TRAMANDIAMO LA NOSTRA
CULTURA POPOLARE CACCURESE
Da
che mondo è mondo gli adulti si sono trovati sempre davanti un problema
complicato da risolvere: quello di tenere buoni i bambini, sia per
essere più liberi di dedicarsi alle loro faccende, a iniziare da quelle
domestiche, senza la preoccupazione che i pargoli potessero
combinare qualche guaio, sia per tutelare la stessa incolumità dei
piccini che gli stessi avrebbero potuto mettere a rischio con giochi
pericolosi o comportamenti scorretti. Ovviamente genitore aveva una sua
strategia e le sue personalissime minacce o i suoi più o meno efficaci
metodi di persuasione. Alcuni di questi espedienti, però, erano comuni
a molti altri genitori e finivano per entrare a far parte della
tradizione di un paese.
Uno
dei più diffusi era quello di evocare una certa vecchierella che si
metteva in giro per le case, soprattutto in prossimità delle feste di
fine anno o quando si ammazzava il maiale o si facevano le conserve o il
bucato col ranno. Quella delle vecchie cattive e dispettose che invece
di pensare ai fatti loro se ne andavano per le case a rompere gli
stivali ai bambini era una sorta di fissazione degli adulti, una
innocente mania che i bimbi fingevano di assecondare. C’erano le
vecchie che, come le streghe, erano cattive e ci facevano del male, ma
ce n’era un’altra, una certa Quaresima che, subito dopo il
carnevale, si presentava nelle case e si impadroniva di spiedi, griglie,
coltelli per impedire ai nostri genitori di arrostirci una bella
salsiccia, una costina, un po’ di vusjulu
o di panzarella
o di affettarci una soppressata o un po’ di prosciutto. Poi c’era la
vecchierella delle disgrazie.
“Guagliù, statte attentu ca camina la vecchjiarella” ci
dicevano le mamme, i papà, le nonne per farci stare fermi e non farci
avvicinare alla padella con
l’olio bollente nella quale si preparavano i fritti
o alla quarara
nella quale si bolliva l’acqua per pelare il maiale o agli affilati
coltelli preparati per scannare e sfasciare la bestia. Secondo i
racconti terrificanti che venivano propinati ai pargoletti, questa
maledetta vecchierella godeva sadicamente nel provocare incidenti
domestici e sciagure varie, “compreso perdite di arti inferiori e
superiori” avrebbe detto il grande Eduardo. Per un po’ i bambini, più
per assecondare la parentela facendo credere di essere davvero
spaventati che per convincimento, se ne stavano più o meno quieti, poi
riprendevano tranquillamente a far birichinate.
La paura
della vecchierella costituiva un deterrente scarsamente efficace e i
fanciulli ci credevano giusto quanto credevano alla storia della cicogna
che portava i bambini. Eppure i genitori erano sempre convinti che i
loro ingenui angioletti se la bevessero e che credessero davvero alla
storia del fagottello appeso al becco dell’uccello venerato dagli
Egiziani, quando era notorio che, già a sette, otto anni, bazzicando
gli amichetti più grandicelli che provvedevano ad istruirlo
a dovere, ogni bimbo ne sapeva già più di un ginecologo e di un
ostetrico messi insieme.
Ai
tempi dei “viaggi della cicogna “ o dei bambini trovati sotto il
cavolo c’era si qualche ingenuo, ma non tutti erano sprovveduti al
punto di pensare che si potesse di
attribuire a una povera vecchia,
per di più invisibile, la causa delle nostre eventuali sciagure che
potevano capitare. La minaccia, perciò non impressionava
più di tanto per cui, dopo qualche attimo di quiete, sufficiente
e far respirare genitori e parenti i monelli ritornavano ad essere i
discolacci di sempre ed ecco
scattare , allora, la ben più
grave minaccia: “ Guagliù, statte attento ca passa lu sardaru!
“ Ecco, a questo punto le cose si complicavano terribilmente: non più
con una vecchia invisibile frutto delle fervida fantasia dei nostri
antenati, si aveva a che fare, ma con una persona in carne e ossa; non
più con un’entità effimera, eterea, evanescente, ma con mani
callose, “cucchjare“ ,
virghelle
o altri oggetti contundenti dalle spiccate capacità
persuasive e lo stramaledetto
“sardaru “ prendeva, inspiegabilmente,
le sembianze di nostro padre o di nostra madre, mentre una gragnola di
busse si abbatteva sul groppone.
Si,
in quel caso era davvero passato “ ‘u sardaru con le sue maledette
sarde.

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