
molti politici locali che da decenni la massacrano, continua ad
assistere efficacemente i cittadini calabresi e meridionali.
ITACA CALABRESE

Se Ulisse nel suo eterno peregrinare
tra ninfe bellissime, ciclopi antropofagi, maghe e principesse dovesse
capitare a Zifarelli ora sa qual è la strada da fare per tornare nella
sua Itaca così la finisce di curiosare per il mondo e, soprattutto,
attentare alla virtù di ragazze innocenti come la bellissima Nausicaa che
poi, per dirla tutta, a differenza delle sue ancelle tanto virtuosa non
doveva essere. Beh, si scherza un po', comunque non si può dire che
"nella mia Itaca" la segnaletica lasci a desiderare.
E SE AVESSE RAGIONE IL VECCHIO CALABRESE?

Dopo una settimana di melanzane grigliate
e fagiolate uno sente magari il bisogno di grigliare qualcos'altro,
esempio due braciole di maiale e un po' di pancetta, altrimenti che lo
tieni a fare il barbecue? Dopo di che si riprende la settimana
vegetariana. Tempo fa mi capitò di leggere in un vecchio libro di
medicina dell'Ottocento dell'autore, un noto medico e dietologo
del tempo, una filippica contro un giovane siciliano che mangiava tutti
i giorni cicoria bollita con crostoni di pane che ammorbidiva nella
verdura. A detta del luminare quello scapestrato non avrebbe raggiunto
la vecchiaia perché secondo lui bisogna mangiare carne almeno una volta
al giorno sette giorni su sette. Chissà chi visse più a lungo tra i
due? Non lo sapremo mai, ma da un ultracentenario calabrese (108 anni),
intervistato dal giornalista Paolo Marra, ho appreso che per vivere
così a lungo bisogna mangiare tutto ciò che il nostro corpo desidera,
un consigio che mi piace assai. E se fosse lui ad avere ragione e non il
luminare delll'Ottocento?
PASTAI DI TUTTO IL MONDO, UNITEVI

Nel giorno
della nascita di Karl Marx al Kemlino non potevamo non prepararci una
bella pasta proletaria, una "pasta rossa" col marchio
"Falce, martello e stella" del grande PCI perché a Zifarelli
è tutto rosso: dai fiori ai gatti, ai pesci nella "cipia", ai
Padroni del podere. Sono convinto che anche Napoleone, se non fosse
morto proprio oggi
l'avrebbe gradita anche lui. E domani una bella frissurata di peperoni
(ovviamente rossi) con patate.
SI VO' PANE A 'STU CUMMENTU

Rieccoci tornati nella residenza estiva
di Zifarelli. Ovviamente non sono né il principe Salina, né il papa e
questa non è né Donnafugata, né Castelgandolfo. A Zifarelli non
si viene a villeggiare, ma a lavorare, anzi a travagghiari per dirla
alla siciliana o alla francese, come preferite. Una mia
professoressa di latino del magistrale, comentando Le Georgiche e e Le
Bucoliche ci raccontava quant'è bella la vita dei contadini e dei
pastori. Ovviamente parlava per sentito dire, non aveva mai preso una
zappa in mano e, molto probabilmente non conosceva l'ammonimento
del priore del convento di Caccuri quando si presentava qualche
viandante o, anche ai fraticelli: "Si vo' pane a 'stu cumentu he
fare .....etc..." perché se vuoi pomodori, fagioli, patate,
zucchini devi fare quello che consigliava il priore per cui qui si butta
il sangue, il lavoro ferve e, come aggiungeva il grande Totò, qui
si ferve.
Megale Hellas

L'uno
appo l'altro, come scala, i legni
tutto
empieano del lido il lungo seno
quanto
del mare ne chiudean le gole.
Omero - Iliade Libro
XIV
Quanto doveva essere bello e imponente il tempio di Hera anche nel XVI
secolo quando come sostengono alcuni storici, uno dei tanti vandali
e rozzi integralisti lo fece demolire in parte per utilizzarne i materiali per costruirsi il
suo palazzo. Chissà che splendore per gli occhi di Pitagora, Zeusi,
Nosside, Tito Livio e altri grandi che lo visitarono?

Il
vecchio zio Nicola, dando fondo ai suoi risparmi, aveva comprato un
fucile nuovo, fiammante, con le canne luccicanti, il calcio in legno
pregiato e una elegante cinghia in cuoio lavorato. L’arma era davvero
bella, una vera magnificenza e il vecchio cacciatore non
vedeva l’ora di provarla su qualche povera preda.
La notte ebbe il sonno agitato come se vaneggiasse per la
febbre. Sognò lepri, fagiani, quaglie, pernici, starne che non
aspettavano altro che farsi impallinare dal suo fucile. Al mattino,
prima ancora che spuntasse il sole, si mise il suo gioiellino a
tracolla, si legò la giberna ai fianchi e si avviò verso la
brughiera. Giunto ai margini della radura, caricò l’arma e prese ad
avanzare con circospezione. Ad un tratto vide una lepre a pochi metri di
distanza. Zio Nicola prese la mira e fece fuoco. Pum, fece il fucile,
mentre uno sciame di coriandoli fuoriuscì dalle canne e prese a
volteggiare nell’aria. La lepre rimase lì a guardarlo quasi
divertita. Zio Nicola non riusciva a spiegarsi questo strano fenomeno.
Intanto decine di allodole, incuriosite dal luccichio di quei pezzetti
di carta colorata, si avvicinarono per osservare lo spettacolo. Alcune
si posarono addirittura sul cranio pelato del vecchio lasciandoci anche
qualche simpatico ricordino.
Zio Nicola le cacciò via bestemmiando, poi si grattò la
zucca nel vano tentativo di capirci qualcosa e concluse che,
evidentemente, la cartuccia era stata caricata male. Allora aprì il
fucile, estrasse il bossolo vuoto e vi introdusse una nuova cartuccia.
Mentre camminava per la brughiera, uno stormo di tordi si levò
all’improvviso in volo da un cespuglio di mirto. Il vecchio
prese lestamente la mira e sparò, ma, anche questa volta, ebbe una
sgradita sorpresa. Dalle canne del fucile, invece che piombo caldo
uscirono migliaia e migliaia di petali di rose che, per un po’,
oscurarono il sole. Un profumo intenso inebriò gli uccelli che
svolazzavano di qua e di là mentre il povero zio Nicola, sempre più
perplesso, girava e rigirava l’arma tra le mani senza
capirci un tubo.
Sempre più inferocito estrasse di nuovo il bossolo vuoto e
introdusse una nuova cartuccia, poi riprese ad avanzare. Arrivato alla
svolta del sentiero vide davanti a sé una magnifica volpe. “Questa
non mi sfuggirà!”, pensò. Prese accuratamente la mira e tirò il
grilletto. Ploff, fece il fucile mentre una infinità di bolle di sapone
al profumo di cocco che uscivano dalle canne di quella magica arma si
librò nell’aria. I raggi del sole, rifrangendosi attraverso quelle
palline trasparenti, diedero origine ad un fantasmagorico arcobaleno che
si stagliò nel cielo turchino. A quello spettacolo meraviglioso, gli
uccelli presero a cinguettare più forte, le cicale si unirono al coro
più allegre che mai, i grilli fecero sentire il loro gioioso cri-cri;
perfino le corolle dei papaveri, delle calendule, delle violette, mosse
da un dolce zeffiro, presero a ondeggiare lietamente.
Zio Nicola, con la mente ottenebrata dall’ira, non se ne
avvide, scaraventò il fucile in una scarpata e si allontanò
bestemmiando. L’arma rotolò, rimbalzò, si fermò a ridosso di un
sasso, poi riesplose eruttando, ancora una volta, petali di rosa. E
mentre il profumo intenso si spandeva nell’aria, da quelle magiche
canne uscirono dapprima sommesse, poi sempre più chiare, le bellissime
note dell’Inno alla gioia mentre la natura tutta
partecipava alla straordinaria festa.
FILASTROCCA DI NATALE
di Peppino Marino

Filastrocca
andata a male
per questo mese che porta il Natale,
il primo mese davvero freddino
nel quale nasce Gesù Bambino
che nasce povero, eppure giocondo
perché sarà il Redentore del mondo,
che nasce povero in una grotta
e per i poveri ancora lotta.
Gesù rinasce, ma nella sua terra
come ogni anno, c’è ancora la guerra,
guerra infinita, guerra intestina
in questa terra di Palestina
dove s’incontrano tre religioni,
ma non si voglion sentire ragioni.
Oggi c’è pure la pandemia
Questa terribile malattia
Come se non bastasse da sola la guerra
A martoriare questa povera terra
Di un popolo oppresso, vessato, malvisto,
Come lo fu il suo figliuolo:Cristo.
Però Gesù rinasce per tutti,
che siano belli e che siano brutti,
per gli ignoranti, per gli uomini dotti,
atei, laici, credenti e bigotti,
anche se gli ultimi, con fare truce,
lo mettono sempre in cattiva luce
e, come un tempo lontano ed atroce,
ancora oggi lo mettono in croce.
Ma oggi è festa, bando al dolore!
Trionfino pace, giustizia ed amore,
scompaia per sempre dal mondo il male!
Viva la pace, viva il Natale!
IL
PRANZO è SERVITO
di Peppino Marino
Filastrocca
della vecchia mucca
La
Pasqualina ha cotto la zucca
Mentre
cuoceva l’arrosto è bruciato
Perciò
ripiega sullo stufato
E
lo stufato ha cotto a puntino,
poi
va in cantina a spillare il vino
un
vino dolce, un vino moscato,
un
buon formaggio stagionato,
la
frutta, il dolce, il caffè, il gelato,
ed
ecco il pranzo è già terminato,
di
digerire cerchiamo in fretta
che
già la cena oramai ci aspetta.
TELEVISIONE, CHE NOIA MORTALE!
LA
Incredibilmente Gianni Togli si annoiava perché guardava il
mondo da un oblò e passeggiava, beato lui, e passava le notti
passeggiando dentro un metrò e vedeva sempre il lato migliore della
luna e allora cosa dovremmo noi che lo guardiamo attraverso i vetri di
una finestra, senza prendere il metrò, anche perché in Calabria ormai
non ci sono neanche le diligenze, figuriamoci i metrò e vediamo sempre
la parte peggiore del paese, quella più urbanisticamente devastata? Una
noia mortale! Almeno una volta ti facevi un po’ di compagnia con la
televisione che il sabato sera e la domenica pomeriggio ti proponevano
qualche gradevole varietà, un po’ di intrattenimento vero, qualche
sketch di qualche bravo comico, un balletto, un po’ di musica.
Guardatela oggi questa televisione pubblica ridotta peggio della sanità
calabrese, una televisione nella quale hanno tagliato tutto, arte,
spettacolo, intrattenimento, Fino a due anni fa la domenica mattina
c’era un programma di giochi tra diversi paesi italiani che, oltre a
farci conoscere tante piccole realtà, gli
usi, i costumi, le tradizioni gastronomiche di tanti borghi italiani, ci
intratteneva con una gara da ballo, qualche battuta dei conduttori.
Adesso lo hanno sostituito con qualche telefilm, fondi di magazzino
acquistati a prezzi stracciati un tanto al chilo e con qualche
frattaglia in regalo, così
la Rai risparmia un sacco di soldi e può foraggiare per benino per
benino i giornalisti “artisti” che fanno i moralizzatori e
denunciano gli sprechi e le ruberie degli altri.
Domenica in fino a
qualche anno fa, per quanto non certo il massimo dell’intrattenimento,
era comunque meno noioso di quel programma statico, barboso, triste,
uggioso che è diventato oggi nel quale una conduttrice, seppure brava
come la Venier, inchiodata su una poltrona con un paio di camere
puntante su di lei e su un paio di ospiti che si alternano nell’intero
arco del pomeriggio, chiacchiera con gli stessi quasi sempre di fatti
privati della loro vita che stento a pensare possano interessare gli
spettatori. Non una canzone, non un balletto, non un po’ di ironia, di
satira, ma sia detto!, di spettacolo vero insomma. Se cambi
canale non risolvi alcun problema: i programmi, per parafrasare
il titolo di un altro di questi insulsi spettacoli che si ripetono
sempre uguali da decenni come la musica andina di Dalla, sono tutti
“tale a quale show”, uno più soporifero e vacuo dell’altro, da
mattina a sera quando arriva il più inutile, il più ripetitivo, il più
stupido di tutti che ti devi sorbire sette sere su sette fino alle
21,30. E intanto il tempo se va, come diceva Celentano e noi ci
ritroviamo già vecchi e brontoloni.
PIZZULIONI E VINU

E va bene, non sarà un Natale come gli altri;
l'unica cosa che non cambia è il ritorno della luce col solstizio del
21, per il resto si festeggerà in famiglia, se la famiglia convive, se
qualche membro è fuori regione dovrà restarsene dove si trova. Anche
la Sacra Famiglia non potrà ricevere l'omaggio dei pastori, mentre i
Magi non potranno spostarsi nemmeno con l'auto certificazione.
Incertezza per quanto riguarda gli angeli: tutto dipende dalla
riapertura dei voli e dalla capacità delle compagnie di garantire il
rispetto delle norme di sicurezza a bordo. Noi, comunque, ci prepariamo
a un Natale autarchico coi i soliti dolci tradizionali fatti in casa con
le scorte di farina, zucchero, miele, cannella etc. E allora, al lavoro
per preparare le pitte 'mpigliate, turdilli e, come diceva nonno 'u
zommaru, "Pizzulioni e vinu!"
REGIONI GIALLE

L'ORDINE ALFABETICO

La politica mi ha sempre affascinato, fin dalla più
tenera età e alla politica devo tanto perché mi ha insegnatoalcune
cose. Purtroppo ai miei tempi non c’erano grandi maestri per cui ho
imparato poco, tanto per dire, nemmeno a rubare. Oggi no, oggi è tutta
un’altra cosa, i politici di oggi ti insegnano un sacco di cose, così
anche se uno non fa politica in prima persona, impara sempre. In questi
ultimi anni, grazie ai nostri governanti, i nostri parlamentari, i
nostri amministratori pubblici ho imparato cose molto interessanti come:
a)
è
stato costruito un tunnel tra Ginevra e il Gran Sasso;
b) le
Marche sono una regione del Meridione;
c) le
malattie respiratorie si curano con la varechina;
d) Matera
si trova nelle Puglie;
e) Novi
Ligure è, ovviamente, una cittadina ligure come Guardia Piemontese e
San Mango Piemonte si trovano in Piemonte;
f) che
la Slovacchia e la Slovenia sono lo stesso paese;
g) che
Pinochet era un dittatore venezuelano;
h) che
nelle dichiarazioni bisogna essere circoncisi;
i) che
Dublino si trova in Scozia e, dulcis in fundo, che la Calabria è una
regione da rispettare perché è la terza in ordine alfabetico, che Abruzzo e Basilicata meritano ancor più rispetto
perché sono al primo e al secondo posto e cheTrentino, Valle d'Aosta e Veneto
si possono prendere a pesci in faccia perché sono agli ultimi posti.
IL PARTY DELLE STRANE FAMIGLIE
di Giuseppe Marino

PER
RIDERE UN PO'
ATTENZIONE! PUò
NUOCERE AI MINORI E ALLE PERSONE PRIVE DI SENSO DELL'UMORISMO
Assisi
sul sofà, il Porto con la Porta
sorbiscono un buon thé,
mentre laggiù al buffet
il Foglio con la Foglia
gustano i pasticcini
avendo per vicini
il Bue con la Bua che si lamenta ancora
per quel suo mal di testa,
nel mezzo della festa,
con la signora Pala ed il marito, il Palo.
C’è anche il signor Spigolo con la sua dolce Spigola,
il Bollo con la Bolla,
il Collo con la Colla,
però, che gran disdetta,
è assente la Paletta.
Però in compenso ancora
ci son tante altre coppie;
il Filo con la Fila,
il Molo con la Mola,
il Sale con la Sala,
il Sardo con la Sarda,
il Pacco con la Pacca,
il Tacco con la Tacca.
mentre, laggiù, in disparte,
quei sigle sconsolati;
afflitti, emarginati,
senza una compagnia,
rifuggon l’allegria:
è triste il signor Topo, seduto accanto al fuoco;
tristi e dolenti il Tetto e la signora Pena,
e il Fico, poveretto,
tra tutti il più negletto.
Però amici cari,
dovete aver pazienza,
a gente come voi
sconvien
la convivenza.
UN PROVERBIO DI
FUERBACH?

Chine
mancia erba, pecura diventa! Quando ho sentito questo insolito proverbio
per un po' ho pensato che lo avesse scritto Fuerbach, poi mi è
sorto il dubbio che il filosofo bavarese magari avesse elaborato il suo celebre aforisma dopo aver letto il proverbio caccurese. Un po'
come il paradosso dell'uovo e della gallina o se vogliamodella la
strenna caccurese e della Moldava di Smetana: Smetana ha copiato la nostra
strenna o gli strinari caccuresi hanno plagiato il poema sinfonico del
compositore ceco?
Beh, comunque il proverbio caccurese conferma l'intuizione di Fuerbach
quando afferma che "l'uomo è ciò che mangia" perché se uno
"mangia erba", diventa fatalmente pecora. Ovviamente è chiaro
che ci troviamo in presenza di una metafora laddove per erba devono
intendersi i programmi televisivi spazzatura, i discorsi di certi
politici ignoranti, i libercoli scadenti, alcuni giornali stampati nel
nostro paese, la cazzate di certi monsignori oscurantisti, certe
bislacche teorie scientifiche che ci riportano alla cosmografia
mesopotamica, erba, appunto e pure di qualità scadente.
LA SAGGEZZA DEI VECCHI CALABRESI E DI PEPE MUJICA

""Terra
pe’ quantu n’abbasta, vigna pe’ quantu ne vivi, casa pe’ quantu
ce stai". Anche questo proverbio calabrese, nella sua
versione caccurese, è stupefacente per la sua saggezza che è poi
un po' la filosofia di vita dell'uomo che, a mio avviso, è il più
saggio e il più buono tra i viventi su questo infame pianeta: Pepe
Mujica.
L'adagio ci insegna, proprio come fa il grande politico
uruguaiano, a non inseguire ricchezze inutili per le quali spesso
spendiamo stupidamente la nostra esistenza per accumularle, senza
riuscire nemmeno a godercele, mentre la vita si consuma rapidamente e
inesorabilmente. Perciò il saggio deve possedere quel po' di terra che
gli basta, una vigna che gli dia quel tanto di vino che riesce a bere
con la sua famiglia e una modesta abitazione nella quale vivere
dignitosamente. Tutto il resto è inutile e fonte di affanni e,
aggiungerei io, soggetto di imposta del comuni e dello Stato.
IL SENSO DELLA VITA IN UN PROVERBIO CACCURESE

Uno dei proverbi più belli
appreso dai vecchi del mio paese, anzi forse il più bello in assoluto,
è un capolavoro di saggezza e coglie probabilmente
il vero senso dell'esistenza, del divenire della società, dell'ansia
del sapere che spinge l'uomo alle imprese più ardite, a volte fatali,
per puro desiderio di conoscenza. "Dissa lu vecchjiu: ‘un cianciu
ca moru, cianciu ca cchjiu campava e cchjiu sapia." Al saggio la
morte non fa paura, provoca solo il rammarico dell'interruzione del
processo di conoscenza che inizia col primo vagito e finisce con
l'esalazione dell'ultimo respiro. Un proverbio da incorniciare e da
tener presente in ogni attimo della nostra vita.
PERICOLOSI.......... PARDON, APPETITOSI ASSEMBRAMENTI

Voi mi
potreste dirmi che è da pazzi incoscienti fare un assembramento
di questo tipo e io vi risponderei che è l'invidia che vi fa parlare.
Chi non vorrebbe "assembrarsi" in questo modo? Quanto
rimpiango quest'assembramento, se non altro per i capelli ancora neri
dei quali oramai non c'è più traccia. Comunque, indipendentemente dal
colore dei capelli, non vedo l'ora di poterli rifare, perciò, cari
ricercatori, datevi una mossa e cercate di sconfiggere al più presto
"la Bestia." Ci siamo riusciti di recente, ci sono riusciti in
America, possiamo riuscirci ancora e questa volta per sempre.
LA
TOFOLA
di Peppino Marino

Credo
che in certi momenti il cervello non sa più pensare
e
corre in rifugi da pazzi e non vuole tornare.
E' proprio in quei momenti, quando la realtà è
drammatica, angosciosa, quando hai paura di aprire gli occhi e guardare
il mondo che ti sta di fronte, quando chiudi gli occhi per non vedere e
ti trastulli con fantasticherie, con parole vuote per annebbiare la
mente e il cuore che nasce la fanfola. Come questa che vi regalo, caso
mai doveste mai trovarmi in questo stato d'animo.
La
tofola s’impicchia e si fusticchia
e poi si catapulta nella stocchia
con fare altero e pepola marecchia
come se fosse un poco perastocchia.
Ma
quando il sole scalda la riponia
e l’aria si riempie di catonia
la tofola s’intrufola nel tonfolo
e si rannicchia come fosse un cimpolo.
La sera esce per recarsi al fonfolo
dove l’attende il suo amico Rombolo
ma prima si masticchia e si tristacchia
per apparire un poco meno vecchia.
E'
TEMPO DI "VESTIRE LA GIUBBA"
Se uno di questi tempi si mette un pomeriggio qualsiasi davanti la
televisione ad ascoltare i vari sciacalli o avvoltoi, come a voi piace,
che da anni, con la scusa di fare informazione, si cibano di carogne
di povere vittime delle gelosia o della
Trenta
trattori la terra aravano
Tredici
trapani trapanavano
Trentatré
trottole trottolavano,
trentuno
tigri, trecento tigrotti,
tre
melograni, tremilatrentotto
tinche
trincavano insieme alle triglie
mentre
le trote guizzavano tronfie
nell’acqua
fresca del torrente, gonfie
lucci
e cavedani con l’arborella
lieti
ballavano la tarantella
il
pescatore mangiava la pesca
dal
grano duro si leva la crusca
e
dalla tasca una zampa di mosca
tripode,
trucido, tremulo, tremito
ma
non c’era traccia di trasmissioni
solo
trambusto, trattati e traguardi,
tramonti,
tricicli e trastulli e tromboni.
E'
TEMPO DI "VESTIRE LA GIUBBA"

L'incontenibile bla, bla, bla, il cicaleccio, gli accapigliamenti
televisivi di politici o sedicenti tali, di esperti e di ciarlatani, di
starlette fallite improvvisatesi giornaliste, le figure miserande di
presidenti di regioni, assessori, tirapiedi sulle caratteristiche del
virus, sulle misure da adottare, sulle fonti e sui motivi di possibile
contagio, le manifestazioni di protesta più o meno violente e più o
meno pacifiche, hanno raggiunto ormai il livello di tracimazione.
Personalmente non ne posso più per cui ho spento da giorni il
televisore e me ne sto tappato in casa ligio agli appelli e alle
raccomandazioni delle autorità istituzionali e sanitarie.
Un grande filosofo e politologo lombardo del quale anni fa la
Lega si riempiva la bocca a sproposito, Carlo Cattaneo, soleva
dire: "Quando
la ragazzaglia scende in strada la
gente per bene si
chiude in casa." Personalmente ho elaborato anch'io una mia massima
filosofica:
"Quando i pagliacci è prendono il potere è tempo che le persone
serie vestano la giubba."
Il
filasto innamorato

Nel giorno della
scomparsa di Gigi Proietti mi sono ricordato di questa mia vecchia
fanfola, un genere poetico metasemantico inventato da Fosco Maraini,
padre della scrittrice Dacia e reso celebre dal grande Gigi con la
famosa interpretazione de Il lonfo. Se vi va leggetela.
Sotto
un cìpolo catonio
Un Filasto innamorato,
ben cistato, impomatato,
attendeva, con samòsa
la sua bella Filastosa.
Il suo cuore insimolato
frimolava ad ogni afflato
di un gradevol filamonio
che stormir facea vilato
i pampìni del catonio
Ma la sopa Filastina,
sepolata e ciribina,
altri lidi frequentava
ed il povero Filasto
tricelato e tarpimano
la sua bella attese invano,
mentre un rivolo riloso
gli solcava il tetro viso
ed infin con salamento
prese atto del milento,
e con una Sepolina
che cogliea la tripolina
poco dopo si cistò
ed il cuor si consolò
GRAFFITTI STORICI DA SALVARE

Se un giorno Si procederà a un
restauro completo della Chiesa della Riforma mi auguro che il
responsabile non cancelli questi storici graffitti su retro dell'altare
centrale che ci raccontano tante piccole storie. come quello che la
visitò il 30 ottobre del 1937 nel XVI anno dell'Era fascista o di
quell'altro che fece la stessa cosa nel 1942, XXI anno della stessa era,
o quella del signore di Policoro che la visitò nel 1953, o quelle di
caporali e sergenti del plotone dell'esercito di stanza nel castello
durante la guerra, ma anzi restauri anche queste "originali
epigrafe" che poi costituiscono una sorta di registro dei
visitatori. Come considerare questi autografi? Esempi di
narcisismo o di pietas religiosa? Forse entrambe le cose. Ovviamente
bisognerebbe fare in modo che non se ne aggiungano di nuove che
finirebbero per cancellare le vecchie, magari proteggendole con qualcosa
di trasparente.
ONORE E GLORIA A UN IGNOTO SICILIANO

Se
anche la Sicilia non fosse una delle più belle terre del pianeta, culla
della Magna Graecia, la terra della Valle de Templi, di Palermo, la
splendida capitale del regno di Federico II, la sede della scuola
siciliana, il crocevia di culture millenarie, di stili architettonici;
se non fosse la terra di Verga, di Bellini, di
Pirandello, di Sciascia; se non fosse la terra dei cannoli, degli
arancini, della cassata, dei necatuli eoliani, della pasta alla norma, dello sfincione palermitano resterebbe comunque la terra della caponata.
Sia lode e gloria eterna all’inventore di questo paradisiaco piatto.
'A GIUVINELLA

Questa sera voglio presentarvi questa canzone che scrissi secoli fa
quando, sensate un po'. non c'erano ancora gli smartphone, ma solo i
cellulari, le telefonate si pagavano a consumo e gli innamorati, per
risparmiare, avevano la scheda you and me. All'epoca anche le ragazze
fumavano, cosa oggi impensabile. O no? Insomma un po' di ironia sulle
ragazze di qualche decennio fa che spero mi perdoneranno. La canzone fu
musicata dal maestro Luigi Antonio Quintieri, ma non riuscimmo mai a
registrarla. Spero di poterlo fare prima o poi. Intanto vi regalo il
testo.
Guarda cumu pistunìa ‘sta
giuvinella
Mentre, seruta supra 'u solitu murettu,
‘U truccu se controlla’ ‘ntru specchjiettu
E s’assicura si è ancora bella.
Sbruffa
lu fumu cumu ‘na ciminera;
Ogni boccata menza sigaretta
Cumu
s’avissa tanta, troppa fretta
‘E
diventare ‘na vera signora.
E
pe’ parire ‘na fimmina fatta
Se
‘mpacchjia quattro jirita ‘e rossettu,
Jornu
pe’ jornu cancia la borsetta
Seruta
supra ‘u solitu murettu.
‘Ntra
manu quasi sempre ‘u cellulare
tantu
tena la scheda you and me;
Cinque
minuti setttemila lire
Tantu
le custa sentere a Mimì.
Mo
oje s’ha pittatu puru l’ugna.
Però
è rimasta sempre ‘na sampugna.
FILASTROCCA DI OTTOBRE
di Peppino Marino

Salutiamo anche ottobre con una filastrocca. Spero vi piaccia.
Filastrocca
un po’ malandrina
in questa fredda giornata ottobrina.
L’autunno avanza, si allungan le ombre
ché siamo già nel mese di ottobre,
il mese del mosto che bolle nei tini,
di prataioli e pregiati porcini,
delle castagne, dei frutti di bosco,
di San Remigio e di San Francesco,
il santo del povero lupo di Gubbio
la cui esistenza mi provoca un dubbio:
“Ha ancora un senso la povertà,
la fratellanza, la carità
mentre la gente rincorre ricchezze,
averi, sostanze, fortune, agiatezze?”
Ma forse è meglio pensare al mosto
da qualche giorno in cantina riposto
che bolle e ribolle nel capiente tino
per trasformarsi in pregevole vino,
un vino forte che annebbia la mente,
così la gente non pensa più a niente,
un vino forte e generoso
capace di metter la mente a riposo.
ANDIAMO IN BRODO DI GIUGGIOLE

Siete mai andati in brodo di giuggiole? No? Niente paura, vi ci mando
io. Io ci sono andato proprio oggi. Ma andiamo con ordine, prima vediamo
di che si tratta.
Le giuggiole sono i frutti del giuggiolo conosciuto in Calabria,
soprattutto nel reggino, col nome di zinzamo, dal latino Zizyphus,
una pianta originaria del nord Africa e della Siria, diffusasi poi
soprattutto in Cina, ma anche da noi. Il frutto è una drupa che, quando
è maturo assume un colore marrone chiaro, ricchissimo di vitamine del
gruppo B e C (molto più degli agrumi) e di minerali che non sto qui a
elencare. I benefici per la salute prodotti dal consumo di questo frutto
sono molteplici e ci vorrebbe un intero trattato per elencarli. A noi
basti sapere che mangiare giuggiole, come bere quel famoso amaro della
pubblicità, fa sempre bene. Detto questo "andiamo in brodo di
giuggiole."
Con questo termine si indica sia un liquore che non ho mai
assaggiato, né so come si prepara, sia una squisita marmellata da
consumare a colazione tutte le mattine o per preparare ottime crostate.
Fare la marmellata è facilissimo, pensate che ci riesco perfino io:
basta aggiungere a un chilogrammo di giuggiole 800 grammi di zucchero,
mezzo bicchiere di acqua, il succo e la scorza di un limone e far
bollire il tutto per una trentina di minuti, quindi metterla nei vasetti
sterilizzati e capovolgerli facendoli raffreddare.
Benedetta la pianta di giuggiole di Zifarelli, anche se mi
fa dannare ogni anno per tenerla a bada perché non mi infesti tutto
l'orto e se ogni tanto mi procura qualche graffio con le sue spine
pungenti.
LA VOLPE NON RACCOGLIE LE MELE E NON MANGIA I BAMBINI

Stamattina verso le 8
ero da solo a Zifarelli per la raccolta delle mele per preparare il
sidro. Speravo tanto che qualcuno venisse ad aiutarmi, magari i
simpatici riccetti di Gramsci, quelli che rotolandosi le infilzavano con
gli aculei e se le portavano a casa, invece no, al posto dei ricci si è
presentata la volpe gramsciana, non quella del polledrino, proprio
quella che Gramsci bambino vide per la prima volta mentre raccoglieva le
ghiande. Anche la mia mi guardava, più che sorniona con curiosità,
senza nessun timore, anzi quando mi sono avviato verso casa con
due secchi di mele, mi ha seguito fin sull'uscio. Ovviamente si è
guardata bene dal darmi una mano, forse riteneva più che sufficiente la
compagnia. Anch'io come il compagno sardo le ho fatto "Buumm"
pensando si spaventasse, ma anche questa manco per sogno. Beh,
comunque c'è di positivo che mi ha fatto tornare alla mente due
bellissimi racconti per l'infanzia di uno dei più grandi, forse il più
grande intellettuale italiano del Novecento che, anche lui amava gli
animali. Però, che cosa curiosa: gli unici scrittori per l'infanzia che
a differenza dei Perrault, dei Fedro, dei Grimm, non criminalizzano gli
animali sono due comunisti come Antonio Gramsci e Gianni Rodari. In
compenso, però, entrambi, a detta di gente bene informata, mangiavano i
bambini.
'U CURRAMATURE

Correva l'anno 1992. All'epoca i giovani meridionali erano ancora
attaccati alla terra e si dedicavano ancora all'agricoltura come questo
curramature intento ad abbacchiare gli ulivi nella terra del padrino che
non era don Vito Corleone, ma il padrino di battesimo. Allora
indossavano una curiosa tuta arancione scovata chissà dove, afferravano
la pertica e cominciavano il duro lavoro per far cadere le olive sui
teli. Curramare non era un lavoro facile e bisognava essere molto bravi
per staccare le olive dalla pianta, evitando di danneggiarla facendo cadere
più rami e foglie che prodotto e per non stancarsi troppo e a
vuoto. Questo ragazzo era molto bravo e si era fatto una grande
esperienza in materia. Poteva diventare un ottimo consigliere del
ministro dell'agricoltura, ma il destino ha voluto diversamente ed è
finito al Mezzogiorno, pur essendo abituato a mangiare sempre dopo
l'una.
E VENNE IL TEMPO DEI FICHI D'INDIA

E venne il tempo dei fichi
d'india. Di olive non se ne parla, ma in quanto a fichi d'india San
Biagio è una miniera. Peccato essere vecchi; se avessi trent'anni di
meno li andrei a vendere al mercato, magari facendomi aiutare da mio
nipote Antonio che ha imparato da un contadino di Montepaone a
decantarne la bontà col suo grido inconfondibile "Belli e
boniiiiiii"!!!! Si, perché i fichi d'india sono davvero belli e
buoni, succosi, dolcissimi, ricchi di magnesio, di potassio, di vitamina
C e di fibra. Buoni nelle diete perché aumentano il senso di sazietà,
aiutano ad assorbire meno grassi tenendo sotto controllo la glicemia,
favoriscono la diuresi combattendo i calcoli renali, la
peristalsi intestinale, quindi indicati per combattere la
stitichezza e sono ricchissimi di antiossidanti. Insomma quando il
Padreterno ha deciso che nella Calabria e nelle altre regioni
meridionali questi frutti dovevano crescere e moltiplicarsi ha avuto
davvero una felice pensata.
UNA FAVOLA ALL'INCONTRARIO
di Peppino Marino

Le favole sono spesso, anzi quasi sempre,
false, ingannevoli perché rovesciano la realtà, trasformano i
buoni in cattivi e viceversa. Per
questo credo vada ristabilita un po' di verità come ho cercato di fare
in questa favola all'incontrario che oggi voglio regalarvi se vi da
piacere.
La visita al parco era quasi alla fine. Mentre scavalcavo un ponticello
di legno su uno dei tanti rigàgnoli che attraversavano il meraviglioso
bosco di pini e abeti pensavo che, finalmente, tra poco, mi sarei
riposato. I piedi mi dolevano per il lungo camminare, le gambe facevano
oramai fatica a sostenere il peso del corpo e la maglietta mi si era
appiccicata alle carni madide di sudore. Da parecchio tempo avevo
sorbito anche l’ultima stilla di acqua dalla borraccia che mi portavo
appresso e l’arsura contribuiva a rendermi nervoso e a desiderare con
impazienza la fine della escursione. Oramai era questione di pochi
minuti; restava da visitare solo il recinto dei lupi, ancora un ultimo
sforzo poi avremmo raggiunto lo spaccio del parco dove mi sarei
dissetato, magari con una bella birra fresca, avrei forse mangiato
un gelato e mi sarei riposato.
Seguendo la guida
che si attardava a dare ulteriori informazioni ai soliti curiosi del
gruppo, svoltai ad una curva del sentiero, sbucai in una vasta radura e
mi ritrovai, con tutti gli altri, davanti ad una palizzata. Misi
l’occhio ad una delle tante feritoie dalle quali era possibile
osservare gli animali senza disturbarli e mi posi in osservazione. La
mia attenzione fu attratta da un particolare raccapricciante; ad una
decina di metri di distanza una vecchia lercia, laida, cenciosa, con i
capelli bianchi arruffati e unti, seduta per terra, teneva sul grembo la
testa di un vecchio lupo spelacchiato, denutrito, e oramai
prossimo alla fine cercando di fargli sorbire, non so con quanto
successo, latte da una tettarella. La vecchia e il lupo erano in
condizioni miserevoli; la belva per l’età avanzata e la cecità che
lo affliggeva, la vegliarda per l’evidente stato di degrado che
testimoniava di una vita da bestia insieme alle bestie, tanto che era
veramente difficile scorgere, in quel fagotto cencioso e lurido, un
barlume di umanità.
Turbato da quello spettacolo e dallo stato pietoso di quei
due poveri esseri, chiesi ala guida qualche notizia sulla identità
della vecchia e sul perché si fosse ridotta in quelle tristi condizioni
ed egli, molto cortesemente, mi raccontò una lunga storia.
Appresi così che la vecchia, che tutti chiamavano “La Lupa”,
aveva scelto di condividere la vita selvaggia e bestiale dei lupi per
riparare, in qualche modo, ad un gravissimo torto, per liberarsi di un
orrendo senso di colpa che gravava sulla sua coscienza. Ella,
infatti, era corresponsabile dello sterminio dei lupi, di una caccia
spietata e feroce di cui, a seguito delle sue calunnie, furono oggetto i
poveri canìdi. Per questo, molti anni prima, aveva raccolto un
povero cucciolo orfano dai genitori uccisi dai cacciatori su sua
istigazione e che, all’oscuro delle colpe dell’allora fanciulla,
vagando disperatamente nel bosco, s’ imbatté proprio nella
responsabile delle sue sciagure. L’incontro con la bestiola affamata e
indifesa mutò il corso della vita della malvagia ragazza che, oppressa
dal rimorso, si pentì delle sue colpe, decise di condividere la vita
dura e difficile di quegli sfortunati animali e si dedicò ad
assistere le belve fino a ridursi in quello stato. Tutto perché,
in una radiosa giornata di fine inverno, la fanciulla, avvolta in
una montgomery rosso col cappuccio, non sapendo resistere alla
tentazione di divorare la gustosa focaccia che la madre le aveva
affidato per portarla alla nonna, s’era inventata la storia di un
terribile lupo che gliela aveva rubata, voleva divorarla e che
aveva divorato anche la nonna istigando un cacciatore ad uccidere
l’incolpevole lupo e a dare la caccia a tutti quelli della sua razza.
Che pena provai alla fine della storia! Povera Cappuccetto rosso,
com’era ridotta! E proprio vero: mai che una favola finisca davvero
con le parole” e vissero felici e contenti.!!!!!
SETTEMBRE
di Peppino Marino
Salutiamo
il mese di settembre con questa filastrocca scritta qualche anni fa
quando non su conosceva il covid, il rientro a scuola era sicuro e le
maschere le indossavano solo i rapinatori.

Filastrocca
delle vie sgombre
per questo mese di settembre
che, come un pugile scatenato
e dallo sparring caricato,
alunni e insegnanti colpisce ai fianchi
riportandoli a scuola tra i banchi,
fra registri di iscrizione
e sedute di programmazione,
ponendo fine, tra molte lagnanze,
alle brevi, gradite vacanze.
Intanto il caldo comincia a scemare
talché la gente rientra dal mare.
Archiviato il caldo d’agosto,
nell’aria avverti il profumo del mosto
e, mentre a falcate l’autunno avanza,
è giunto il tempo della transumanza.
Le mandrie discendon, muggendo, la valle
attraverso i pianori, le erte e le calle,
or nelle case il lavoro ferve
e le massaie preparan conserve
pregando i santi con l’Onnipotente
che questo inverno sia un po’ più clemente
e lo fan senza piagnucolare
mettendo la legna nel focolare.
FINITO L'ESILIO SI TORNA ALLA MOVIDA

Ancora un paio di giorni di esilio in questa desolata
campagna nelle due foto in alto nella quale grilli cicale, passeri,
fringuelli ti rompono i timpani tutti i giorni con il loro canto e gli
effluvi di lavanda, di rosmarino e di timo ti massacrano le narici
e poi finalmente ritorniamo in quest'affollatissima via caccurese nella
quale la movida impazza giorno e notte con tutta la gente sciagurata che
vedete nelle due foto in basso che non vuole assolutamente sentire
parlare di distanziamento sociale, di mascherine e di altri divieti e
che spopola allegramente le nostre strade.
CARO
RINO TI SCRIVO
Caro Rino, quanto ci manchi! Oggi più che mai avremmo bisogno
della tua genialità per scrivere una nuova versione di Nuntereggae più.
Purtroppo ci hai lasciato nel fior degli anni: peccato, oggi si che ne
avresti di materia!
Senti un po’:
Capitani cazzari
nunvereggae più
rottamatori rottamati
nunvereggae più
filosofi saccenti
nunvereggae più
vespe e vesponi
nunvereggae più
tuttologi ignoranti
nunvereggae più
governatori
nunvereggae più
segretari titubanti
nunvereggae più
critici
turpiloquianti
nunvereggae più
illusionisti
nunvereggae più
qualunquisti, opportunisti,
editorialisti,
negazionisti
nunvereggae più
isole dei famosi
nunvereggae più
leoni da tastiera
nunvereggae più
catene mediatiche
nunvereggae più
grandi fratelli, uomini e nonne, porte
a porte,
carte bianche, pomeriggio otto
mi sono rotto
E mi fermo qui perché non sono cosi presuntuoso da voler suggerire a
uno come te.
TUTTO PRONTO PER L'ARRIVO DEI SIGNORI DI ZIFARELLI E GARBATELLA

Ultima settimana a Zifarelli, poi sgombreremo il campo per lasciarlo
libero ai futuri proprietari. Nella vita tutto ciò che pensiamo essere
nostro e al quale siamo attaccati morbosamente come Mazzarò, in realtà
ci viene concesso in comodato gratuito per qualche decennio, poi, alla
scadenza, sarà concesso a qualcun altro. Spero che la mia scadenza si
protragga almeno per altri quattro decenni, ma non mettiamo limiti alla
provvidenza e comunque i successori vi si insedieranno da subito
per prendere conoscenza del feudo.
Ma ora bando alle malinconie. Qui ci stiamo preparando ad
accogliere degnamente i principini con festoni e ghirlande. Oggi abbiamo
sistemato dei festoni caratteristici che sovrastano il red carpet; nei
prossimi giorni sarà la volta delle ghirlande.
I PROVERBI DI PEPPINO MARINO

E' meglio perdersi in un bicchiere d'acqua che perdersi un buon
bicchiere di vino.
L'ORTOPEDICO

Scusate, chiedo per un amico: uno che cura l'orto può essere
considerato un ortopedico? Grazie e scusate l'ignoranza.
I PROVERBI DI PEPPINO MARINO

Chi
lascia la via vecchia per la nuova viaggia più comodamente.
LE ALICI OPERATRICI FITOSANITARIE

Le alici non solo sono
un'ottima fonte di proteine di qualità e di omega 3, acidi grassi che
proteggono il cuore e le arterie, ma sono
anche dei potenti alleati nella lotta agli insetti nocivi, alla mosca
olearia e alla mosca domestica, il fastidioso dittero che ci rovina
l'estate. Con gli scarti della pulitura e una bottiglia di
plastica, infatti, si può costruire una micidiale trappola per mosche
che nel giro di qualche ora ci libera dal tormento e , soprattutto,
libera le colture da ospiti dannosi senza dover ricorrere a insetticidi
e pesticidi che avvelenano l'ambiente. La realizzazione della trappola
è semplicissima: basta riempite per un quarto dell'altezza la bottiglia
con acqua, introdurvi un pugno di scarti. Se si ha a disposizione
una striscetta di plastica gialla da introdurre nel collo della
bottiglia ancora meglio perché gli insetti sono attratti dal colore
giallo. Quindi legare la bottiglia per il collo al ramo di un albero o
un qualsiasi supporto a un aio di metri di altezza. Noi non sentiremo
cattivi odori, ma le mosche accorreranno a migliaia, entreranno nella
trappola e non riusciranno più a trovare l'uscita continuando a volare
in orizzontale fin quando la morte le coglierà. Così la nostra frutta
e la nostra pazienza saranno salve senza nessuna difficoltà se non
quella di procurarsi le alici per uno che, pur uno chiamandosi Marino,
si ostina ad abitare in collina.
VAIANELLE E ALTRO ANCORA

Stamattina
abbiamo cominciato a usare alla grande il paniere che abbiamo costruito
bnei giorni scorsi con una bella "cota 'e vaianelle", ovvero
fagiolini. Vaianella è una trasposizione dialettale di guaina -
guainella perché il baccello non è altro che una guaina che avvolge e
protegge i fagioli. Ovviamente quando si va nell'orto non si
raccolgono solo fagiolini, ma anche gli immancabili zucchini, i fiori di
zucca e qualcosa'altro che ci fornisce la Provvidenza.
QUELLE CURIOSE LUCINE INTERMITTENTI

Quando nell' estate del 1969 mi
iscrissi alla scuola guida dei fratelli Muraca di San Giovanni in Fiore
e il mio bravissimo istruttore Salvatore mi fece sedere al posto guida
per la prima lezione, mi mostrò i comandi della vecchia Fiat
sulla quale si esercitavano gli allievi. In parcolare si soffermò a
lungo su una levetta a destra del volante più corta di quella che
comandava i fari e mi spiegò che serviva ad accendere e spegnere delle
curiose lucine a destra e a sinistra dell'auto chiamate indicatori di
direzione (vulgus frecce) che funzionavano a intermittenza e servivano a
indicare la direzione di marcia della mia vettura. Se dovevo svoltare a
sinistra bisognava spostare la levetta in basso, se invece dovevo
svoltare a destra o parcheggiare andava spostata verso l'alto. Mi
raccomandò di usarle sempre, anche quando mi avviavo o dovevo uscire da
un parcheggio. Chissà se oggi gli istruttori spiegano ancora queste
cose? A giudicare da quello che si vede in giro sembrerebbe di no.
PAZZA ESTATE

Beh, amici, tutto sommato quest'autunno non è poi così brutto
come lo si dipinge; è vero, il cielo da un paio di settimane è sempre
coperto, ma la temperatura non scende mai sotto i 18 gradi, la pioggia
non sta facendo grossi danni, almeno da noi, la neve non si è ancora
vista e, se tutto va bene, i pomodori er dicembre cominceranno a
maturare. Non dimentichiamoci che "Annu bisestu viatu chine ce
resta."
ESPERIMENTO CULINARIO

Oggi il laboratorio culinario
sperimentale di Zifarelli ha messo a punto un nuovo piatto: le
tagliatelle verdi alla portulaca, insomma i tagliarini cu' la purchjiaca, un piatto ricco di omega che non sono i celebri orologi
svizzeri e nemmeno supporti informatici, ma sostanze utili al nostro
organismo.
Di buon mattino le maestranze hanno provveduto alla
raccolta e al lavaggio di una quantità adeguata di portulaca che,
centrifugata, è stata messa ad asciugare su della carta assorbente
prima di esser frullata. Più la verdura è asciutta, più le
tagliatelle acquistano durezza e non sfaldano. Una volta frullata la
verdura è stata aggiunta a un impasto di semola e uova, quindi il tutto
è stato steso con la macchina per la pasta fresca e trasformato in
tagliatelle verdi lessate e condite con un sugo di carne e polpette, ma
che volendo si possono condire a piacimento. Il risultato è questo
squisito piatto.
IL VERDURAIO

Stamattina mi solo alzato di buonora per
raccogliere quattro cucuzzeli. Una faticaccia e un lungo viaggio di 20
metri all'andata e 20 al ritorno, che potevo risparmiarmi. Infatti
qualche minuto dopo mi è arrivato proprio davanti casa, come nella foto
a destra, il verduraio ambulante con un carico di zucchini, fiori di
zucca, fagiolini e patate per la classica minestra di "vajanelle,
patate e juri". Che poi queste vajanelle del verduraio,
tenerissime, cotte e cucinate qualche minuto dopo, hanno un sapore unico
esaltato dall'olio verde a crudo. Aveva ragione Toto Cutugno
quando cantava quella bellissima canzone "Voglio andare a vivere in
campagna, basta che la finisca co' 'sta lagna."

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