Spauracchi di un tempo antico
 'U sardaru e la vecchjiarella
di Peppino Marino 
 

                   TRAMANDIAMO LA NOSTRA CULTURA POPOLARE CACCURESE

                                                                                      

   Da che mondo è mondo gli adulti si sono trovati sempre davanti un problema complicato da risolvere: quello di tenere buoni i bambini, sia per essere più liberi di dedicarsi alle loro faccende, a iniziare da quelle domestiche,  senza la preoccupazione che i pargoli potessero combinare qualche guaio, sia per tutelare la stessa incolumità dei piccini che gli stessi avrebbero potuto mettere a rischio con giochi pericolosi o comportamenti scorretti. Ovviamente genitore aveva una sua strategia e le sue personalissime minacce o i suoi più o meno efficaci metodi di persuasione. Alcuni di questi espedienti, però, erano comuni a molti altri genitori e finivano per entrare a far parte della tradizione di un paese.
    Uno dei più diffusi era quello di evocare una certa vecchierella che si metteva in giro per le case, soprattutto in prossimità delle feste di fine anno o quando si ammazzava il maiale o si facevano le conserve o il bucato col ranno. Quella delle vecchie cattive e dispettose che invece di pensare ai fatti loro se ne andavano per le case a rompere gli stivali ai bambini era una sorta di fissazione degli adulti, una innocente mania che i bimbi fingevano di assecondare. C’erano le vecchie che, come le streghe, erano cattive e ci facevano del male, ma ce n’era un’altra, una certa Quaresima che, subito dopo il carnevale, si presentava nelle case e si impadroniva di spiedi, griglie, coltelli per impedire ai nostri genitori di arrostirci una bella salsiccia, una costina, un po’ di vusjulu[1] o di panzarella[2] o di affettarci una soppressata o un po’ di prosciutto. Poi c’era la vecchierella delle disgrazie.  

  “Guagliù, statte attentu ca camina la vecchjiarella” ci dicevano le mamme, i papà, le nonne per farci stare fermi e non farci avvicinare  alla padella con l’olio bollente nella quale si preparavano i fritti[3] o alla quarara[4] nella quale si bolliva l’acqua per pelare il maiale o agli affilati coltelli preparati per scannare e sfasciare la bestia. Secondo i racconti terrificanti che venivano propinati ai pargoletti, questa maledetta vecchierella godeva sadicamente nel provocare incidenti domestici e sciagure varie, “compreso perdite di arti inferiori e superiori” avrebbe detto il grande Eduardo. Per un po’ i bambini, più per assecondare la parentela facendo credere di essere davvero spaventati che per convincimento, se ne stavano più o meno quieti, poi riprendevano tranquillamente a far birichinate.

   
La paura della vecchierella costituiva un deterrente scarsamente efficace e i fanciulli ci credevano giusto quanto credevano alla storia della cicogna che portava i bambini. Eppure i genitori erano sempre convinti che i loro ingenui angioletti se la bevessero e che credessero davvero alla storia del fagottello appeso al becco dell’uccello venerato dagli Egiziani, quando era notorio che, già a sette, otto anni, bazzicando gli amichetti più grandicelli che provvedevano ad istruirlo  a dovere, ogni bimbo ne sapeva già più di un ginecologo e di un ostetrico messi insieme.
     Ai tempi dei “viaggi della cicogna “ o dei bambini trovati sotto il cavolo c’era si qualche ingenuo, ma non tutti erano sprovveduti al punto di pensare che si potesse  di attribuire a una povera  vecchia, per di più invisibile, la causa delle nostre eventuali sciagure che potevano capitare. La minaccia, perciò non impressionava  più di tanto per cui, dopo qualche attimo di quiete, sufficiente e far respirare genitori e parenti i monelli ritornavano ad essere  i discolacci  di sempre ed ecco scattare , allora, la  ben più grave minaccia: “ Guagliù, statte attento ca passa lu sardaru![5] “ Ecco, a questo punto le cose si complicavano terribilmente: non più con una vecchia invisibile frutto delle fervida fantasia dei nostri antenati, si aveva a che fare, ma con una persona in carne e ossa; non più con un’entità effimera, eterea, evanescente, ma con mani callose, “cucchjare“ [6], virghelle[7] o altri oggetti contundenti dalle spiccate capacità  persuasive e lo stramaledetto  “sardaru “ prendeva,  inspiegabilmente, le sembianze di nostro padre o di nostra madre, mentre una gragnola di busse si abbatteva sul groppone.
     Si, in quel caso era davvero passato “ ‘u sardaru con le sue maledette sarde.  

[1] guanciale
[2] pancetta
[3] zeppole
[4] pentolone
[5] pescivendolo
[6] mestoli di legno
[7] spianatoio per la pasta